Chi paga le tasse in Italia?

Nella speciale classifica del “chi sale e chi scende” sul registro dei contribuenti dell’Agenzia delle Entrate, nel primo semestre dell’anno crescono ancora dipendenti e pensionati, svaniscono lavoratori autonomi ed evasori, mentre Iva e imposte sui giochi segnalano un crollo dei consumi. Sulla scrivania del ministro dell’Economia Giorgetti, impegnato nella legge di Bilancio in un’improbabile quadratura tra le scarse risorse disponibili e il mantenimento delle promesse elettorali, arrivano dati poco incoraggianti sull’andamento delle entrate fiscali e di riflesso sulla congiuntura economica.

Intanto la lotta all’evasione, che secondo i dati del Mef si affievolisce sempre più. Nel primo semestre dell’anno le entrate da accertamento e controllo segnano un calo del 10,1%. A incidere maggiormente è il mancato recupero delle imposte dirette, con un 21% in meno rispetto all’anno precedente. Il recupero di evasione delle imposte indirette, grazie soprattutto al meccanismo dello split payment applicato al prelievo dell’Iva, compensa invece parzialmente la flessione generale, registrando un incremento del 5,3%. Ma in totale mancano all’appello dell’Agenzia delle Entrate 613 milioni di euro per bissare il già magro bottino del 2022.

Cresce il gettito dalle ritenute Irpef sugli stipendi dei dipendenti del settore privato (+6,3%), del pubblico (+9%) e sui lavoratori autonomi (+4%), che segnala se non altro un aumento dei lavoratori contrattualizzati. Mentre sono in profondo rosso le entrate che dovrebbero arrivare “spontanee” dai versamenti in autoliquidazione (-17,2%). Profondo rosso anche dai flussi delle imposte sui redditi da capitale e sulle plusvalenze, una contrazione di 2 miliardi e 33 milioni di euro (-92,6%), dovuto ai risultati negativi del risparmio gestito nel 2022 rispetto al 2021. Il crollo dei rendimenti ha investito in particolare i fondi pensione e le varie forme di previdenza integrativa.

In controtendenza le entrate delle imposte indirette, che crescono, anche se molto meno del tasso d’inflazione, contro le aspettative. Un andamento che sembra denunciare una significativa frenata del volume dei consumi finali e una ripresa dell’evasione. Il gettito Iva ha segnato un più 3%, risultato di un aumento sugli scambi interni del 5,4% e di un calo sulle importazioni dell’11%. In controtendenza l’industria, con un mancato gettito del 3,9% che conferma la retromarcia del settore e una forte difficoltà a trasferire sulla filiera l’aumento dei costi.

La tanto odiata accisa sui prodotti energetici marca incrementi percentuali a due cifre: +20,3% pari a 1.856 milioni di euro solo nel primo semestre. Ma cala il prelievo sull’energia elettrica (-41 milioni di euro, pari a –2,7%), mentre l’accisa sul gas naturale per combustione (gas metano) ha generato entrate in discesa per 1.242 milioni di euro (-769 milioni di euro, pari a –38,2%).

Cresce il gettito dell’imposta sul consumo dei tabacchi, a 5.252 milioni di euro (+62 milioni di euro, pari a +1,2%). Infine, l’imposta sulle successioni e donazioni ha fatto registrare entrate per 503 milioni di euro (+46 milioni di euro, pari a +10,1%).

Crollano le entrate delle imposte sui giochi e le lotterie, un’attività tradizionalmente assai cara a disoccupati e pensionati. Se si considerano solo le imposte indirette, il gettito totale in sei mesi è stato di 3.575 milioni di euro (3.301 milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, pari al 48%). Un sociologo ci vedrebbe un’altra spia accesa sulle crescenti difficoltà economiche in cui versano i ceti popolari.

 

Articolo di Luciano Cerasa sul Fatto Quotidiano del 30/8/2023




La Carovana dei Diritti per la mobilità sostenibile

La Cgil L’Aquila e la sua Carovana dei diritti testano le infrastrutture ferroviarie

I collegamenti con i mezzi di trasporto rappresenta non dei fattori più determinanti per l’attrattività di un territorio ed il livello di benessere e qualità della vita che esso esprime. Abbiamo deciso di testarne e raccontarne il grado di fruibilità ed efficacia.
Vogliamo insomma provare a rinverdire i fasti del passato. La mitica e mai dimenticata “Freccia del Gran Sasso” che a metà del secolo scorso rappresentava quanto di meglio la trazione diesel potesse offrire in una relazione “diretta” L’Aquila Roma-Termini, ovviamente passando per Terni. Con un tempo di percorrenza di “sole” 3 ore e trenta minuti si poteva raggiungere la Capitale. Tutto ciò accadeva nel 1959.
Cos’è cambiato rispetto ai mitici fasti della Freccia del Gran Sasso? Lo vogliamo testare. Vogliamo raccontare come la Città dell’Aquila e la provincia tutta si approccino ai nuovi sistemi di mobilità. Vogliamo misurare le infrastrutture esistenti ed i servizi che su esse si espletano.
Ed allora partiamo.
Prima tappa della nostra esperienza (le altre le comunicheremo successivamente) è Roma .
Abbiamo deciso, ripercorrendo i fasti della citata “ Freccia” di portarci al centro della Capitale utilizzando il mezzo meno inquinante e più sostenibile. Il mezzo del futuro: il Treno. E sì, perché l’offerta esiste. Trenitalia vende al costo di 14,10 euro un biglietto L’Aquila-Roma Tiburtina.
Certamente la tecnologia e le attenzioni riservate al territorio avranno migliorato le condizioni di viaggio. Ve lo racconteremo. Per ora noi ci diamo appuntamento venerdì 1 settembre alle ore 7,28 alla Stazione dell’Aquila per salire sul treno Regionale 19724 che ci introdurrà all’esperienza.
Questo il primo appuntamento in programma della nostra “Carovana dei diritti” per il prossimo mese di settembre; altri ne seguiranno interessando tutta la provincia aquilana. Tra i diritti costituzionalmente garantiti la mobilità, insieme a sanità, scuola e fruibilità dei beni comuni definiscono il grado di benessere collettivo, di attratività di un territorio ed esigibilità dei diritti fondamentali.
Vi racconteremo il nostro viaggio.



Io ho un sogno

Esattamente 60 anni fa, Martin Luther King pronunciava un discorso destinato ad entrare nella storia. Parole che divennero il simbolo della lotta contro il razzismo.

Il suo messaggio è quanto mai attuale. Per questo, pubblichiamo un estratto dalle parole pronunciate il 28 agosto 1963 alla fine di una manifestazione per i diritti civili nota come la marcia su Washington per il lavoro e la libertà durante la presidenza Kennedy.

 

Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho un sogno, oggi!

Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. È questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto. Terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente.”

 

“Liberi finalmente”. Free at  last.

Le stesse parole saranno usate dagli U2, ribaltandone volutamente il significato, nel bellissimo brano Pride (In the name of love).

“Free at last, they took your life, they could not take your pride”

Liberi finalmente (ma qui si riferiscono ai suoi assassini). Ti hanno tolto la vita perché non potevano toglierti l’orgoglio.

Parole che danno i brividi, e che fanno riflettere sulle conseguenze dell’odio. Perché ci può essere sempre qualcuno che pensa di “liberarsi”, togliendo di mezzo quell’individuo fastidioso che sogna un domani in cui bambini di diverso colore possano sedere insieme allo stesso tavolo.

 




Cassazione: “allusioni sessuali a collega motivano il licenziamento”.

Sì della Cassazione al licenziamento disciplinare intimato al lavoratore, al quale era stato contestato di aver posto in essere molestie sessuali in danno di una collega


Licenziamento per molestie sessuali

Le allusioni a sfondo sessuale alla collega giustificano il licenziamento del lavoratore. Così la sentenza n. 23295/2023 della sezione lavoro della Cassazione.

Nella vicenda, la corte d’appello aveva respinto il reclamo di un lavoratore avverso la decisione con cui il tribunale di Arezzo aveva dichiarato legittimo il licenziamento a lui intimato per aver tenuto comportamenti consistenti in molestie sessuali in danno di una giovane collega neoassunta con contratto a termine e assegnata a mansioni di addetta al banco del bar, al pari del ricorrente.
La corte territoriale aveva ritenuto che il comportamento addebitato all’uomo, denunciato in due diverse occasioni dalla lavoratrice alla direzione aziendale, consistito in allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale, comunque indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della collega di lavoro, costituisse giusta causa del licenziamento, a nulla rilevando che fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico.

Il lavoratore adiva perciò la Cassazione, lamentando tra l’altro l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) quale la prova documentale della inattendibilità della lavoratrice denunciante costituita dal provvedimento di archiviazione del GIP circa la denuncia di violenze sessuali e stalking, nonché “della valutazione di oggettiva idoneità del comportamento addebitato a ledere la dignità”.

Gli Ermellini gli danno torto. Quanto al primo motivo, osservano preliminarmente che “il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa ed alle ragioni del licenziamento e dunque non rilevante l’esito del procedimento penale su tali fatti rispetto al recesso datoriale” e che peraltro era rimasta “non dimostrata la oggettiva ‘inattendibilità’ della lavoratrice e comunque estranea tale valutazione al perimetro del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”
Quanto alla seconda doglianza, la corte d’appello, per il Palazzaccio, si è mossa nella cornice di definizione di molestie come consegnata dall’art. 26 del D.Lgs. n. n. 198/2006; “ha dunque considerato le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Il giudice del gravame “ha quindi valutato che il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa”.

Il giudizio così espresso, “basato sulla corretta sussunzione dei fatti accertati attraverso le prove acquisite nella nozione legale di molestie sopra indicata, costituisce la regolare attività valutativa del giudice di merito” concludono i giudici dichiarando il ricorso inammissibile.

Fonte: Studio Cataldi



Fringe benefit fino a mille euro per tutti: l’ipotesi per la manovra per il 2024

Il governo vuole rendere esentasse i fringe benefit fino a mille euro per tutti i lavoratori, la misura dovrebbe entrare nella manovra 2024


 

I fringe benefit, che con l’ultimo Decreto Lavoro sono stati portati a 3mila euro ma soltanto in presenza di figli a carico, potrebbero essere completamente detassati per tutti i lavoratori fino a mille euro. E’ una delle ipotesi al vaglio del governo in vista della prossima manovra, insieme alla detassazione di premi e benefit.

 

Fringe benefit fino a 1.000 euro per tutti

Oltre alla riforma delle pensioni e al taglio del cuneo fiscale, la manovra 2024 dovrebbe includere anche novità sui fringe benefits. In particolare, tra gli interventi che potrebbero entrare nella prossima legge di Bilancio, spunta l’innalzamento a mille euro dei compensi di beni non in denaro per tutti i lavoratori, non solo per i genitori con figli a carico.
Resta il nodo delle coperture per una misura che, sommata alla detassazione dei premi di produttività (aliquota di favore al 5%), costerebbe fino a 2 miliardi di euro.

Il Decreto Lavoro ha alzato la soglia dei fringe benefit per i dipendenti con figli a carico, che adesso è pari a 3.000 euro. Per i lavoratori senza figli a carico, invece, è confermata l’esenzione fino ad un tetto massimo di 258,23 euro, dopo che con il Dl Aiuti bis del 2022 era stata alzata a 600 euro e quindi a 3mila con il Dl Aiuti quater.

Le due soglie – 3.000 euro per chi ha figli e 258,23 euro per gli altri – si riferiscono al tetto massimo di beni e servizi che i datori di lavoro possono elargire ai propri dipendenti esentasse.
La soglia di 258,23 euro si riferisce al valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, non è estensibile ai rimborsi e alle somme erogate per il pagamento delle bollette di luce, acqua e gas.

Per essere considerati figli a carico, questi devono avere un reddito non superiore a 4mila euro, che scendono a 2.840,51 euro in caso di età superiore a ventiquattro anni. L’ultima circolare ha chiarito che la condizione di figlio fiscalmente a carico deve essere verificata al 31 dicembre 2023.
I 3mila euro si conteggiano interamente per ogni genitore, anche in presenza di un unico figlio purché questo sia fiscalmente a carico di entrambi. E anche se i genitori spostano l’intera detrazione per i figli a carico a quello con il reddito più alto.

Il lavoratore con figli a carico deve fare dichiarazione al datore di lavoro di avere diritto alla maggiorazione, riportando i codici fiscali dei figli.

 

Verso la detassazione dei premi produttività

Oltre ai fringe benefits, il governo sta pensando anche di confermare la detassazione al 5% dei premi produttività che, a differenza dei fringe benefits, vengono erogati sotto forma di somme di denaro.

Sono in corso anche riflessioni sugli incentivi occupazionali per donne e giovani e lavora per confermare i 6/7 punti di taglio del cuneo contributivo, la vera impresa da portare a termine nella prossima manovra. Secondo le ultime indiscrezioni, l’esecutivo vorrebbe mantenere il taglio a 5 punti, come promesso in campagna elettorale, e colmare il vuoto lasciato con la riforma delle aliquote Irpef.

 

Fonte: Quifinanza.it




Il colpo di calore nei luoghi di lavoro

Di seguito le info-grafiche preparate dall’INCA di Bologna.


 





Sei un lavoratore somministrato? Allora devi conoscere questa norma

Sempre più spesso le aziende – anche nel settore bancario – ricorrono al lavoro precario per tamponare esigenze d’organico, non necessariamente temporanee.

In linea teorica il lavoro precario dovrebbe rappresentare un’eccezione, e comunque una transizione che consenta un successivo passaggio a forme di lavoro più stabili. In questo senso è importante conoscere il Decreto Legislativo 27 giugno 2022 n. 104, emanato in attuazione della direttiva (UE) 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea.

Quello che interessa in modo particolare alle lavoratrici ed ai lavoratori somministrati è l’articolo 10, intitolato:
Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili.

La norma prevede che “il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile.

La richiesta dev’essere inviata per iscritto. L’azienda deve rispondere entro un mese, fornendo le motivazioni dell’eventuale mancato accoglimento. Passati ulteriori sei mesi, la richiesta può essere reiterata.

Sappiamo che la realtà del mondo del lavoro porta spesso i lavoratori ad evitare di esporsi, nel timore che un loro comportamento non gradito al datore di lavoro, per quanto legittimo, possa in qualche modo compromettere le prospettive di una futura prosecuzione del rapporto. Il Decreto prevede questa resistenza e, all’articolo 14 comma 1, stabilisce che “…sono vietati trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal presente decreto…”

Questo articolo fa sì che, in caso di mancato accoglimento della richiesta, un lavoratore somministrato che non si vedesse confermare il contratto a differenza di altri suoi colleghi di lavoro, potrebbe in linea teorica inoltrare ricorso sostenendo che alla base della sua mancata conferma ci sia la richiesta di stabilizzazione inoltrata in attuazione del D.Lgs 104/2022.

Il comma 3 stabilisce infatti che i lavoratori destinatari di licenziamento o di “misure equivalenti” (quindi anche in caso di mancata conferma) “possono fare espressa richiesta al medesimo dei motivi delle misure adottate. Il datore di lavoro o il committente fornisce, per iscritto, tali motivi entro sette giorni dall’istanza.
E qui viene la parte più interessante: incombe sul datore di lavoro o sul committente l’onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti adottati a carico del lavoratore non siano riconducibili a quelli di cui al comma 1″ (cioè che non rappresentino una ritorsione per aver esercitato i diritti previsti dal decreto)

In parole povere: la norma è stata scritta in modo tale che chiedere di passare ad una forma di lavoro più stabile può diventare una forma di pressione verso l’azienda, che potrebbe trovarsi in difficoltà in caso di mancata conferma del lavoratore al termine del periodo di somministrazione.

Una norma poco conosciuta, ma che può rivelarsi un valido aiuto per tutte le lavoratrici e i lavoratori somministrati.




Assicurazioni: sindacati in pressing per rinnovare i contratti

Le sigle sindacali chiedono 99 euro di aumento ad Anapa e 95 ad Anagina


 

Il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro mette alla prova la lunga filiera delle assicurazioni. È un mondo dove si stima lavorino 150mila persone, la cui rappresentanza è piuttosto frammentata. Se Ania lo scorso autunno ha rinnovato con Fisac Cgil, First Cisl, Uilca, Fna e Snfia il contratto dei 48mila dipendenti delle compagnie assicurative, quasi tutti gli altri lavoratori dell’appalto si ritrovano con il contratto scaduto da quasi 3 anni. A cominciare dall’anello forte della filiera e cioè i 15mila agenti che sono rappresentati da Sna, Anapa e Anagina e negoziano le loro condizioni con Ania: il loro negoziato si è arenato un anno fa, quando si sono registrate posizioni inconciliabili sul tema della titolarità dei dati del cliente. In particolare con lo Sna che ritiene l’agente sempre e solo titolare “autonomo” del dato. Una posizione che per Ania è in contrasto con la natura del rapporto agenziale.

Lo stallo del contratto degli agenti, secondo fonti interne, non è senza impatto sul resto della filiera. Senza un passo avanti in quella direzione sembra difficile che possano essercene sui contratti dei dipendenti delle agenzie che hanno i contratti scaduti. Stiamo parlando del contratto di Anapa delle agenzie in gestione libera che è siglato dai sindacati di categoria (Fisac, First, Uilca, Fna e Snfia) e di quello di Anagina, riservato ai dipendenti delle ex agenzie Ina Assitalia, ora confluite in Generali. Accanto a questi, nella filiera, tra gli altri, ci sono anche il contratto di Sna, il contratto Assicoop e quello di Alleanza.

Per capire la frammentazione dei contratti dei dipendenti delle agenzie di assicurazione bisogna andare indietro di qualche anno. Il primo contratto, storicamente, in passato è stato sottoscritto da First, Fisac, Uilca e Fna con le controparti datoriali Sna e Unapass, fino al 2011 quando lo SNA ha intrapreso un’altra strada per sottoscrivere un contratto con due categorie rappresentate dalla Fesica Confsal. Per i sindacati confederali il 2011 ha segnato l’apertura di un vulnus e di una frammentazione della rappresentanza che ha avuto un impatto sui livelli retributivi dei lavoratori. Secondo quanto spiega il segretario nazionale assicurativo della Uilca, Emanuele Bartolucci, “l’abbandono  dello Sna e la sottoscrizione del suo contratto con Confsal ha portato retribuzioni inferiori mediamente del 20%. Per questo i sindacati confederali e gli autonomi Fna hanno deciso di proseguire la contrattazione con l’Unapass, poi federatosi con Anapa fino alla nascita di Anapa – ReteImpresAgenzia, associata a Confcommercio”.

A oggi il contratto Sna/Confsal da un lato e quello sottoscritto dai sindacati di categoria (First, Fisac, Uilca, Fna) con Anapa hanno pressoché la medesima applicazione, nonostante l’indubbia convenienza del contratto Sna.

Il rinnovo del contratto Ania-sindacati di novembre scorso ha rafforzato l’impegno delle parti per sostenere gli anelli più deboli della filiera assicurativa e fare sì che vengano innalzate le tutele dell’appalto, pur non potendo ricomprendere tutti sotto l’ala di un contratto, quello dei dipendenti delle compagnie, che “mediamente ha tabelle retributive del 30% più elevate”, afferma Bartolucci. Nelle piattaforme di rinnovo i sindacati assicurativi hanno chiesto aumenti di 99 euro per il lavoratori interessati dal contratto Anapa e di 95 euro per quello di Anagina, oltre a una tantum e adeguamenti che hanno fatto sobbalzare gli agenti. Le trattative si sono aperte, ma non sono mai decollate.
Federico Serrai, componente della giunta esecutiva nazionale di Anapa, nel rimettere in fila la dinamica del negoziato spiega che “il contratto è scaduto il 30 giugno del 2020, ma la piattaforma è stata presentata il 5 agosto del 2022. La richiesta che è stata fatta dai sindacati, però, non è solo di un aumento di 99 euro, ma anche di un ritocco del 7% di tutte le voci economiche di natura indennitaria, una richiesta che – a detta del rappresentante di Anapa – non trova riscontro in nessun altro contratto tra quelli scaduti ed esaminati. Il contratto Anapa è comunque favorevole per i lavoratori, che noi consideriamo un asset strategico. Necessita però di essere rivisto, soprattutto nelle parti normative, e va riscritto in maniera più chiara, anche a beneficio della sua interpretazione.”

 

Articolo di Cristina Casadei su Il Sole 24 Ore dell’8 agosto 2023




Assicurazioni: Report Fisac Cgil, settore a 2,3 mld di euro di utili nel 2022

Susy Esposito: “Confermata resilienza e redditività, base per sviluppi della contrattazione”


Il settore assicurativo ha generato nel corso del 2022 utili di bilancio pari a 2,3 miliardi di euro, in calo rispetto ai 6,7 miliardi di euro del 2021, manifestando comunque un’importante resilienza in un anno particolarmente difficile, tra tensioni geo-politiche e andamento negativo dei mercati finanziari che non hanno lasciato indenni i mercati assicurativi dei principali paesi europei. È quanto emerge in sintesi in un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil sul settore assicurativo basato sui dati Ania relativi ai bilanci 2022, rispetto al quale, osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito, “gli elementi complessivamente positivi che emergono dall’analisi, sul fronte della resilienza e della redditività del settore, costituiscono una base importante per gli sviluppi presenti e futuri della contrattazione, di primo e secondo livello”.

Nel merito del rapporto della Fisac Cgil si evidenzia come il settore Vita ha chiuso lo scorso anno in perdita di 0,4 miliardi di euro per la prima volta negli ultimi dieci per effetto del calo dei premi e l’aumento delle minusvalenze nette. I rami Danni hanno invece raggiunto un utile, sempre relativamente allo scorso anno, pari a 2,7 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2,4 miliardi di euro del 2021. “Rispetto agli altri paesi l’Italia è stata complessivamente resiliente – commenta Esposito -, anche se il mercato assicurativo Vita ha subito una significativa flessione e ha risentito in particolare della concorrenza dei titoli di Stato”.

Il settore assicurativo si è confermato nel complesso “molto solido”, e, come riporta la Fisac Cgil, evidenza “indici di solvibilità (Solvency capital requirement II – Scr Ratio) quasi stabili, rimanendo a livelli di assoluta sicurezza pari al 247% a fine 2022 rispetto al 252% di dicembre 2021. In altre parole i fondi propri (145 miliardi di euro) risultano essere 2,5 volte il requisito di capitale di solvibilità (Scr pari a 59 miliardi di euro) per una eccedenza positiva, a ulteriore garanzia degli impegni assunti, pari a 86 miliardi di euro”. Infine la Fisac Cgil fa sapere che nel prosieguo del 2023 verrà monitorato l’andamento del settore, con particolare riferimento agli sviluppi della situazione di Eurovita che, al momento, sembra incanalata verso una risoluzione tramite la collaborazione tra istituzioni, principali compagnie Vita, istituti di credito, assieme alle organizzazioni sindacali, volta a tutelare dipendenti, assicurati e risparmiatori.


Scarica il report




Cgil: ora la tassa sugli extraprofitti va estesa

Passo indietro del governo sulla norma più volte richiesta dal sindacato che chiede di usare le risorse per lavoro, salari, sanità e servizi pubblici


 

Passo indietro del governo”, così la Cgil nazionale definisce il provvedimento sugli extraprofitti varato dall’ultimo Consiglio dei ministri, aggiungendo che la norma non può essere però limitata alle sole banche, utilizzando poi le risorse per sostenere lavoro, salari e welfare pubblico.

Allora si può fare: è possibile tassare gli extraprofitti, come la Cgil richiede da tempo, pressoché inascoltata – scrive il sindacato in una nota -. Adesso il Governo, dopo questo passo indietro rispetto al ridimensionamento dell’imposta sugli extraprofitti deciso nell’ultima legge di bilancio, non si fermi a un provvedimento estemporaneo, ma estenda la decisione assunta sulle banche a tutte le imprese e i settori che stanno macinando risultati record, e riconsideri anche le recenti scelte fiscali tutte a vantaggio di imprese e profitti”.

Vanno chiamati tutti a contribuire in un momento in cui le fasce popolari del Paese sono in grande sofferenza a causa dell’inflazione, dell’aumento di mutui e affitti, dell’impennata del carrello della spesa e del costo dei carburanti. Per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse recuperate, quindi, per noi non ci sono dubbi: sono da destinare al sostegno di lavoro, salari, sanità e servizi pubblici. Infine, le banche non utilizzino strumentalmente questa scelta del governo per compromettere il confronto in corso per il rinnovo del contratto nazionale”.

 

da: www.collettiva.it