BPB: il 17 aprile sciopero e presidio a Teramo

17 APRILE 2023

SCIOPERO

DI TUTTO IL PERSONALE BPB
PER L’INTERA GIORNATA

In data 12 aprile 2023 si è tenuto l’incontro tra le OO.SS. e l’Azienda per l’illustrazione delle linee guida del piano industriale della BPB.

L’A.D. ha illustrato il risultato d’esercizio della banca e ha auspicato il rilancio della stessa attraverso varie iniziative messe a terra dalla Capogruppo, sempre assente e distante dai problemi che attanagliano la BPB.

Al di là di una generica richiesta di fiducia in bianco da parte dell’Azienda, non abbiamo avuto risposte concrete dall’A.D. circa le urgenti e ineludibili istanze pregresse delle lavoratrici e dei lavoratori BPB.

Confermiamo, pertanto, lo sciopero unitario del 17 aprile 2023 e invitiamo tutti, colleghe e colleghi, a sostenere le iniziative necessarie per restituire dignità professionale e umana a tutti i Lavoratori e Lavoratrici della BPB.

E’ un segnale importante per poter ottenere risposte concrete alla sofferenza che investe tutta la Banca.

Ricordiamo ai colleghi che non vi è nessun obbligo di comunicare preventivamente a chicchessia l’adesione allo sciopero.

Sono previsti i seguenti presidi, con la presenza di tutti i Lavoratori a partire dalle ore 10:00:

  • PRESIDIO SUD: BARI – CORSO CAVOUR, 19
  • PRESIDIO CENTRO NORD: TERAMO –CORSO SAN GIORGIO, 36

All’assenza di risposte rispondiamo a voce alta:

SCIOPERO!

Bari, 13 aprile 2023

 

Segreterie di Coordinamento
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN
Banca Popolare di Bari – Gruppo MCC

 

 




TGR Molise: in regione i dati peggiori d’Italia per la scomparsa di banche

L’allarme Fisac Cgil


Avanza la spoliazione del territorio: Molise maglia nera d’Italia per la scomparsa di banche

In cinque anni il numero di sportelli è calato del 31,9%. Otto paesi su dieci sono sprovvisti di servizi. L’home banking fa cilecca per la scarsa copertura di Internet



Il Molise aggiunge un altro record negativo a quelli legati allo spopolamento: è la regione d’Italia che negli ultimi 5 anni ha perso più sportelli bancari.  Erano 119 alla fine del 2017, sono scesi a 81 a dicembre: 62 in provincia di Campobasso e appena 19 in quella di Isernia. In cinque anni il calo è stato del 31,9%.

Un dato che va di pari passo con la contrazione del numero di lavoratori del settore, passati dai 636 del 2017 a 533.  

A fare questi conti è l’ufficio studi del sindacato Fisac Cgil, su dati della Banca d’Italia.

Fonte: Rai News
Guarda il servizio andato in onda sul TG Regionale




In Italia spariscono ogni giorno 2 filiali e 15 dipendenti bancari

Interrompere desertificazione, in un anno 664 filiali e 5.647 lavoratori in meno. Esposito: ‘Inversione trend negativo e rinnovo contratto Abi nostre priorità’


Ogni giorno in Italia poco meno di due sportelli bancari chiudono definitivamente i battenti e con essi oltre 15 dipendenti che giorno per giorno spariscono.

Un trend negativo che registra meno sportelli, meno servizi per famiglie e imprese, meno dipendenti: lo scorso anno, infatti, le filiali sono diminuite di 664 unità, passando da 21.650 nel 2021 a 20.986, e di circa un quarto negli ultimi cinque anni, quando nel 2017 erano 27.374.

Una desertificazione che trascina con sé anche una diminuzione del personale bancario, pari lo scorso anno a 264.132 in flessione del -2,1% rispetto all’anno precedente per -5.647 dipendenti. Sono alcuni numeri contenuti in un report prodotto dall’Ufficio studi della Fisac Cgil Nazionale su dati di Bankitalia e dal quale emerge, osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito, “una dinamica di settore estremamente preoccupante che disegna una desertificazione, bancaria e occupazionale, al momento inarrestabile: serve con urgenza invertire questa tendenza”.

Sportelli e Occupazione

Dai dati del report della Fisac Cgil, elaborazione di uno studio di Banca d’Italia del 31 marzo scorso, si rileva che a fine 2022 gli sportelli operativi in Italia ammontavano a 20.986, diminuiti di -664 unità rispetto ai 21.650 rilevati nel 2021 (-3,1%). Considerando gli ultimi cinque anni il numero di sportelli è diminuito di -6.388 unità, quasi il -24% delle 27.374 unità rilevate a fine 2017 rispetto alle 20.986 del 2022: in sintesi nel periodo 2017-2022 il numero di sportelli bancari in Italia si è contratto di quasi un quarto (23,3%) rispetto al dato di partenza. Alla contrazione del numero di sportelli è corrisposta quella degli organici bancari. A fine 2022 i dipendenti bancari italiani erano 264.132, in calo rispetto ai 269.779 rilevati a fine 2021 (-5.647 unità per un -2,1%). Sugli ultimi cinque anni la flessione registrata è del -7,7%, quando nel 2017 i dipendenti bancari erano 286.222.

“Il settore bancario – afferma la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito – sta vivendo una situazione estremamente preoccupante. I maggiori gruppi proseguono, tra digitalizzazione e piani industriali, nell’operazione di desertificazione e sparizione bancaria e occupazionale. Una tendenza ancora più grave perché incide in aree del paese caratterizzate da comuni di minori dimensioni e dove un tessuto finanziario solido è funzionale allo sviluppo economico e al contrasto all’illegalità”. Per Esposito, inoltre, “l’espulsione di forza lavoro sui territori non sufficientemente reintegrata, la concentrazione sulle sedi centrali del nord del personale a maggior qualificazione e la rarefazione di punti di riferimento per l’erogazione del credito rischiano anche di incidere sull’esito dei progetti legati al Pnrr. Per queste ragioni, insieme al rinnovo del contratto Abi, sosteniamo occorra dare attenzione a queste criticità e invertire la tendenza”.

Territori

La riduzione degli sportelli bancari è generalizzata in tutte le regioni e ha inciso percentualmente in misura maggiore, nel dato anno su anno, in Molise (-5,8%), nelle Marche (-4,9%) e in Sardegna (-4,1%). Rispetto agli ultimi 5 anni le flessioni maggiori si riscontrano sempre in Molise (-31,9%), in Abruzzo e in Valle d’Aosta (-26,9%). Per quanto riguarda i dipendenti le flessioni maggiori in percentuale, tra il 2022 e il 2021, si sono registrate in Liguria (-19,9%), in Toscana (-9,7%) e in Campania (-7,6%). Sul raffronto 2017-2022 emergono in negativo ancora una volta la Liguria (-38,7%), seguita dalla Valle d’Aosta (-28,2%) e dall’Umbria (-26%).

Tendenze

Dal Report dell’Ufficio studi della Fisac Cgil emerge come si accentui ulteriormente la tendenza alla concentrazione dei dipendenti nei territori dove insistono le direzioni generali dei gruppi più grandi. Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, luoghi dove hanno sede principale cinque dei sei maggiori gruppi bancari, sono le prime tre regioni per numero di addetti: nei loro territori lavora il 52% di tutti i dipendenti bancari (135.167 su 264.132) a fronte di una popolazione residente di poco superiore al 30%. In generale, inoltre, le regioni che hanno perso più dipendenti in percentuale appartengono al Mezzogiorno, al Centro Italia Appenninico (Umbria e Marche) e alle aree più vicine ai confini nazionali (Liguria, Val D’Aosta, Friuli Venezia Giulia). Alla luce del trend negativo lo studio della Fisac Cgil prevede, senza interventi, una ulteriore diminuzione del numero di filiali al 2027 pari a circa 2.500 unità, così come sul fronte lavoro una ulteriore riduzione del numero dei dipendenti in una forbice compresa tra le 12 e le 14 mila unità al 2027.

Scarica il report




Una paga di 3,96 euro l’ora è anticostituzionale, azienda condannata

Un’addetta al servizio di portierato, lo stipendio è sotto la soglia povertà


Lavorava 12 mesi l’anno per una società di vigilanza, ma nonostante l’applicazione del contratto nazionale di settore, percepiva uno stipendio inferiore al reddito di cittadinanza, intorno ai 640 netti.

Secondo il giudice del lavoro di Milano, la paga oraria effettiva della signora, 3,96 euro all’ora, la faceva vivere addirittura sotto la soglia di povertà, stimata dall’Istat a 840 euro.

Quindi, ha stabilito, una paga anti-Costituzionale. Perchè l’articolo 36 della Carta sancisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Sul banco degli imputati, nella causa in cui la donna è stata sostenuta dagli Adl Cobas, è la Civis, importante società di vigilanza privata con sede legale a Milano. La dipendente, impiegata nel servizio di portierato in un magazzino della grande distribuzione, vive invece a Padova.
Nel capoluogo euganeo, sempre nel settore dei servizi fiduciari, che hanno 4 contratti collettivi differenti, sarebbero pendenti un’altra ventina di cause simili, spiega Mauto Zanotto, di Adl Cobas. “Non solo in aziende private, come Civis – afferma – ma anche in settori del pubblico impiego, Esu, Ospedali, Agenzia delle Entrate”.

Con la sentenza in favore della lavoratrice, il giudice Tullio Perillo, ha condannato Civis a pagare un risarcimento di 372 euro lordi in più per ogni mese (oltre 6.700 in totale), ovvero il differenziale tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato. “È una vittoria storica — aggiunge Zanotto di Adl Cobas — che apre la strada anche ad altri lavoratori nella stessa situazione in Italia, circa 100mila. E soprattutto dice ai sindacati che avevano siglato questo collettivo, nel caso specifico Cgil e Cis, che quei contratti da fame, non vanno firmati”.

Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte: “Cifre come questa non permettono di vivere una vita dignitosa: sono paghe da fame, che violano quanto scritto nella nostra Costituzione all’art. 36”.

Anche il Capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra in commissione Lavoro della Camera, Franco Mari, sottolinea come “dopo la sentenza del giudice del lavoro di Milano tocca al Parlamento: Le opposizioni hanno il dovere di fare una sintesi, non al ribasso, tra le cinque proposte di legge sul Salario Minimo in discussione”

 

Fonte: ANSA




ISP: le assemblee in Abruzzo


 

Assemblee ISP in Abruzzo

 

Nella seconda metà di marzo si sono svolte anche in Abruzzo le Assemblee del Personale del Gruppo ISP. Sono state convocate unitariamente 9 Assemblee, tutte in presenza, che hanno visto la partecipazione di circa 500 lavoratrici e lavoratori con una percentuale media che ha sfiorato il 60% della platea potenziale.

Una partecipazione attenta ed attiva con tante colleghe e colleghi che hanno preso la parola facendo interventi, ponendo domande, avanzando proposte e rivendicazioni, ed anche talvolta chiedendo approfondimenti circa l’operato delle Organizzazioni Sindacali. E’ stata un’importante e proficua occasione per riallacciare un dialogo più stretto e diretto tra lavoratori e sindacato che, a causa degli anni pandemici, si era giocoforza un po’ diluito e che ora è intenzione di tutti recuperare e riprendere a pieno ritmo ed in tutte le forme attuabili, a partire dalle prossime assemblee per la presentazione della piattaforma di rinnovo del CCNL.

Molte le richieste di chiarimenti sull’operato dell’Azienda, in particolare negli ultimi mesi, sfociato nella revoca del mandato di rappresentanza all’ABI, che desta in tutti molta preoccupazione e grande incertezza: al riguardo da parte nostra si è ribadita la centralità del CCNL, che peraltro è stata confermata anche da parte aziendale alle Segreterie nazionali ed agli organi di stampa.

Oltre alle più recenti vicende, culminate con il mancato accordo sulla nuova organizzazione del lavoro, ampiamente dibattuto e spiegato rimarcando la necessaria assoluta preminenza della contrattazione collettiva, sono stati toccati tanti temi che afferiscono alla sempre più complicata realtà lavorativa quotidiana, sia della Rete che delle strutture di Governance, seppure con problematiche e specificità diverse.

Nelle Filiali naturalmente il “tema dei temi” è quello del clima aziendale in tutte le sue componenti: pressioni commerciali ansiogene – carenza di organici – carichi di lavoro – (dis)organizzazione logistica e degli ambienti lavorativi – inadeguatezza di procedure lente e macchinose – spazi inadeguati e sempre meno puliti e manutenuti – scarsa o spesso nulla possibilità di usufruire dei vari strumenti di conciliazione tempi vita/lavoro – difficoltà nel poter fare una corretta formazione – richieste aziendali di “connessione lavorativa” sempre più invasive nei modi e nei tempi – elevata mobilità territoriale ad iniziativa aziendale e scarsissima in accoglimento richieste – il quasi nullo accoglimento delle richieste di mobilità professionale.

Tanti hanno ripetuto quanto ansiogene, stressanti e con pericolose ricadute sulla salute psico/fisica siano le continue sollecitazioni commerciali, con le ripetute e ossessive richieste di previsione e rendicontazione delle vendite e degli appuntamenti. Particolarmente antipatica risulta la pubblicazione, visibile a tutti, di confronti e classifiche – all’interno delle filiali e tra le filiali della stessa area – che creano disagio, amarezza e senso di inadeguatezza nei colleghi che, per tanti possibili motivi, si possono trovare nelle ultime posizioni, con effetti tutt’altro che motivanti.

Nelle strutture di Direzione della nostra regione ci sono altresì problematiche diverse che contribuiscono a non costruire un clima sereno all’interno degli stessi uffici e, soprattutto, tra uffici e filiali con una preoccupante latente spaccatura tra strutture, che sfocia in un progressivo annullamento dello spirito di appartenenza. Prima tra tutte è la mancanza di percorsi e ruoli professionali per il personale di Governance: è necessario ed urgente avviare una proficua trattativa per la definizione di nuovi ruoli e percorsi professionali che non si limitino ad individuare le figure di coordinamento ma definiscano un adeguato riconoscimento della professionalità specifica di tutti i colleghi, ripensando anche il meccanismo del Titling che nella sua versione attuale risulta totalmente inadeguato. Emblematica in questo ambito è la situazione dei colleghi DSO del palazzo di L’Aquila che si occupano dei pignoramenti e sequestri per importi plurimilionari, con le relative responsabilità e rischi di contestazioni da parte delle Autorità Giudiziarie, e che sono quasi tutti inquadrati al minimo livello contrattuale (3A1L) essendo di derivazione dell’ex Polo ISGS. Altra criticità nella nostra regione è la totale assenza di HUB aziendali che potrebbero alleviare il pesante pendolarismo giornaliero di molte colleghe e colleghi.

Infine una nota positiva nel nostro territorio – e che speriamo rimanga tale e sia di trascinamento per altre strutture – è la Filiale Digitale di Chieti Colonnetta nella quale ci è stata rappresentata una situazione di buon clima ed equilibrio nella gestione dei turni e dell’organizzazione del lavoro.

In conclusione, gli interventi dei colleghi hanno rivelato un generale e crescente malcontento, giunto ormai a livelli di intollerabilità. Abbiamo raccolto tutte le indicazioni emerse e da più parti viene richiesto di riprendere la trattativa alzando l’asticella rivendicativa. E se ciò non dovesse bastare ad ottenere risultati apprezzabili, di valutare anche l’inizio di una stagione vertenziale nei confronti dell’Azienda con tutte le possibili forme di mobilitazione.

Pescara, 6 Aprile 2023

Coordinatori Area Abruzzo Intesa Sanpaolo
FABI – FIRST CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN




Rinnovo CCNL ABI, le richieste dei Sindacati: aumenti, smart working e 35 ore

Aumenti retributivi, riduzione dell’orario a 35 ore settimanali e norme ulteriori sul lavoro da remoto.

Questi alcuni dei principali punti della piattaforma unitaria approvata oggi dai segretari generali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, Lando Maria Sileoni, Riccardo Colombani, Susy Esposito, Fulvio Furlan ed Emilio Contrasto.

La piattaforma verrà sottoposta, nelle prossime settimane, al vaglio delle assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori.
In particolare si richiede aumento retributivo di 435 euro su base mensile per la figura di riferimento (con relativo adeguamento anche sulle altre voci economiche) e ripristino del calcolo pieno del trattamento di fine rapporto (Tfr).

Riduzione dell’orario di lavoro standard a 35 ore settimanali (oggi 37:30), quindi si chiedono 30 minuti giornalieri in meno (poi da adattare per i turni 4×9 e 6X6).

Richiesta anche di allargare l’area contrattuale per estendere il perimetro di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro (in particolare, superamento comma 6 dell’art. 1) e introdurre dei limiti certi alle attività appaltabili/accessorie.

Reintegra nel caso di licenziamenti ingiustificati (ex art. 18 statuto dei lavoratori). Si chiede poi di normare ulteriormente il lavoro da remoto per evitare abusi (telelavoro e smart working).

Estensione delle funzioni della “cabina di regia” per aggiornare il Ccnl in caso di innovazioni, ma anche per evitare deroghe e fughe in avanti da parte dei gruppi. Si chiede anche di “introdurre una serie di momenti di confronto con le organizzazioni sindacali per provare ad intervenire sull’organizzazione del lavoro ed incidere sulla situazione dei carichi di lavoro e la carenza degli organici. Maggiori tutele in materia di obblighi del personale e procedimenti disciplinari (anche con contrasto ad esempio dei codici di condotta unilaterali)”.

 

Fonte: Ansa

 

Scarica il testo della piattaforma




Maggio di lotta, al via la mobilitazione unitaria

Cgil, Cisl e Uil avviano assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori organizzando tre manifestazioni interregionali a Bologna (6 maggio), Milano (13 maggio) e Napoli (20 maggio)


Dalle parole ai fatti. Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di avviare unitariamente nei mesi di aprile e maggio una fase di mobilitazione con la realizzazione di una generalizzata campagna di assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori. In questo percorso sono previste tre manifestazioni interregionali di sabato (Nord, Centro, Sud), da svolgersi a Bologna (6 maggio), Milano (13 maggio) e Napoli (20 maggio).

La mobilitazione, si legge in una nota unitaria, “intende sostenere le richieste avanzate da Cgil, Cisl e Uil e dalle categorie nei confronti del governo e del sistema delle imprese al fine di ottenere un cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali. Molti i temi su cui i sindacati chiedono un radicale cambio di passo. A cominciare dalla tutela dei redditi dall’inflazione e dall’aumento del valore reale delle pensioni e dei salari. C’è poi il rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati. Altra richiesta: riforma del fisco, con una forte riduzione del carico su lavoro e su pensioni, tassazione extraprofitti e rendite finanziarie.

E ancora, il potenziamento occupazionale e dei finanziamenti al sistema sociosanitario pubblico per garantire il diritto universale alla salute e del sistema di istruzione e formazione, maggiore sostegno alla non autosufficienza. Poi la richiesta di maggiore sicurezza: basta morti sul lavoro, contrasto alle malattie professionali e alla precarietà, centralità della sicurezza sul lavoro nel sistema degli appalti, eliminazione subappalti a cascata, lotta senza quartiere alle mafie e al caporalato. I sindacati chiedono anche una riforma del sistema previdenziale.

Ed infine, politiche industriali e d’investimento condivise con il mondo del lavoro per negoziare la transizione ambientale e digitale, realizzando un nuovo modello di sviluppo con particolare attenzione al mezzogiorno e puntando alla piena occupazione.

 

Fonte: www.collettiva.it




Reddito di cittadinanza, le storie di chi lo perderà: “Ci tolgono la dignità”

Il Reddito di cittadinanza ha avuto “un ruolo chiave” nel combattere la povertà in questi anni, seppur insufficiente. Lo ha scritto l’Istat più volte. Prima della pandemia e ancor più durante e dopo la stessa. Per questo, quando il governo Meloni ha deciso prima di cancellarlo, poi di ridurlo considerevolmente, era chiaro che ciò avrebbe rappresentato un drammatico problema per milioni di persone. Tutti “occupabili” secondo il governo, una categoria senza paragoni in Europa. Ma chi sono, davvero, queste persone? Il Fatto Quotidiano chiesto ai nostri lettori che percepiscono il Rdc come stanno vivendo questi mesi d’attesa. Hanno scritto a decine. Sono storie di persone a cui la vita aveva già tolto molto, quasi tutto, e a cui il sussidio ha ridato forza e fiducia nelle istituzioni. Riportiamo piccoli estratti di alcune di esse per raccontare il Paese a cui Meloni e i suoi vogliono togliere il reddito.

 

LE FAMIGLIE


“Ho 50 anni, disoccupata e separata con due figli a carico di 14 e 19 anni. Il padre non versa l’assegno di mantenimento, devo provvedere interamente io ai figli con 875 euro al mese di Rdc compreso di assegni familiari. Con questi 875 euro dobbiamo mangiare in tre, pagare bollette, vestiario, spese mediche, scolastiche, sportive, altri extra (riparazioni in casa, spese impreviste) e mantenere una piccola auto che occorre per gli spostamenti abitando in periferia. Per fortuna non pago mutuo o affitto di casa altrimenti saremmo già sotto i ponti. Ho inviato tanti curriculum, fatto concorsi, sono iscritta al centro per l’impiego, ma l’unica proposta che ho ricevuto è un corso di formazione che a tutt’oggi ancora devo fare perché l’agenzia ha detto che si deve formare una classe congrua. Mi chiedo se queste menti diaboliche che stanno al governo hanno pensato minimamente che togliere anche 50, 100 euro su 875 euro al mese significa non
poter pagare una bolletta, oppure non poter fare una visita medica, comprare scarpe ai figli…”.
Tiziana D., 50 anni

Siamo una famiglia di percettori, laureati, due genitori e una bambina. Percepiamo 1.080 euro inclusa la differenza dell’assegno per figli minori. Il Rdc ci ha salvato quando nel maggio 2019 ho perso il mio lavoro in nero per un’azienda barese (800 euro, 10 ore al giorno) dove ho avuto un incidente che non ho denunciato. Nel 2017 avevo già avuto un incidente in campagna, sono stato allettato tre mesi. Non ho denunciato per mantenere un lavoro che poi ho perso comunque. Nel maggio del 2019 per paura di denunce sono stato licenziato e da allora nessuno mi ha prende più. In regola, poi, figurarsi. Da settembre ci tagliano tutto a metà e non sappiamo nemmeno se il bonifico per l’affitto sarà consentito.
Appena la Meloni ha vinto le elezioni il padrone di casa mi ha mandato il preavviso di liberare la casa, ci vuole rimettere dentro in nero. Come camperemo adesso?”.
Danilo, 44 anni

 

I TIMORI DI CHI RIMANE INDIETRO


“Premetto che un lavoro a me non verrà dato tanto facilmente visto il mio passato di tossicodipendenza, sono 16 anni che ne sono fuori ma purtroppo questo interessa poco, per molti rimango sempre un ex tossico. Io voglio lavorare ma con queste premesse sarà difficile. Chiedo alla signora Meloni un lavoro che mi permetta di sopravvivere almeno, un lavoro che posso fare e che il mio corpo possa reggere”.
Pietro P., 54 anni

“Vengo da un famiglia problematica, mio padre non ci ha fornito mai nessun sostegno né morale né economico finché non lo abbiamo chiamato in tribunale. […] Ho cercato un lavoro, ma avendo quasi 50 anni non ho trovato molto, solo cose in nero e sottopagate. Poi è arrivata la pandemia e solo grazie al Rdc non sono finita per strada. […] Forse per chi ci governa sarei dovuta morire anche io nel 2018 con mia madre essendo una cinquantenne senza titolo di studio, senza lavoro, senza figli e senza famiglia. Non mi aspetto molto dal futuro e non so se rientrerò nella categoria che percepirà il Mia, posso dire solo grazie a chi ha istituito il Rdc”.
Francesca N., 53 anni

“Questa vicenda mi determina un’ansia indescrivibile. Non nascondo che i 500 euro mensili mi sono di aiuto a sostenere spese per lo svolgimento della quotidianità e per il benessere di mio figlio a cui dedico quasi tutto il mio tempo. La paura di perdere questo sussidio quasi non mi fa dormire la notte aspettando che arrivino i 67 anni per poter avere la mia pensione che se anche sarà la minima mi permetterà di vivacchiare serenamente. È vero che ci sono migliaia di furbetti, mi capita spesso di vedere al supermercato persone che lavorano per certo (ovviamente in nero) che pagano con la carta del Reddito di cittadinanza. Spero che la vostra iniziativa dia buoni frutti e che queste iniziative del governo, vostro tramite, siano ponderate e ben articolate”.

Pier Giovanni, 66 anni

“Sono dovuta tornare in Sicilia per accudire mio padre durante il breve tratto della sua malattia orribile, con la speranza che un miracolo accadesse […]. Non sono più riuscita a risalire e sono rimasta qui per sbrigare tutto ciò che c’era da fare. Non ho trovato lavoro, qui la situazione per i giovani è molto disagiata… io prego che questo errore non venga fatto, ma se dovesse succedere credo che l’Italia faccia tremila passi indietro, molti si sentiranno di nuovo abbandonati a se stessi. La fame bisogna provarla per poter parlare, come il dolore di un lutto e le altre cose brutte della vita. Non credo che la Meloni abbia mai patito la fame, non siamo tutti uguali, non tutti hanno fortuna nella vita”.

Roberta R., 38 anni

 

IL LAVORO AGLI OCCUPABILI


“Io sono uno dei tanti che il Rdc ha letteralmente salvato dallo sfratto, vivendo in affitto. Ora grazie al governo Meloni questo pericolo tornerà. Ho un diploma, parlo bene, mi reputo una persona perbene. […] Ci hanno promesso corsi di formazione che non sono partiti, dicono che non vogliamo lavorare ma io sto cercando lavoro anche come lavapiatti, ma per età o per scarsa esperienza non riesco a trovare. Solo di affitto pago 350 euro al mese, con l’eventuale Mia io avrei diritto se tutto va bene a 375 euro al mese. Secondo voi come farò? Non ho altre entrate e non ho una famiglia alle spalle che mi possa aiutare economicamente o anche per un tetto sulla testa”.

Giuseppe I., 51 anni

“Sinceramente se non ci fosse stato il Reddito di cittadinanza non so proprio come avrei potuto sopravvivere perché non sono riuscita a trovare uno straccio di lavoro se non puro sfruttamento. Ora che il nuovo governo vuole sostituire il Rdc con Mia non potrò neanche permettermi un monolocale, sono disperata, i miei attacchi di panico stanno aumentando, sono preoccupatissima: il lavoro non c’è soprattutto per chi ha superato una certa età”.

Maria C., 56 anni

“Lavoravo con una azienda multiservizi con contratto a tempo indeterminato, nel 2019 ci hanno licenziato perché lavoravano in subappalto. Da quel momento l’odissea, sono dovuto tornare a casa con mia madre perché non potevo pagare l’affitto, però nel 2021 è venuta a mancare. Adesso mi trovo in provincia di Ferrara, sono iscritto a tutte le agenzie come a molti siti per il lavoro, ma per qualche azienda sono molto grande, per altre sono molto formato, per altri è meglio avere un giovane per avere qualche agevolazione, il discorso è quello […]. L’estate del 2022 volevo provare a fare la stagione, ma anche quello è stato un buco, vogliono giovani per pagarli meno. Avevo una speranza che questo governo davvero ci avrebbe dato un lavoro dopo quei famosi corsi, però è stata solo una presa in giro. Mi scuso per i troppi errori ma sto scrivendo questa email con le mani che mi tremano”.

Gianluca C.

 

Lettere pubblicate sul Fatto Quotidiano del 30/3/2023 a cura di Leonardo Bison




La “Casa dei Mandarini” un’esperienza di progettazione partecipata in provincia di Chieti

Un bene confiscato in provincia di Chieti trasformato in bene comune:  La Casa dei Mandarini  è il nome del progetto che, nell’ambito della Strategia Nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie prevista dal Pnrr, è stato finanziato nel comune di Santa Maria Imbaro, il comune di duemila abitanti dove nascerà un centro polivalente e antiviolenza per la comunità, un luogo di aggregazione sociale delle nuove generazioni e di supporto a nuove attività di imprenditoria.

Il progetto, che ha coinvolto nella sua realizzazione lo studio Lap Architettura, prende origine dall’unico segno di vita presente, un albero di mandarino, che rappresenta il simbolo di resilienza e di bellezza. E’ per questo che Cgil Chieti, Fisac Cgil Chieti, Fisac Abruzzo Molise insieme al Presidio Libera Chieti Attilio Romanó si sono proposti di realizzare un reportage che, con l’intento di condividere le buone prassi al servizio del recupero, della salvaguardia e della valorizzazione dei beni confiscati, rilanciasse le prospettive generative della ridestinazione a uso sociale dei beni confiscati in termini di opportunità di lavoro, di giustizia sociale, di presa in cura del territorio come bene comune. 

Guarda il reportage a questo link

Fonte: www.confiscatibene.it




Banca Popolare di Bari: sciopero!


Il 29 marzo u.s., presso la sede dell’ABI a Roma, si è tenuto il necessario incontro delle Organizzazioni Sindacali Aziendali con la competente Commissione Nazionale, composta da due conciliatori di ABI, la Banca BPB rappresentata dal dott. Franzon ed i Segretari Nazionali delle OOSS, per l’esperimento del “tentativo di conciliazione” in materia di sciopero.
Le OO.SS. aziendali tutte hanno illustrato le proprie istanze oggetto della vertenza in atto.

Nessuna risposta è stata data, da parte aziendale, sui temi e le criticità alla base della nostra mobilitazione. Solo una generica dichiarazione di non meglio disponibilità successiva alla presentazione del Piano Industriale di Gruppo prevista per il giorno 3 aprile p.v.

Le OO.SS preso atto, hanno doverosamente chiesto all’Azienda di precisare le tematiche sulle quali avrebbero dovuto incontrarle. La risposta è stata alquanto evasiva e priva di elementi concreti sui quali discutere. Ancora una volta l’Azienda ha dimostrato scarsa sensibilità alle problematiche delle Lavoratrici e dei Lavoratori; la procedura del tentativo di conciliazione si è quindi chiusa con “esito negativo”.

Le OO. SS., constatata l’indifferenza della Banca, tenuto conto del mandato ricevuto dalle Lavoratrici e dai Lavoratori nelle assemblee, proclamano per il giorno 17 aprile p.v. una giornata intera di

SCIOPERO

che diventa unica via necessaria perseguibile a fronte di una evidente e determinata chiusura da parte aziendale.
Vi terremo tempestivamente informati nei prossimi giorni.

Bari, 31marzo 2023

 

Segreterie di Coordinamento
FABI-FIRST CISL-FISAC CGIL-UILCA -UNISIN
Banca Popolare di Bari -Gruppo MCC