MPS: comunicato su interruzione negoziati con Unicredit

Domenica scorsa è stata ufficializzata con un comunicato congiunto l’interruzione dei negoziati tra MEF e Unicredit, relativi alla potenziale acquisizione di un perimetro definito di Banca Monte dei Paschi di Siena.

Come abbiamo già richiesto con forza nei mesi scorsi, è ora urgente che il Governo, azionista di maggioranza, richieda al più presto alla Dg Comp la proroga dei tempi previsti per la permanenza nel capitale di MPS.

È questa, assieme al dovuto aumento di capitale, una condizione necessaria, ma non sufficiente, per permettere di trovare soluzioni alternative che possano garantire la stabilità ed il rilancio del Gruppo che da tempo auspichiamo.

Ci attendiamo quindi che venga finalmente attivato con il Sindacato un confronto su un progetto strategico chiaro, che non potrà prescindere anche dal mantenimento dell’integrità societaria ed organizzativa, dalla conservazione dell’attuale insediamento territoriale della Banca, dei livelli occupazionali, normativi e salariali per consentire al Gruppo MPS di rafforzare il proprio ruolo di riferimento a sostegno dell’economia del Paese, delle famiglie e delle imprese.

Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che i 21.000 dipendenti di MPS che ogni giorno svolgono il proprio lavoro con professionalità e dedizione, nonostante le continue pressioni mediatiche a cui sono sottoposti, meritano rispetto e conseguentemente una risposta tempestiva che consenta di ristabilire un sereno clima lavorativo.

Siena, 26 ottobre 2021

 

Le Segreterie di Coordinamento
Banca Monte dei Paschi Siena

 

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BNL: trattativa appesa a un filo

3 - Fisac Cgil

Piano industriale BNL: quando il piano È la ricaduta…

Venerdì nei locali di Palazzo Orizzonte Europa le Organizzazioni sindacali hanno incontrato la delegazione aziendale per il secondo incontro previsto per la procedura di cui all’art. 17 per la riorganizzazione aziendale.
L’azienda ha iniziato fornendo alcune risposte ai quesiti posti dalle Organizzazioni Sindacali nel corso del primo incontro del 5 ottobre, inerenti gli aspetti critici dei due filoni della riorganizzazione.

Rispetto alla riorganizzazione della rete commerciale, che ricordiamo prevede la chiusura di 135 agenzie con conseguente mobilità geografica e funzionale, secondo il desiderio aziendale anche in deroga all’art. 2103 c.c. (e quindi parliamo di demansionamento), il Vice Direttore Generale ha affermato che 298 colleghe e colleghi cambieranno ruolo.

In merito allo stato di attuazione del piano di assunzioni connesso alle campagne Quota 100, l’azienda ha fornito dei dati che hanno sollevato notevoli dubbi da parte sindacale ed una immediata richiesta di ulteriore approfondimento in apposita sede.

Per quanto riguarda il perimetro IT coinvolto nell’ipotizzata operazione di cessione, il Chief Operating Officer ha specificato che la sede di lavoro prevista per la NewCo che dovrebbe contenere il personale IT sarà Via degli Aldobrandeschi 300.

Le Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali hanno espresso unitariamente la propria indisponibilità a proseguire il confronto sulla riorganizzazione, avendo le cessioni di oltre 830 colleghe e colleghi (oltre a quelli di Axepta) che incombono: l’azienda ha un piano B per attuare le misure contenute nel suo piano industriale e nella sua riorganizzazione senza procedere all’esternalizzazione di 830 lavoratori e alla loro espulsione dal perimetro del gruppo?

A questa ennesima sollecitazione l’azienda ha avuto bisogno di ritirarsi per riflettere sulla risposta da dare ai lavoratori e alle lavoratrici di BNL, visto che da ormai 5 mesi è ben chiaro a tutti che le Organizzazioni Sindacali non intendono avallare manovre incomprensibili che, attraverso la riduzione della forza lavoro, impoveriscono l’intera azienda.
La risposta è stata: “questa per noi rimane la miglior soluzione per attuare quanto ci siamo prefissati e per i lavoratori”.

L’azienda, dunque, è disponibile esclusivamente ad un confronto sulle ricadute di queste operazioni di cessione.
Le Organizzazioni Sindacali hanno interrotto l’incontro perché, in un’azienda sana, restano per noi impercorribili strade che sacrificano il 10% dell’occupazione.
Le distanze restano Siderali!

Il Sindacato è contrario ad ogni operazione di cessione e le uniche ricadute che intende gestire sono quelle che possano consentire alle persone di rimanere in azienda e nel gruppo.
Il sindacato, perciò, si riserva di comunicare all’azienda le proprie determinazioni dopo una approfondita riflessione.

Roma, 18/10/2021

 

Segreterie di Coordinamento Nazionale Gruppo BNL
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN




BCC: parliamo di green pass, ma non solo

Come noto, dal 15 ottobre per recarsi a lavoro è obbligatorio, in tutte le aziende, il Green Pass.

Nel corso di tutto il periodo di emergenza sanitaria da pandemia Covid-19, il sindacato si è impegnato nel presidiare i luoghi di lavoro per garantire, ovunque, il rispetto dei protocolli e delle norme a tutela e garanzia della salute e del lavoro. Ora che, anche grazie alla vaccinazione contro il Covid 19, tra molteplici difficoltà si configura il possibile, seppur difficile, ritorno alla normalità, non possiamo non affermare che il green pass non è e non può essere la soluzione dei problemi.

Per coniugare salute e lavoro, ricordando che il contagio non passa solo nei luoghi di lavoro dove bisogna mantenere alta l’attenzione ed il rispetto di tutte le normative di salute e sicurezza, bisogna confidare nella scienza e quindi nella vaccinazione. Una vaccinazione che sia la più ampia possibile ed universale. Per questo la CGIL ha da sempre espresso il
proprio assenso alla campagna vaccinale anche chiedendo alle istituzioni preposte la promulgazione di una legge sull’obbligo
vaccinale.
La CGIL è inoltre impegnata nella richiesta di sospensione dei brevetti sui vaccini che stanno impedendo il ricorso alle vaccinazioni nei Paesi economicamente più deboli.
L’esigenza di tornare al lavoro in presenza, la necessità improrogabile delle “riaperture” e la necessità di una ampia vaccinazione, hanno prodotto invece una normativa green pass nei luoghi di lavoro tutta a carico dei lavoratori.

Non è il momento di abbassare la guardia, lavoriamo, senza divisioni e particolarismi, affinché il ritorno alla normalità e la
gestione del cambiamento siano una opportunità per una ripartenza effettiva e che non lasci indietro nessuno.
Sappiamo tutti che avere il green pass non ci immunizza dal possibile contagio. Questo vale anche per i vaccinati anche se
maggiormente coperti rispetto la perniciosità delle conseguenze della malattia. Oggi come ieri potrebbero esserci positivi
asintomatici e comunque infettivi.
Perché allora non prevedere tamponi periodici gratuiti, per difendere la salute collettiva in questo momento di ripresa quasi ordinaria delle attività?

Un’efficace campagna vaccinale, il tracciamento, la prevenzione, il mantenimento di tutte le misure di contrasto alla diffusione
della pandemia, a tutela e garanzia di tutte e di tutti è quello che da sempre chiediamo.
Appare incomprensibile che le aziende si rifiutino di investire in tamponi se veramente si dicono interessate alla salute dei lavoratori. Ancora più incomprensibile se questo avviene in una categoria che propugna solidarietà e responsabilità sociale. La
nostra richiesta non è corporativa si rivolge a tutto il mondo del lavoro e non solo. C’è bisogno di attività che siano di esempio e traino per la realizzazione di misure universali.

Nella fase di ritorno alla auspicata normalità particolare attenzione va posta al progressivo ma massiccio rientro in presenza al lavoro. Premesso che le misure di prevenzione e sicurezza, quali il distanziamento, l’uso della mascherina, la pulizia frequente delle mani, restano in vigore e vanno rispettate e fatte rispettare, prevedere la turnazione della prestazione lavorativa e quella della pausa pranzo al fine di evitare assembramenti dovrebbe essere, ora più che mai, la prima misura da adottare, in particolare nei luoghi di lavoro a maggior concentrazione di presenze.

Lo smart working deve essere reale e concreto, non solo di facciata, per chi è esentato dal vaccino per motivi di salute nonché
per i fragili, immunodepressi e affetti da patologie croniche o con multi-morbilità, ed anche per coloro che hanno nel proprio nucleo familiare, o assistano, persone in tali condizioni. Così come lo svolgimento del lavoro da remoto, o la formazione a distanza, devono essere esigibili per i genitori che non dispongono più dei permessi genitoriali in caso di quarantena dei propri figli avvenuta per disposizione scolastica.

Rivolgiti ai rappresentanti sindacali Fisac Cgil in azienda per eventuali dubbi o necessità di approfondimento ma anche per
informarli riguardo eventuali criticità o difficoltà. Noi ci siamo, per difendere il diritto al lavoro, in sicurezza, per tutti ed insieme a tutti.

 

La RSA FISAC CGIL in Banca di Credito Cooperativo di Roma




Unicredit: al via la Riorganizzazione Rete Commerciale

L’azienda ci ha comunicato oggi l’avvio della procedura sindacale ex art.17 CCNL ABI relativa alla riorganizzazione della rete commerciale Italia.

Tale procedura è attivata in caso di rilevanti ristrutturazioni e/o riorganizzazioni e prevede l’informazione che deve riguardare i motivi della programmata ristrutturazione/riorganizzazione, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori/trici, le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.

Le ricadute sulle condizioni di lavoro del personale formano oggetto di procedura di contrattazione prima dell’attuazione operativa.

In base a quanto riportato nella mail aziendale di avvio procedura il nuovo assetto del business prevede la creazione dei Mercati e la riduzione delle attività operative/amministrative a beneficio delle attività di carattere strettamente di business.

La nuova struttura potrà contare su 4 linee di business: Individuals, Enterprises, Wealth Management & Private Banking e CIB.

A partire dal 13 dicembre 2021 saranno, quindi, apportate le seguenti modifiche alla Rete Commerciale:

  • semplificazione organizzativa a livello di Region, con riduzione dei riporti gerarchici con 69 Aree Retail, 43 Aree Private e 41 Aree Corporate;
  • creazione del canale Enterprises in cui, insieme alle 41 Aree Corporate, confluiranno i Business Center ridenominati e riaggregati in 60 Aree Small Business.
  • creazione del ruolo di Vice Area Manager per Retail, Small Business e Private Banking che va ad affiancarsi a quanto già avviene per le Aree Corporate;
  • creazione del nuovo modello dei “Mercati”, composti da una Filiale principale ridenominata “Sede” a cui riporteranno sia Filiali con Direttore sia Sportelli;
  • valorizzazione del ruolo del Direttore di Sede, a cui verranno attribuite leve commerciali e gerarchiche. Questa figura sarà affiancata dal Vice Direttore Operativo per il presidio delle attività amministrative e contabili e, nei mercati più complessi, dal Vice Direttore Commerciale, per un maggior presidio del territorio dal punto di vista dello sviluppo del business.

Verranno creati nuovi ruoli, mentre altri non saranno più in essere.

L’azienda dichiara che la manovra non prevede ulteriori chiusure di punti operativi rispetto a quelli già dichiarati nel Piano Team 23, mentre vengono confermati gli impegni assunti sugli investimenti al sud con la creazione dei Poli di Napoli e della Sicilia. Inoltre il diverso assetto del modello di business consentirà di raggiungere gli obiettivi di efficienza previsti nel Piano Team 23.

Con riferimento alle ricadute sui lavoratori l’azienda comunica che:

  • sono previsti limitati fenomeni di mobilità territoriale;
  • non sono previsti fenomeni di demansionamenti ma rotazioni sui ruoli;
  • sarà previsto uno specifico piano di formazione a supporto, in particolare per i nuovi ruoli.

Vi terremo informati sull’esito degli incontri.

Milano, 22 ottobre 2021
Segreterie di Coordinamento del Gruppo UniCredit

 

dal sito www.fisacunicredit.eu

 




Mps – Unicredit: trattativa verso la rottura

Troppi 7 miliardi di soldi pubblici. Il Governo stoppa Unicredit e punta a una proroga del controllo, contatti con Bruxelles


È quando si prende già in considerazione il piano B che si capisce come il piano A sia vicino al fallimento. Ecco perché i contatti informali che il Governo ha attivato nelle ultime ore con Bruxelles, secondo quanto riferiscono fonti di primo livello a Huffpost, sono l’indicatore più idoneo a misurare lo stato di crisi della trattativa con UniCredit per la vendita di Monte dei Paschi di Siena. Come anticipato dall’agenzia Reuters, il Tesoro avrebbe giudicato “troppo punitiva” la richiesta di iniettare 7 miliardi di soldi pubblici nella banca senese, ma le distanze sarebbero incolmabili anche su molti altri punti, come gli esuberi, più in generale sul perimetro dell’operazione. A sabato sera non ci sono margini per un riavvicinamento tra le parti. Fosse una pura operazione industriale tra due banche sarebbe un problema, ma non un dramma. Però Mps è una banca pubblica ed è anche la possibilità di uscire da una storia, lunga 15 anni, fatta di soldi bruciati e manette. Ancora la banca che deve liberarsi definitivamente da quella coltre politica che ha visto protagonista la sinistra, che di Siena ha fatto la sua banca-costola per interi decenni, ma anche i 5 stelle e la Lega che hanno usato sempre Mps per rivalersi sulla stessa sinistra.

La vendita di Mps a UniCredit chiuderebbe la lunga stagione del salvataggio pubblico inaugurata nel 2017 dal governo Gentiloni e poi validata da tutti gli altri esecutivi che si sono via via susseguiti. Sancirebbe il ritorno alla normalità perché anomalo è l’intervento dello Stato, necessario sì a salvare i correntisti e i loro risparmi, ma risultando pur sempre un soggetto estraneo alle dinamiche del mercato. E poi il prezzo del paracadute lo paga la collettività, cioè tutti gli italiani.  Da quest’ultimo elemento si capisce bene anche perché tutti i governi vorrebbero tenersi alla larga dai salvataggi pubblici. Invece l’esborso c’è stato e anche ingente: 5,4 miliardi. E altri soldi pubblici vanno tirati fuori ancora perché UniCredit o qualsiasi altra banca non comprerà Mps senza prima che qualcun altro, lo Stato appunto, non provveda a renderla più sana, rafforzandone la capacità patrimoniale, e meno sporca, togliendo di mezzo i crediti deteriorati.

Ma uno sforzo aggiuntivo per le casse pubbliche è stato messo in conto fin da quando Mps è stata salvata perché in un mercato che predilige le fusioni tra le grandi banche, Rocca Salimbeni è rimasta sempre un vulnus. Non è una banca piccola, come lo poteva essere Etruria o le venete, ma è pur sempre un istituto che ha avuto bisogno di quattro anni per rimettersi in piedi. In piedi, non in corsa. Il fatto che solo UniCredit si sia fatta avanti per comprare il Monte è già indicativo della difficoltà di appeal che la banca continua ad avere. Basta guardare all’ultimo bilancio: quasi 1,7 miliardi di rosso. E i primi tre mesi di quest’anno hanno aggiunto altri 119 milioni. Resta debole, la peggiore tra le principali banche europee negli stress test che misurano il grado di resistenza a shock e crisi: il Cet1, l’indicatore principale di questi test, sarebbe addirittura negativo nel 2023. E il fatto che questa dinamica si sia già registrata nel 2016, poco prima del salvataggio pubblico della banca, spiega bene la ciclicità del rischio.

Mps è un po’ come Alitalia: le cose vanno male, anzi malissimo, arriva lo Stato, ci mette i soldi, poi si prova a trovare un operatore privato che la compri. Intanto, come sta avvenendo con Ita, la nuova compagnia aerea che ha preso il posto di Alitalia, si prova a non fare un passo indietro nel burrone. Se la trattativa con UniCredit non ritorna su un binario positivo le cose si mettono davvero male. Innanzitutto perché non c’è un altro cavaliere bianco all’orizzonte. Non è solo un problema di prolungare l’attesa, la questione riguarda la possibilità di aspettare ancora. In base agli accordi presi tra il governo italiano e Bruxelles, infatti, Mps va ceduta al mercato entro la metà dell’anno prossimo. Considerando che prima di comprare una banca servono mesi per controllarne i dati, poi c’è bisogno di tempo per capire quali sono le condizioni per l’acquisto, è evidente che non ci sono margini per rispettare la scadenza. Ecco perché, come si diceva, il Governo avrebbe già informato la Commissione europea della possibilità di inviare presto una richiesta di proroga dei termini, allungandoli almeno fino alla fine del 2022.Al momento altre strade non ci sono: Mps resterebbe da sola, senza tentare operazioni di fortuna. Trovare una via d’uscita immediata, alternativa a UniCredit, significherebbe svendere la banca. Ma questo Mario Draghi non lo vuole. Il Tesoro ha provato a venire incontro alla banca guidata da Andrea Orcel, alzando la quota della ricapitalizzazione a quattro miliardi, ma dall’altra parte sarebbe arrivato un secco no. Sette miliardi, quanto sono i soldi che vorrebbe UniCredit, sono ritenuti però un massacro. Insomma ci sono tre miliardi che non tornano. La proroga del controllo pubblico però non è a saldo zero. Il Tesoro ha già messo in conto un aumento di capitale, ma il paracadute lo pagheranno ancora una volta gli italiani.  

 

Fonte: Huffington Post

 

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Pensioni, Quota 102-104: arriva la bocciatura da parte dei sindacati

I sindacati bocciano le proposte del governo in tema di pensioni. Cgil, Cisl e Uil si mobilitano contro Quota 102 e Quota 104. E non sono d’accordo nemmeno con la soppressione di Opzione Donna. La partita per il post Quota 100 rischia di essere ancora più complicata del previsto. La misura bandiera della Lega, che consente di lasciare il lavoro con almeno 62 anni e 38 di contributi, scadrà a fine anno, e si profila una lunga trattativa in vista della legge di bilancio.La Cgil pretende un confronto con il governo considerando la proposta di Quota 102 e 104 poco vantaggiosa per i lavoratori. “La proposta Quota 102 e 104, se venisse confermata dal governo, costituirebbe una vera e propria presa in giro per i lavoratori. Con quei vincoli solo poche migliaia di persone nei prossimi anni potranno accedere alla pensione”, ha sottolineato il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli.
Il sindacalista ritiene che il governo abbia preso sotto gamba il tema delle pensioni. “La priorità è quella di avere una vera riforma, che superi i limiti di Quota 100, che dia stabilità al sistema, garantisca una effettiva flessibilità in uscita, affronti il tema di donne, disoccupati e giovani, e la crescita del valore delle pensioni in essere”, ha evidenziato Ghiselli. La richiesta del sindacato è chiara, vorrebbe delle risposte più adeguate alle richieste contenute nella piattaforma unitaria. “Diversamente, non staremo con le mani in mano”, ha concluso Ghiselli.“A fronte delle interlocuzioni che Cgil, Cisl, Uil hanno avuto nei mesi scorsi con il ministro del Lavoro, con vari gruppi parlamentari ed in ultimo con la Commissione lavoro della Camera per illustrare i contenuti della piattaforma unitaria sulla previdenza e le proposte sulla flessibilità, ci saremmo aspettati una maggiore attenzione da parte del Governo nell’affrontare il delicato tema delle pensioni”.
È quanto sottolinea in una nota la Cisl. “Siamo davvero sconcertati – prosegue – di leggere sugli organi di stampa proposte come quota 102 o, addirittura oggi, quota 104 e la soppressione di opzione donna mentre continua a non essere chiaro che fine abbia fatto la rivalutazione delle pensioni in essere. Per la Cisl si tratta di ipotesi inaccettabili nel merito e nel metodo”. “In un Paese pesantemente colpito dalla crisi economica aggravata dalla pandemia, dove sono evidenti le tensioni che percorrono strati importanti della società, non può essere sottovalutato l’impatto che il tema delle pensioni può generare per migliaia di lavoratori e lavoratrici. Per questo – conclude la Cisl – ribadiamo la richiesta di un incontro urgente con il Governo per affrontare la questione previdenza nel suo complesso”.
“Quota 102 è una beffa. Unita, poi, all’annunciata quota 104 fra due anni diventa un vero e proprio sfottò per milioni di lavoratori italiani”. Sono le parole del segretario confederale della Uil Domenico Proietti.
La platea interessata da questa ‘geniale idea’, infatti, è di poche migliaia di persone che hanno già avuto la possibilità di andare in pensione con quota 100. Per la Uil, dopo quota 100, è necessario introdurre una flessibilità di accesso alla pensione diffusa intorno a 62 anni – conclude -, utilizzando l’ottimo lavoro svolto dalla commissione istituzionale sui lavori gravosi”.

 

 




La quarantena per Covid-19 torna ad essere indennizzata come malattia

La quarantena per Covid-19 torna ad essere indennizzata come malattia. Trovata la copertura finanziaria nel decreto legge fisco-lavoro, n. 146/2021, pubblicato il 21 ottobre in Gazzetta Ufficiale, che stanzia i fondi per garantire questa prestazione fino al 31 dicembre. 



Il provvedimento, modificando in parte l’articolo 26, comma 5 del decreto legge Cura Italia (n. 18 del marzo 2020)  riguarda sia i dipendenti del settore privato, sia i lavoratori fragili del settore pubblico e privato, che non possono svolgere l’attività in smart working. 

Con il nuovo decreto, già in vigore dal 21 ottobre  per chi si trovi in quarantena con sorveglianza attiva e permanenza domiciliare, l’Inps torna, quindi, a farsi carico del costo integrale dell’indennità di malattia, così come era stato chiesto dai sindacati, preoccupati del venir meno di questa tutela, dopo la pubblicazione del messaggio Inps n. 2842 del 6 agosto scorso, nel quale l’Istituto avvertiva che, in assenza di rifinanziamento della malattia per quarantena, i lavoratori in queste situazioni avrebbero dovuto addirittura restituire le indennità già corrisposte.

A copertura dei costi finanziari, il Governo ha stanziato 663,1 milioni di euro per l’anno 2020 e 976,7 milioni di euro per il 2021, dando priorità agli eventi cronologicamente anteriori. Come di consueto, l’Inps provvede al monitoraggio del limite di spesa assicurando le tutele  fino al raggiungimento del tetto previsto, oltre il quale l’Istituto non prenderà in considerazione ulteriori domande.

Il decreto ha inoltre previsto un rimborso forfetario in favore di quei datori di lavoro del settore privato (esclusi quelli domestici) che pagano anticipatamente la malattia direttamente al lavoratore. L’importo è ari a euro 600,00 per lavoratore, previa presentazione da parte del datore di lavoro di apposita domanda telematica corredata da dichiarazione attestante i periodi riferiti alle tutele, da trasmettere nelle modalità ed entro i termini che saranno indicati dall’Inps.

 




Ccnl Ania: definita la piattaforma unitaria

3 - Fisac Cgil

In data 21 ottobre u.s le scriventi Segreterie Nazionali hanno concluso i lavori di definizione della piattaforma unitaria per il rinnovo del CCNL ANIA.

Nelle prossime settimane seguiranno i necessari passaggi interni alle sigle e verranno programmate le assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori per l’illustrazione, discussione e approvazione della piattaforma.

Roma, 21 ottobre 2021

 

Le Segreterie Nazionali

 

Scarica la piattaforma




Gli idranti contro i portuali e i decreti di Salvini

Il leader della Lega si scaglia contro il Viminale (dove come sottosegretario c’è un leghista) per i fatti di Trieste. Ma se gli idranti sono stati accesi e puntati contro lavoratori e cittadini la responsabilità è tutta sua e del suo decreto sicurezza.


Idranti contro i pacifici lavoratori e cittadini a Trieste. Ma al Viminale come ragionano?

Il duro commento è in un tweet del 18 ottobre – ore 11 – di Matteo Salvini che si schiera dalla parte dei manifestanti “No green pass” sgomberati in modo plateale dalle forze dell’ordine per ripristinare la viabilità intorno al porto di Trieste. Immagini decisamente poco edificanti in un Paese democratico. Salvini per una volta ha ragione a chiedersi “ma al Viminale come ragionano?

Per trovare una risposta alla domanda il leader della Lega ha due opzioni. La prima: usare quello smartphone che, gli ricordiamo, serve non solo a scattare selfie e chiamare Nicola Molteni, deputato della Lega e sottosegretario al ministero dell’Interno. Lui sicuramente ha una risposta.
La seconda: andare indietro tra tweet e commenti e tornare indietro all’ottobre 2018 e ricordarsi di quando, proprio nelle vesti di ministro dell’Interno, pensò, scrisse e fece approvare – era il primo governo Conte – quel decreto sicurezza che, al suo interno, contiene all’articolo 23 “Disposizioni in materia di blocco stradale”.

Il decreto ha ripristinato il reato di blocco stradale, depenalizzato nel 1999, con pene che possono arrivare fino a sei anni di carcere e recita così:

“Chiunque, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata, ad eccezione dei casi previsti dall’art. 1-bis, è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Che quella disposizione fosse pensata ad hoc per limitare e punire il diritto a manifestare era chiaro. Nel mirino dell’allora capo del Viminale c’erano ovviamente, in cima alla lista, movimenti e sindacati, dai No Tav alle lotte nella logistica, allora come oggi un fronte caldo del dissenso contro il governo, allora Conte prima versione, oggi Draghi.

Nei mesi in cui Matteo Salvini era impegnato a (far) scrivere quel dispositivo del decreto sicurezza, a Torino si stavano celebrando diversi processi scaturiti dai blocchi stradali effettuati tra febbraio e marzo del 2012 lungo l’autostrada che dal capoluogo piemontese porta a Bardonecchia. In quei giorni centinaia, se non migliaia di persone bloccarono l’arteria stradale per protestare contro la crescente militarizzazione della Val di Susa con l’obiettivo di ostacolare l’arrivo di alcune componenti della famosa “talpa” e bloccare così i lavori nel tunnel di Chiomonte.

Come ricorda questo articolo di volerelaluna.it, “se quelle manifestazioni venissero fatte oggi (all’epoca dell’approvazione dei decreti, ndr), i partecipanti rischierebbero pene elevatissime e, con ogni probabilità, l’applicazione di misure cautelari, visti i criteri guida utilizzati negli ultimi anni dagli uffici giudiziari torinesi. Tutto ciò in perfetta armonia con le roboanti dichiarazioni del ministro dell’interno (all’epoca Matteo Salvini, ndr), che sembra avere in odio qualsiasi forma di protesta o di conflitto sociale”.

Ora però che quel decreto sicurezza è stato usato per andare contro quel popolo “no green pass” al quale Salvini e la destra strizzano da tempo l’occhio, ecco che il leader della Lega attacca sui social quanto scaturito dal decreto da lui pensato, voluto e approvato e, qui è bene sottolineato, non modificato dalla riforma a quei decreti avvenuta nel secondo governo Conte, quello sostenuto (anche) dal Partito Democratico. Perché, in fondo, un “sano” autoritarismo contro ogni tipo di dissenso, di questi tempi, fa comodo un po’ a tutti.

 

Fonte: Micromega




MPS: comportamento antisindacale

3 - Fisac Cgil

Dall’avvio delle valutazioni inerenti la nota operazione societaria, la banca non ha mai avuto nulla da replicare alle preoccupate richieste dei Rappresentanti delle Lavoratrici e dei Lavoratori, salvo un generico invito da parte del CDA della banca alla serenità, improvvidamente pubblicato sul sito intranet in piena mobilitazione.

Ha invece avviato tre procedure fortemente impattanti per i Lavoratori e per l’organizzazione della banca. In particolare, ha dato luogo a un’operazione di distacco decennale che coinvolge circa 300 colleghi senza metterci nelle condizioni di fare le nostre valutazioni e osservazioni, attraverso la definizione di un “contratto di rete”, fino ad oggi mai utilizzato all’interno del Gruppo Mps, che può aprire cupi orizzonti per la gestione del personale e degli esuberi.

Ha inoltre avviato altre due procedure – chiusura filiali e riassetto mondo corporate, relative a un Piano Industriale mai approvato dall’Europa – senza indicarci una data di convocazione.

Tre iniziative molto criticabili a pochi giorni dallo sciopero nazionale.

La Banca non ci ha lasciato altra scelta.

Per questo, abbiamo unitariamente conferito ai nostri avvocati il mandato di ricorrere contro la Banca Monte dei Paschi di Siena ai sensi dell’articolo 28 della Legge 300 del 1970 (meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”) per la repressione del comportamento antisindacale.

È un atto grave, che abbiamo lungamente ponderato e al quale fino a poco tempo fa non avremmo mai pensato di arrivare. Ma è un atto dovuto. Dovuto nei confronti di un’azienda che ha fortemente smarrito la sua identità e dovuto alle Lavoratrici e ai Lavoratori che non meritano tali deprecabili scorrettezze.

La denuncia di comportamento antisindacale è stata depositata oggi presso il Tribunale di Siena e il Giudice del Lavoro sarà pertanto chiamato a pronunciarsi al riguardo.

Vi terremo aggiornati sui futuri sviluppi.

Siena, 18 ottobre 2021

 

Le Segreterie di Coordinamento Banca Monte dei Paschi Siena