Ascoltate il lavoro: le 10 richieste della CGIL alla politica

Mercoledì 14 settembre si è svolta a Bologna l’assemblea nazionale dei Delegati Cgil durante la quale sono state presentate le 10 richieste della CGIL a tutti i partiti politici.


 

Aumentare i salari e difendere i redditi da lavoro e da pensione dall’inflazione, rafforzare la contrattazione e riformare il fisco

1 – Tutelare e aumentare il potere di acquisto di salari e pensioni. Intervenire a livello nazionale ed europeo sulla formazione dei prezzi. Fissare un tetto alle bollette. Proteggere l’occupazione. Integrare il trattamento economico della cassa integrazione.
Salario minimo legato al trattamento economico complessivo dei CCNL e legge sulla rappresentanza. Rinnovare i contratti, e affermare la centralità della contrattazione per assicurare diritti e partecipazione.

2 – No Flat Tax e condoni, sì a una riforma progressiva e redistributiva. Abbattere l’evasione e l’elusione fiscale. Tassare gli extraprofitti e redistribuirli ai redditi da lavoro e alle pensioni più basse.

 

Stop alla precarietà e riduzione degli orari di lavoro

3 – Superare il Jobs Act e le norme che hanno precarizzato il lavoro, abolendo le tipologie di lavoro precario e sottopagato e introducendo un contratto unico di ingresso a contenuto formativo ed estendendo le tutele dei lavoratori autonomi. Definire un Nuovo statuto dei diritti per tutto il mondo del lavoro. Piano per la piena e buona occupazione in particolare per giovani e donne. Superare i divari di genere e generazionali.

4 – Condizionare i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche collegandoli alla stabilità dell’occupazione e contrastare le delocalizzazioni. Riduzione e redistribuzione degli orari di lavoro per una nuova occupazione stabile e per il diritto alla formazione permanente.

 

Il filo della legalità e la sicurezza sul lavoro

5 – Estendere a tutto il sistema degli appalti e dei subappalti privati il rispetto e l’applicazione dei Contratti nazionali e delle clausole sociali. Contrastare le mafie, lo sfruttamento lavorativo, il caporalato e il lavoro nero.

6 – Basta morti sul lavoro: prevenzione, formazione, salute esicurezza garantite ed esigibili e inasprimento delle sanzioni.

 

Nuovo stato sociale e diritti di cittadinanza

7 – Innovare il sistema pubblico e investire attraverso un piano straordinario di assunzioni pubbliche e di stabilizzazione del personale precario. Centralità del servizio sanitario pubblico e universalistico e del sistema pubblico di istruzione e conoscenza. Garantire una misura universale di lotta alla povertà, come il reddito di cittadinanza. Introdurre la legge sulla non autosufficienza. No alla autonomia differenziata: garantire l’esigibilità di diritti e l’accessibilità alle prestazioni in modo uniforme in ogni territorio. Politiche inclusive e piena integrazione e diritti civili per i cittadini migranti. Cambiare la legislazione sull’immigrazione.

8 – Modificare radicalmente il sistema previdenziale superando la riforma Fornero e ricostruendo un sistema previdenziale pubblico, solidaristico ed equo che unifichi le generazioni – pensione contributiva di garanzia – e le diverse condizioni lavorative – gravosi, lavoro di cura e delle donne – e garantisca flessibilità in uscita a partire da 62 anni o con 41anni di contributi a prescindere dall’età.

 

Politiche di sviluppo e nuovo intervento pubblico

9 – Nuove politiche industriali e costituzione di un’Agenzia per lo Sviluppo dotata di poteri e di un Fondo speciale per le transizioni ambientale e digitale per rafforzare gli strumenti di governo delle crisi e delle riconversioni. Piano nazionale per le Giuste transizioni, ambientale e digitale per garantire la tutela e continuità occupazionale, creazione di nuova occupazione e diritti. Piano strategico per l’autonomia energetica con conseguente e fondamentale accelerazione degli investimenti nelle fonti rinnovabili.

10 – Recuperare i divari territoriali e di sviluppo a partire dal Mezzogiorno. Riqualificazione delle grandi periferie urbane, delle aree interne e incrementare l’edilizia pubblica e sociale.




“I poveri rompono il cazzo”: una riflessione sul Briatore-pensiero

Non ho mai visto un povero creare dei posti di lavoro. Chi crea ricchezza sono le aziende, gli investimenti. Ma qui invece di ringraziarti rompono anche il cazzo: il Paese è questo, c’è una rabbia sociale enorme.

Così parlò Flavio Briatore. Ed è importante che lo abbia fatto. Perché la schiettezza e la volgarità delle sue parole chiariscono bene il pensiero di una parte non piccola dei nostri concittadini.
Per molti italiani essere poveri è una colpa. Il fatto di non guadagnare, o di guadagnare poco, secondo loro dipende dalle scelte dei singoli, dalla scarsa voglia di lavorare o di mettersi in gioco. E anzi chi è povero e disoccupato, o è povero e sottopagato, quando si lamenta rompe. Il metro di paragone è sempre la propria vita: se sei nato in una famiglia modesta e ce l’hai fatta non concepisci la possibilità che altri, con le tue stesse condizioni di partenza, non abbiano ottenuto un successo analogo al tuo. Se i tuoi genitori erano invece ricchi e benestanti la vera povertà non riesci nemmeno a immaginarla.

A uso di Briatore e dei suoi fan ecco quindi qualche spunto di riflessione.

Il primo è sugli imprenditori. È certamente vero che sono le aziende a creare posti di lavoro. Ma non è vero che i poveri non ne creino. Pensate ad esempio ai rider, alle tante persone in genere straniere che in cambio di compensi spesso bassissimi consegnano il cibo a casa di italiani più abbienti di loro. Chi ha ideato il sistema di consegne a domicilio ha certamente creato lavoro. Ma anche ogni singolo rider ne crea: grazie alle sue pedalate poco retribuite incrementa i fatturati di bar e ristoranti i quali, per tenere fronte agli ordini crescenti, assumeranno altre persone. Se i rider protestano non rompono il pistolino dell’aspirante Briatore di turno, ma chiedono semplicemente che la ricchezza creata dall’impresa venga meglio distribuita. E questo vale pure per gli operai della logistica o per chi raccoglie in nero pomodori. Tutte attività che ben raramente vengono pagate più di 9 euro lorde all’ora. Per questo se i tanti seguaci del Briatore-pensiero riflettessero, capirebbero bene che lavoratori meglio pagati contribuiscono a creare più ricchezza per tutti, perché con i loro salari saranno in grado di acquistare cibi e merci più cari e migliori, che faranno più ricchi altri imprenditori e lavoratori.

I numeri, del resto, non mentono. In Italia chi è figlio di poveri in genere resta povero. Tanto che secondo l’Ocse, nel nostro Paese ai bambini nati in famiglie a reddito basso sono necessarie cinque generazioni prima che i loro eredi possano toccare il reddito medio. In Danimarca, Norvegia e Finlandia, grazie a uno stato sociale efficiente, di generazioni ne bastano invece due o tre.
Cosa accade ai poveri lo spiega Muhammad Yunus, l’economista indiano che nel 1977 ha fondato la Grameen Bank, una banca che concede agli ultimi microcrediti senza garanzie. Dice Yunus: “Si pensa che i poveri restino tali perché sono pigri o stupidi. In realtà è proprio l’opposto. Di solito i poveri lavorano tutto il giorno per sopravvivere. La maggior parte di loro ha capacità, ma non ha opportunità per dimostrarlo. Perché non hanno potuto studiare, perché nessuno li finanzia, perché tutti li sottopagano.

Per questo Briatore dovrebbe capire che anche a lui converrebbe una società di lavoratori ben pagati. Perché più grande sarà il numero dei benestanti e più grandi saranno le sue possibilità di trovare gonzi disposti a seguire non le sue strampalate teorie, ma a scialacquar denaro per acquistare le sue pizze al prezzo surreale di 25 euro.

 

Articolo di Peter Gomez su Il Fatto Quotidiano del 14/9/2022




La Cassazione allunga i termini di esigibilità dei crediti da lavoro

Prescrizione dei crediti da lavoro, la Cassazione stabilisce un importantissimo principio


Con sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 la Cassazione ha stabilito un importantissimo principio di diritto relativo alla data da cui far decorrere la prescrizione per i crediti di lavoro. Quella che potrebbe erroneamente sembrare una astratta questione tecnico-giuridica ha invece una portata applicativa molto concreta per il portafoglio dei lavoratori e delle lavoratrici.

Cosa si intende con il termine prescrizione?

La prescrizione (in ambito civile) è l’istituto per cui un diritto non può più essere esercitato in conseguenza (e a causa) dell’inerzia del titolare. Per i crediti retributivi tale termine è di 5 anni, per cui se qualcuno durante tutto un quinquennio non ha mai rivendicato, che so, delle differenze retributive per aver svolto mansioni di livello superiore o del lavoro straordinario non pagato, non può più farlo.

E perché è previsto questo limite?

Il motivo dell’esistenza di questo istituto risiede non nel sadismo del legislatore, bensì nell’esigenza di certezza del diritto: si ritiene che nessuno possa essere esposto in eterno alla possibilità che qualcuno gli muova delle richieste economiche.

E da quando decorrono i 5 anni per rivendicare i crediti di lavoro?

Ed ecco che arriviamo al punto della nuova sentenza: ora i lavoratori dipendenti da aziende private con più di 15 dipendenti potranno rivendicare i crediti retributivi entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

E quindi, dove starebbe l’innovazione della sentenza della Cassazione?

Generalmente nel diritto civile, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui un diritto può essere fatto valere. Nel diritto del lavoro però occorre tenere conto della disparità tra datore di lavoro – che detiene i mezzi di produzione – e il lavoratore, sottoposto al potere del primo. Alla luce di questo squilibrio tra le parti, già nel ’66 la Corte Costituzionale aveva stabilito l’incostituzionalità della norma del codice civile, evidenziando che la situazione di soggezione psicologica potrebbe indurre il lavoratore a non esercitare i suoi diritti per timore di subire un licenziamento.
La stessa Corte però, anni dopo, a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori del 1970 con la previsione della tutela reintegratoria in presenza di licenziamenti illegittimi da parte di datori con più di 15 dipendenti , aveva ritenuto che tale “stabilità” non giustificasse più la posticipazione nella data di decorrenza della prescrizione: veniva pertanto ripristinato il vecchio regime di decorrenza.

E allora perché oggi la Corte di Cassazione ha stabilito una cosa diversa?

Nel 2012 la riforma Fornero e nel 2015 il Job Act di Renzi hanno stabilito che in tanti casi in cui i licenziamenti vengono dichiarati illegittimi si può ottenere dal giudice solo un indennizzo economico. È stato perciò evidenziato che il mutato panorama della legislazione a tutela dei lavoratori degli ultimi dieci anni non garantisce più la stabilità reale del rapporto di lavoro, proprio perché le ridotte possibilità di reintegrazione potrebbe indurre i dipendenti a non mettersi contro il proprio datore fintanto che lavorano per lui.
Il tema era così importante e controverso che la Corte di Cassazione nel gennaio 2022 aveva organizzato una giornata di studi, invitando, oltre ai magistrati, autorevoli docenti universitari affinché le diverse posizioni si confrontassero in un franco dibattito, proprio in vista dell’udienza in cui la Corte stessa avrebbe dovuto pronunciarsi.

E cosa dice questa nuova sentenza?

La Cassazione il 6 settembre ha accolto la tesi più favorevole ai lavoratori, stabilendo che per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero (luglio 2012), il termine di prescrizione decorra dalla cessazione del rapporto di lavoro. Con queste conseguenze: se fino al 5 settembre 2022, (prima della sentenza) la mensilità non pagata di ad es. di luglio 2012 per una diffusa opinione doveva essere richiesta entro il luglio 2017, ora invece potrà essere richiesta entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

E fino a quando si può andare indietro?

Come abbiamo detto, fintantoché il rapporto di lavoro resta in vita, si possono rivendicare tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero: quindi fino al luglio 2007.

Fonte: Ilfattoquotidiano.it




L’Aquila, bancario morto per Covid: indennizzo di € 500mila

È deceduto dopo aver contratto il covid e così l’Inail si è vista richiedere dagli eredi un indennizzo-risarcimento di mezzo milione di euro.

Gli eredi di F.G., 56 anni, impiegato bancario aquilano, coniugato, si sono rivolti all’Associazione Giustitalia, che ha ricostruito l’accaduto in una nota che riportiamo integralmente.

L’uomo ha contratto il covid-19 nel mese di marzo 21 sul posto di lavoro, un ufficio bancario nel centro.

Dopo un’attenta istruttoria tramite il “tracciamento” dei contatti, si è appurato che il bancario aveva contratto il covid tramite il contatto con un collega positivo (prima di lui).

L’Associazione Giustitalia (www.associazionegiustitalia.it), che si occupa tra le altre cose di infortuni sul lavoro, ha inoltrato una richiesta indennitaria/risarcitoria per conto degli eredi di un  milione di euro.

L’Associazione evidenzia che :

La circolare n. 22 del 20 maggio 2020, ad integrazione e precisazione delle prime indicazioni fornite con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ribadisce che l’Inail, ai sensi dell’art. 42, c. 2 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n.27, fornisce tutela infortunistica ai lavoratori che hanno contratto l’infezione SARS-Cov-2 in occasione di lavoro, secondo il consolidato principio giuridico che equipara  la causa virulenta alla causa violenta propria dell’infortunio.
L’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria – sempre che il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa – con la conseguente astensione dal lavoro.
Gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, ma sono posti a carico della gestione assicurativa, a tariffa immutata, e quindi non comportano maggiori oneri per le imprese.
Con la circolare vengono inoltre meglio precisati i criteri e la metodologia su cui l’Istituto si basa per ammettere a tutela i casi di contagio da nuovo coronavirus avvenuti in occasione di lavoro e vengono altresì chiarite le condizioni per l’eventuale l’avvio dell’azione di regresso, precisando a tal fine che in assenza di una comprovata violazione delle misure di contenimento del rischio di contagio indicate dai provvedimenti governativi e regionali, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
Nella circolare, infine, viene chiarito che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non ha alcuna correlazione con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro nel contagio medesimo,  che è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del d.l. 16 maggio 2020, n.33”.

Una settimana fa siglata dagli eredi una transazione per 500 mila euro.

Fonte: AbruzzoWeb

 

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https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/il-covid-contratto-sul-lavoro-e-un-infortunio.html




Smart working prorogato fino al 31 dicembre per fragili e per chi ha figli under 14

Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis. La possibilità di ricorrere al lavoro agile era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Confermate anche le procedure semplificate di comunicazione.


È stato prorogato fino a fine anno lo smart working per i lavoratori fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni. Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis approvato dalle Commissioni riunite Bilancio e Finanze del Senato e passato all’esame dell’Aula di Palazzo Madama. Il testo contiene una serie di misure per aiutare famiglie e imprese a sostenere il caro energia.

“Prorogato fino al 31 dicembre lo smart working per i fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni”, ha scritto su Twitter il ministro Orlando. “In diverse occasioni, negli scorsi mesi, avevo proposto la proroga e mi ero impegnato affinché fosse approvata: promessa mantenuta”, ha aggiunto. La misura, ha spiegato, “rappresenta un intervento fondamentale per tutelare le persone più fragili, i genitori con figli piccoli e continuare a garantire migliore conciliazione del tempo vita-lavoro grazie alla modalità agile”.

Sia per i lavoratori fragili sia per i genitori con figli under 14, la possibilità di smart working era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Ora l’emendamento sposta il termine al 31 dicembre 2022. Agli oneri derivanti da questa modifica – si legge nell’emendamento – si corrisponde con 18,66 milioni per il 2022, che verranno coperti per 8 milioni attraverso il Fondo sociale per l’occupazione del ministero del Lavoro, e 10,66 milioni con riduzione del Fondo per le politiche attive del lavoro.

L’emendamento conferma anche le procedure semplificate di comunicazione. Le due categorie, lavoratori fragili o con figli under 14, dal primo agosto erano quindi prive della tutela di legge per il ricorso allo smart working. In molte aziende questi lavoratori sono dovuti tornare in presenza. Oppure si sono dovuti attenere alle modalità previste dagli accordi aziendali sul lavoro agile che le imprese hanno firmato con le rappresentanze sindacali.

Nel periodo in cui non c’è stata la copertura, alcune aziende hanno quindi rimediato con degli accordi firmati con le rappresentanze sindacaliAltre hanno fatto riferimento al decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 (articolo 4 lettera b): “I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi” per il lavoro in modalità agile sono tenuti “a riconoscere priorità alle richieste” di “lavoratori con figli fino a 12 anni, o senza limite di età in condizioni di disabilità”, e dei lavoratori “con disabilità in situazione di gravità accertata” o caregivers.

Le norme che regolano lo smart working, anche con la nuova proroga, sono le stesse che erano in vigore fino al 31 luglio. La possibilità di usufruire del lavoro da remoto deve essere compatibile con le caratteristiche della prestazione professionale. Per quanto riguarda i genitori di figli under 14, poi, in famiglia non deve esserci già un genitore che non lavora o che percepisce uno o più ammortizzatori sociali, come ad esempio la cassa integrazione. Per le persone fragili, i medici competenti devono accertare che siano maggiormente esposti a rischio di contagio.

 

Fonte: Sky Tg24




MPS: revisione del modello organizzativo

3 - Fisac Cgil

Coordinamenti Banca Monte dei Paschi Siena S.p.A.

 

Si sono svolti i primi incontri di confronto con l’azienda sulla complessa revisione del modello organizzativo. Pur non avendo ancora affrontato i temi salienti delle ricadute sul personale e in attesa di misurare anche l’impatto delle adesioni al Fondo di Solidarietà, formuliamo qualche valutazione iniziale sulla visione d’insieme del riassetto.

In questa fase non sono interessati il Consorzio, Mps Capital Services e Mps Leasing e Factoring, che formeranno oggetto di future operazioni societarie così come previste nel Piano Industriale.

Le affermazioni di potenziamento e rafforzamento contenute nella lettera di avvio della procedura, più realisticamente si traducono in una operazione di rivisitazione e adattamento di tutte le strutture della Banca resa necessaria dal forte ridimensionamento degli organici che si determinerà con l’esodo del primo dicembre.

Direzione Generale

Per tutte le direzioni nel disegno aziendale sono previsti dimensionamenti significativamente ridotti, ad eccezione del CCO che incrementa i suoi numeri complessivi a seguito della suddivisione in 3 direzioni specializzate – CCO Retail, CCO Imprese e Private e CCO Large Corporate e Investment Banking – e dell’accentramento di alcune funzioni attualmente svolte nelle Aree Territoriali (in particolare Ufficio Estero e Specialisti di prodotto – Tesoreria, PA e terzo settore – in ambito di Uff. Commerciale Sviluppo Monitoraggio e Coordinamento) e nelle Direzioni Territoriali (Specialisti di Prodotto Retail).

Aree Territoriali Commerciali

Dalle attuali 5 Aree Territoriali Commerciali si passerà a:

  • 14 nuove DTR Direzioni Territoriali Retail coadiuvate da un team di supporto (execution), con seguimento medio di un centinaio di filiali.
  • 14 nuove DTIP Direzioni Territoriali Imprese e Private, 10 delle quali con la compresenza del Direttore Private. La fusione dei due segmenti di mercato viene operata in logica sinergica e le direzioni saranno coadiuvate da team specialistici (prodotto/WM) e di supporto (execution).

Direzioni Territoriali

Dalle attuali 48 Direzioni Territoriali Retail si passerà a 132 nuovi Distretti Retail mantenendo sostanzialmente inalterato l’abbinamento tra filiali e District già in uso). I nuovi Distretti seguiranno mediamente una decina di filiali, comprese le filiali Top.

Delle attuali 14 Direzioni Territoriali Corporate e 10 Direzioni Territoriali Private si è detto più sopra.

Dal riassetto di Aree Territoriali Commerciali e Direzioni Territoriali Commerciali l’azienda stima un fabbisogno di organici da 1.100 attuali a 680, di cui 430 per le nuove Direzioni Territoriali Commerciali e 250 per le attività accentrate in Direzione Generale (rif.to pag. 4 lettera avvio procedura).

Aree Territoriali Credito

Dalle attuali 5 Aree Territoriali Credito si passerà a:

  • 14 nuove Direzioni Credito Territoriali Retail
  • 14 nuove Direzioni Credito Territoriali Imprese

Le direzioni si avvarranno dei team credito e proattiva (high risk).

Dal riassetto delle Aree Territoriali Credito l’azienda stima un fabbisogno di organici ridotto a quasi la metà, dagli attuali 600 a 320 (rif.to pag. 5 lettera avvio procedura).

Dal riassetto complessivo della Direzione Generale, Aree Territoriali Commerciali, Direzioni Territoriali Commerciali e Aree Territoriali Credito, così come si legge a pag. 7 della lettera di avvio procedura, l’azienda stima un fabbisogno di organici dagli attuali 5.903 a 4.193 (-1.700 di cui 410 risorse ipotizzate da riqualificare verso la rete commerciale).

Rete filiali

L’azienda intenderebbe operare i seguenti efficientamenti:

  • estendere il modello di servizio MC Modulo Commerciale alle filiali fino a 9/10 risorse (dalle attuali 6). Il cambio di rango interesserebbe 518 filiali.
  • Assegnare le attività del Supporto Operativo all’operatore di sportello e, nelle filiali PV Paschi Valore (attuali 824), eliminare lo Staff Supporto Operativo.
  • Elevare la clientela Valore da 75mila euro di raccolta al segmento Premium. Conseguentemente la linea premium necessiterebbe di ulteriori 600 risorse addette.

Abbiamo espresso da subito le nostre riserve sulla effettiva sostenibilità dei carichi di lavoro nella rete commerciale che, pur costituendo il riferimento sul territorio e il centro della relazione con la clientela, deve fare i conti con una significativa diminuzione degli organici per effetto del prossimo esodo.

Il riequilibrio tra addetti valore e premium a seguito della portafogliazione della clientela, le attività di supporto operativo assegnate all’operatore di sportello – spesso unico cassiere e magari part time nelle filiali cash light, per la cui eventuale sostituzione già si attinge internamente alla filiale – la riqualificazione degli addetti ai supporti operativi, l’espansione delle filiali Modulo Commerciale dove la saturazione dei portafogli e gli addetti misti sono la regola aurea, appaiono rimedi non risolutivi e difficilmente applicabili ad una realtà che già oggi non è omogenea, sconta carenze o disequilibri nella distribuzione degli organici e subisce le conseguenze di un modello di servizio che troppe volte si è limitato a redistribuire i carichi di lavoro in assenze di vere efficienze organizzative supportate da processi tecnologici efficaci e agevolanti.

Centri specialistici

I 73 Centri Corporate vengono ridenominati Centri Imprese e gli addetti amministrativi opereranno in sinergia coi diversi gestori, nella misura di 3 addetti ogni 4 gestori. Alcune operatività saranno accentrate alle strutture di supporto operativo, come già avviene per la rete filiali.

Nei Centri Imprese viene introdotta la figura del Coordinatore Small Business con funzione di raccordo tra Titolari delle filiali di seguimento e Direzioni Territoriali Imprese e Private, cui compete la responsabilità di quanto prodotto nel mondo SB. Anche a questo proposito, non manchiamo di esprimere le nostre riserve su processi di apparente semplificazione che non risolvono il dilemma delle SB a cavallo tra Retail e Corporate e introducono figure professionali con teoriche funzioni di supporto che più frequentemente si traducono in concrete sollecitazioni commerciali.

La sperimentazione dei Centri Small Business, da noi alquanto avversata, si conclude con la riallocazione dei colleghi e dei clienti sui Centri Corporate di provenienza.

I Centri Private restano immodificati.

Dal riassetto complessivo delle Filiali e dei Centri Corporate, come indicato a pag. 8 della lettera di avvio procedura, l’azienda stima un fabbisogno dalle attuali complessive 13.400 risorse (12.164 rete filiali, 889 centri corporate e 399 centri private) a 11.300 risorse.

Al di là delle almeno 410 risorse che potrebbero, previo indispensabile percorso formativo di riqualificazione, essere ricollocate nella rete commerciale dal cosiddetto “Centro” (DG, AT, DT e AT Credito) e delle non quantificabili efficienze rivenienti da operazioni societarie future previste dal Piano Industriale (incorporazione Consorzio, MPS Capital Services e MPS Leasing e Factoring), la rete commerciale – e in specie la rete filiali ed i Centri specialistici – dovrà ancora attingere dai propri organici, oltretutto destinati a ridursi a seguito delle adesioni al Fondo di Solidarietà.

Queste al momento le premesse aziendali e le nostre iniziali valutazioni. Martedì 13 settembre proseguirà il confronto con l’azienda.

Vi terremo informati.

Siena 12 settembre 2022

 

Le Segreterie




ISP: partita la trattativa per il piano industriale 22-25

3 - Fisac Cgil

Con le richieste che abbiamo avanzato oggi ha preso il via la trattativa relativa al Piano Industriale 2022-2025 e in particolare sulla definizione delle nuove modalità “post pandemia” per la gestione dello Smart Working e del modello organizzativo (orari lavoro, hub, turni).

Al fine di definire regole e modalità che non si limitino a fornire soluzioni organizzative utili solo per l’azienda, ma tengano conto anche delle aspettative e delle esigenze personali e di conciliazione dei colleghi oltre alle necessarie tutele, abbiamo rappresentato le nostre rivendicazioni di tutela ed economiche.

Qui di seguito sintetizziamo i principali aspetti su cui si deve basare la trattativa sullo Smart Working:

  • Volontarietà individuale nell’accesso e nella fruizione.
  • Fruizione reale dello smart working per tutti i colleghi sia di governance che di rete.
  • Mantenimento di postazioni aziendali tali da garantire in qualsiasi momento la possibilità di rientro.
  • Modalità che garantiscano il diritto alla disconnessione e al rispetto dell’orario di lavoro.
  • Erogazione dell’intero buono pasto, per il quale abbiamo inoltre richiesto un incremento per tutti i colleghi.
  • Riconoscimento di ristori per le spese energetiche.
  • Contributo per la postazione di lavoro.

Un punto irrinunciabile di questa trattativa è la definizione di regole per la gestione dello Smart Working e delle altre flessibilità ad adesione volontaria, eventualmente con modalità e frequenze diverse, che coinvolgano – lo ribadiamo –  tutti i dipendenti e quindi anche la Rete.

In relazione al piano aziendale di chiusura di circa 1.000 filali e di ulteriore razionalizzazione dei “Palazzi”, abbiamo chiesto un ampliamento e una maggiore distribuzione territoriale degli HUB in un’ottica della riduzione della mobilità.

Il confronto continua la prossima settimana e vi terremo aggiornati su tutti i temi che verranno affrontati.




Guida ai permessi elettorali

In vista delle elezioni in programma il prossimo 25 settembre, torniamo a pubblicare la guida Fisac ai permessi elettorali.

Ricordiamo che tutte le nostre guide sono disponibili nella sezione guide e manuali.

 

Scarica la Guida




ISP: il 9 settembre l’anticipo della liberalità di 500€

L’azienda ci ha comunicato che – in relazione alla liberalità di 500€ annunciata il 1° agosto  – il 9 settembre provvederà ad anticipare sul conto corrente dei colleghi il controvalore “al netto” (applicando quindi sia la tassazione che la contribuzione ordinaria) e procedendo con la sistemazione contabile (come nel caso dell’anticipo del PVR) nell’ambito della busta paga di settembre.

Questo in attesa di ulteriori disposizioni applicative da parte dell’Agenza delle Entrate in relazione al recente Decreto Aiuti bis che consentano di verificare la “percorribilità” delle alternative da noi proposte in considerazione dell’aumento della soglia 2022 per i fringe benefits. Qualora tale possibilità di concretizzasse, le ulteriori sistemazioni fiscali verranno realizzate nell’ambito del conguaglio annuale di dicembre.




I dividendi crescono 20 volte più dei salari (e fanno salire i prezzi)

Giù il potere d’acquisto del lavoro, vince la rendita. In Europa pure la Bce dice: gli utili spingono l’inflazione


Casomai a qualcuno fosse venuto in mente che forse, magari, anche la rendita finanziaria stesse pagando la crisi dei prezzi, ecco no, non sta andando così.

Quelli che vedete sono dati elaborati dalla European Trade Union Confederation (Etuc), la confederazione dei sindacati europei, che mostra come i dividendi staccati nella sola Unione europea nel secondo trimestre 2022 siano cresciuti rispetto al 2021 a una velocità sette volte maggiore rispetto agli stipendi.

In Italia va pure peggio: le cedole per gli azionisti sono salite di uno spettacoloso 72,2%, venti volte più dei salari, previsti in aumento del 3,7% anno su anno, per una volta in linea con la media europea (3,8%). Ovviamente, visto che l’inflazione ormai flirta con la doppia cifra un po’ in tutto il continente, ne consegue che i salari stanno perdendo un’enormità di potere d’acquisto, chi estrae profitti dalle aziende quotate invece sta battendo la dinamica dei prezzi di tre volte almeno (e di otto volte e mezza in Italia).

Qualcuno potrebbe pensare: dati inaffidabili, sono i sindacati che ci marciano. Non è così, nel senso che l’inflazione e la dinamica salariale attesa sono dati ufficiali dell’Ue, l’analisi sui dividendi è ripresa dal “Global Dividend Index” del colosso angloamericano di asset management Janus Henderson, che certo non è contrario all’aumento dei dividendi. E che dice l’aggiornamento di agosto di questo Global Index? Che nel secondo trimestre 2022 le 1.200 aziende quotate più grandi al mondo hanno distribuito cedole per la bellezza di 544,8 miliardi di dollari, l’11,3% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno prima; che il 94% del campione ha aumentato o confermato i dividendi precedenti; che l’Europa è stata una delle chiavi di questo aumento globale col suo 28,7% di crescita; infine che sono stati non sorprendentemente i settori Oil&Gas, materie prime e finanziario a staccare gli assegni più grossi.

E l’Italia? “Più della metà del +72,2% dei dividendi italiani è venuta dal settore bancario”, scrive Janus Henderson, ma anche la Atlantia dei Benetton è tornata a “dividendi vicini ai livelli pre-pandemia”, per non parlare dell’Eni. Riassunto: “I dividendi italiani sono in corsa per un anno record” (nonostante il dollaro forte).

Può sembrare solo l’ennesima prova di un sistema basato su crescenti disuguaglianze, ma non è solo questo: nel folle periodo seguito alle riaperture post-Covid, i profitti delle aziende sono stati un fattore anche per la crescita globale dell’inflazione. Non è una teoria da pazzoidi, tanto che l’ha sostenuta la stessa Bce: “Molte aziende sono state in grado di espandere i propri profitti unitari in un contesto di eccesso di domanda globale nonostante l’aumento dei prezzi dell’energia” e “in media, i profitti hanno recentemente contribuito in modo chiave all’inflazione interna totale, al di sopra del loro contributo storico”, ha detto a fine maggio Isabel Schnabel, economista e membro tedesco del board della Banca centrale europea.

È ora di mettere fine a questa truffa”, è il commento dell’irlandese Esther Lynch, vicesegretaria dell’Etuc: “Ai lavoratori viene detto che non è il momento per un aumento di stipendio, intanto gli azionisti stappano champagne. È un doppio insulto perché le aziende che non riescono a dare ai lavoratori un dignitoso aumento salariale, e quindi li condannano a perdere potere d’acquisto, stanno anche facendo salire l’inflazione”. Una situazione semplicemente “inaccettabile”, dice il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri: “Quando più di un anno fa la Uil ha iniziato a chiedere la tassazione degli extraprofitti qualcuno ci ha insultato. Oggi è evidente a tutti che è questo uno dei principali strumenti per arginare la deriva economica e i danni sociali che siamo costretti a subire. Bisogna agire subito e con assoluta determinazione”.

Come forse è scontato, non tutti sono d’accordo. Ieri al meeting di Cernobbio il presidente di Intesa SanPaolo Gian Maria Gros-Pietro s’è detto invece preoccupato della “spirale prezzi-salari”, cioè che una eccessiva crescita degli stipendi possa far salire i prezzi in una sorta di circolo vizioso. Gli azionisti di Intesa hanno maturato 1,6 miliardi di dividendi solo nel primo semestre 2022.

 

Articolo di Marco Palombi su Il Fatto Quotidiano del 3 settembre 2022