Pensioni: è realistica l’ipotesi di Quota 41 per tutti?

Secondo le stime della Cgil il costo sarebbe di appena 1,2 miliardi per il primo anno, molto più basso di quanto previsto dall’Inps che invece giudica questa ipotesi la più esosa tra quelle sul tavolo


 

Quota 41 può davvero essere la soluzione giusta per sostituire Quota 100? L’ipotesi di riforma delle pensioni caldeggiata dai Sindacati prevede che si possa lasciare il lavoro a prescindere dall’età anagrafica, a patto di aver versato 41 anni di contributi. Si tratta di un’ipotesi di riforma che però è piuttoso onerosa. Almeno secondo la relazione annuale 2020 dell’Inps che stima un impatto sui conti di 4,3 miliardi il primo anno per raggiungere i 9,2 miliardi dopo un decennio. Molto minore è invece il costo ipotizzato in dall’Osservatorio sulla Previdenza della Cgil e della Fondazione Di Vittorio.

Secondo le stime la riforma costerebbe 1 miliardo e 242 milioni nel 2022 e 1 miliardo e  292  milioni nel 2023 per poi diminuire negli anni succesivi. Nel 2024 Quota 41 avrebbe un costo pari a 1miliardo e 115 milioni, nel 2025 pari a 975 milioni di euro e nel 2026 di 851 milioni.

Nell’analisi viene stimato il costo di tale intervento tenendo anche conto dell’esperienza di ‘Quota 100’ che secondo il sindacato ha ampiamente dimostrato che, in un sistema misto, non tutti coloro che possono accedere al pensionamento anticipato decidono effettivamente di utilizzare questa possibilità. E questo, sostiene la Cgil, avverrà in misura sempre maggiore nei prossimi anni essendo il sistema contributivo molto più incentivante alla permanenza al lavoro. “L’analisi – spiega Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale – stima i costi dell’accesso al pensionamento con 41 anni di contribuzione a partire dal 1 gennaio 2022, tenendo conto solo di quelli derivanti della quota retributiva, unica componente che può essere considerata come un costo aggiuntivo, visto che la parte contributiva sarebbe solo un’anticipazione di spesa”.

Dobbiamo ragionare su dati di spesa più realistici – sostiene Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil nazionale – considerando che negli ultimi anni le previsioni di altre misure previdenziali, come la norma sugli usuranti, le salvaguardie, opzione donna, Ape e precoci e da ultimo Quota 100, hanno sempre fatto registrare un livello di spesa notevolmente inferiore a quello preventivato”. Insomma, per la Cgil non ci sono dubbi: la riforma è sostenibile. Ma bisogna segnalare anche il fatto che altre stime non sono così ottimistiche.

Pensioni, le tre opzioni studiate dall’Inps

Nella sua relazione annuale, l’Inps ha analizzato tre scenari dal punto di vista degli effetti economici sulla spesa pensionistica nel breve e lungo periodo. Nello specifico, si sono analizzate la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall’età, l’opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi e un’opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione.

Dall’analisi emerge che la prima proposta è la più costosa e arriva ad impegnare fino allo 0,4% del prodotto interno lordo.
La seconda, più equa in termini intergenerazionali, produce risparmi già poco prima del 2035 per effetto della minor quota di pensione dovuta all’anticipo ma soprattutto ai risparmi generati dal calcolo contributivo.
Nell’ultima proposta analizzata si garantisce flessibilità solo per la componente contributiva dell’assegno pensionistico con costi molto più bassi per il sistema. Nel lungo periodo tutte e tre le proposte portano a una riduzione della spesa pensionistica rispetto alla normativa vigente.

Fonte: www.today.it




Bper: lavoro straordinario, istruzioni per l’uso

Considerata la delicatezza dell’argomento “lavoro straordinario”, ricordiamo a tutti i colleghi i principi fissati in materia dal Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66.

  1. L’orario di lavoro è “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
  2. Il lavoro straordinario “deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro.”.
  3. I contratti collettivi possono in ogni caso consentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi”.

In sostanza, quindi, il lavoratore è tenuto a rimanere nei locali aziendali solo nell’ambito dell’orario di lavoro previsto dal contratto; se vi si trattiene oltre, ciò significa che sta effettuando prestazioni di lavoro straordinario – il quale deve essere autorizzato, come infatti prevede la normativa aziendale della Banca.

 

Sono previste sanzioni amministrative nel caso in cui non venga riconosciuto il lavoro straordinario.

Le relative denunce vanno inoltrate agli Ispettorati del Lavoro e, com’è di tutta evidenza, ciò comporterebbe gravi conseguenze, in quanto il fatto diverrebbe di pubblico dominio.

A questo punto però non vogliamo, e non possiamo, nasconderci dietro un dito.

Chi costringe a raggiungere obiettivi e budget sempre più pesanti con sempre meno personale? Chi costringe i colleghi che non possono lasciare inevase le richieste della clientela e le attività a lavorare di più con processi organizzativi obsoleti?

Non è forse BPER che stabilisce target, obiettivi, e dimensioni delle filiali? Chi ha dunque il dovere e l’obbligo morale di porre rimedio?

Perché un rimedio si deve trovare.  BPER non può nascondersi dietro all’emanazione di Circolari formalmente corrette, mettendo limiti e vincoli agli straordinari, quando SA BENISSIMO che i colleghi per smaltire i loro carichi di lavoro sono costretti a fermarsi oltre il loro normale orario lavorativo, costringendoli, per non perdere clientela, mercati, redditività, a lavorare in contrasto con la Legge e le Circolari aziendali.

Va poi anche sottolineato che atteggiamenti difformi dalla legge e dalle circolari aziendali comportano ingiuste disparità tra colleghi, a seconda del fatto che la rispettiva unità operativa di appartenenza sia più o meno in cronica emergenza per sovraccarico di lavoro.

Ricordiamo a tutti i lavoratori che effettuare lavoro straordinario non autorizzato comporta anche per loro rischi non indifferenti: solo per fare un esempio, la mancata copertura assicurativa in caso di infortunio o di coinvolgimento in evento criminoso.

Precisiamo inoltre che tutti i soggetti coinvolti a vario titolo, non possono ritenersi immuni dalle conseguenze di eventuali interventi delle autorità pubbliche per il delicato aspetto dell’evasione contributiva (e questo profilo non è solo di natura amministrativa!).

E quando parliamo di colleghi coinvolti, intendiamo proprio tutta la struttura gerarchica, sia commerciale che amministrativa.

Vogliamo fin d’ora informare BPER, e vogliamo dirlo forte e chiaro a tutti, che se si rimane a lavorare oltre l’orario lo Straordinario DEVE ESSERE RICONOSCIUTO!

 

Fisac/Cgil BPER Banca




MPS: quello che il MEF e Unicredit non dicono

1 - Fabi 2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

Dopo giorni di inutile attesa, appare evidente come il Ministro Franco ritenga di non dover convocare i rappresentanti dei 21mila Lavoratori del Gruppo MPS, nonostante saranno questi ultimi a subire gli effetti dell’operazione che si sta profilando con molti punti oscuri.
Faremo sentire comunque la nostra voce, da Nord a Sud, dalle Filiali, dalla Direzione Generale, dal Consorzio, dalle Società del Gruppo, dai poli distaccati presso società terze.

NON PROTESTIAMO CONTRO
una possibile soluzione per risolvere i problemi della Banca, la nostra non è una critica aprioristica, vorremmo capire i motivi e il perimetro di una trattativa in esclusiva caratterizzata da una moral suasion esercitata dall’azionista pubblico – lo Stato – che intende accordare una serie di indubbie agevolazioni in favore del soggetto acquirente, Unicredit. Vorremmo capire inoltre perché non vengono prese in considerazione soluzioni alternative.

PROTESTIAMO PER avere chiarezza su un’acquisizione che si gioca sulla pelle delle persone e pertanto non può essere condotta al buio o sulla fiducia. Non deleghiamo la tutela dei Lavoratori a nessuno, perché compete a noi.

PROTESTIAMO PER definire i destini dei 21mila dipendenti del Gruppo, nessuno escluso.

PROTESTIAMO PER delineare un’operazione dai contorni chiari e non divisa in due tempi (prima quello che piace, senza che quello che non piace abbia una prospettiva).

PROTESTIAMO PER avere contezza sull’acquisizione della rete filiali di tutt’Italia. Le filiali MPS del perimetro che sarà acquisito da Unicredit come si collocano nella legislazione antimonopolistica (Antitrust)? Le sovrapposizioni
saranno chiuse? Cedute a terzi? Analogamente, le filiali MPS del perimetro che non sarà acquisito da Unicredit – esclusione che sembra interessare intere aree geografiche – saranno chiuse o cedute a terzi? I colleghi di tutte queste filiali resteranno al loro posto? Continueranno a fare il loro mestiere? Oppure saranno oggetto di mobilità professionale e territoriale?

PROTESTIAMO PER chiarire il futuro delle strutture non prettamente commerciali. Quali sono? Solo la Direzione Generale, peraltro avente significativi presidi sparsi in tutte le regioni d’Italia, oppure anche gli uffici considerati di
supporto, come le direzioni le aree territoriali ed i poli di consorzio? E se Unicredit è interessata alle attività commerciali, disponendo di supporti suoi, a quale altro soggetto potrà interessare un supporto alla rete senza più la rete?

PROTESTIAMO PER capire come si collocano nella possibile acquisizione le società del gruppo, tutte nate dalla costola della banca e anche finanziate con personale proveniente dalla banca, nonché i colleghi reintegrati in MPS e tuttora distaccati sulla società terza Fruendo Srl.

PROTESTIAMO PER avere garanzie che la quantificazione degli esuberi sia coerente con la platea degli aventi diritto al Fondo di Solidarietà delle realtà eventualmente interessate, che il calcolo dell’assegno non subisca modifiche peggiorative e che l’accesso sia realmente volontario.
Dopo tanti anni di duro lavoro e sacrifici, non dobbiamo lasciarci sopraffare dalla paura o dalla rassegnazione proprio ora. Tocca a noi farci sentire dallo Stato, dal Governo, da Unicredit.

Abbiamo avviato le procedure per la proclamazione dello sciopero e, nei tempi previsti dalle normative, daremo vita a un ciclo di assemblee per fare il punto della situazione. Siamo determinati a giocare il nostro ruolo in questa partita perché la posta è altissima, ma dovremo conquistarcelo insieme alle Lavoratrici e ai Lavoratori del Gruppo.

 

Siena, 24 agosto 2021

 

Le Segreterie di Coordinamento
Banca Monte dei Paschi Siena




MPS: dietro ai numeri ci sono le persone e dietro alle parole ci sono le calunnie

ANALISTI: QUANDO DIETRO AI NUMERI CI SONO LE PERSONE E DIETRO ALLE PAROLE CI SONO LE CALUNNIE

Dopo anni di sacrifici, impegno e dedizione i lavoratori del Monte meritano certezze sul loro futuro ed esigono rispetto.  Le scelte sbagliate fatte ai “piani alti”, che in pochi anni sono riuscite a sgretolare secoli di storia, hanno gravato sui dipendenti della banca. Soltanto grazie alla loro professionalità e abnegazione siamo riusciti a mantenere il legame con i territori e la fiducia dei clienti.
Le donne e gli uomini del Monte hanno dimostrato di avere una resilienza e un attaccamento all’azienda fuori dal comune e non ci stanno ad essere screditati da chi non sa guardare alle persone dietro ai numeri.

Ci riferiamo a un’intervista rilasciata a Formiche.net dove uno dei soliti più o meno noti CEO di una SIM ha dichiarato che i dipendenti di Banca Monte dei Paschi hanno adottato un sistema di “gestione del credito clientelare”, tanto pericoloso e fuori dalle regole da condurre addirittura la Banca nell’attuale situazione.
Come se non bastasse ha incalzato dicendo che, considerando questi presupposti, sarà difficile per i Montepaschini integrarsi in Unicredit ed educarsi ad un modo di fare banca più sano.
Riteniamo che, data la loro gravità, queste dichiarazioni debbano essere valutate in tutte le sedi opportune.

I lavoratori del Monte in questi anni hanno dimostrato di essere all’altezza di ogni sfida: non si sono mai fermati o scoraggiati, anche nei periodi più difficili.
Hanno pagato le conseguenze di scelte e decisioni che partivano dall’alto e ne hanno ammortizzato le conseguenze indossando la bandiera della loro azienda (la banca più antica del mondo) anche nei momenti bui.
Nonostante lo scenario avverso, grazie al loro impegno, il Monte ha chiuso l’ultimo semestre in positivo superando le attese degli analisti. I clienti sono rimasti al Monte proprio grazie ai lavoratori che non hanno mai ceduto, ci hanno creduto ogni giorno e lo fanno ancora.
Hanno subito piani industriali basati prevalentemente sul taglio dei costi, piani che hanno spuntato le armi invece di affilarle, ma i lavoratori hanno combattuto ancora con la loro etica, la loro correttezza e l’attaccamento ai clienti e alla banca.

I dipendenti del Monte esigono rispetto. Chi dice di stare dalla parte dei dipendenti del Monte deve dimostrarlo adesso con i fatti e non con leparole.

Siena, 23 agosto 2021

 

Le Segreterie di Coordinamento
Banca Monte dei Paschi Siena

 




Landini: «Vaccinarsi è anche un dovere sociale»

In un’intervista al Corriere della Sera, il segretario generale della Cgil ribadisce che è responsabilità del governo e del Parlamento mettere l’obbligo. “Se lo fanno, noi siamo d’accordo”. E lancia una campagna di comunicazione pro vaccino all’interno delle aziende.


“Noi non siamo mai stati No vax. Noi siamo per la sospensione dei brevetti affinché tutti nel mondo si possano gratuitamente vaccinare: solo così si possono sconfiggere le varianti e quindi il virus”.

Dalle colonne del Corriere della Sera, Maurizio Landini ribadisce la posizione della Cgil e lancia a tutti l’invito a vaccinarsi contro il Covid perché “è anche un dovere sociale. Per il leader di Corso Italia “è responsabilità del governo e del Parlamento di rendere per legge obbligatoria la vaccinazione. Se lo fanno, noi siamo d’accordo. Non è il momento delle divisioni e delle strumentalizzazioni”.

E lancia, per il mese di settembre, una campagna di informazione straordinaria e mirata: “Proponiamo a tutte le associazioni di impresa di mettere a disposizione due ore aggiuntive di assemblee retribuite in tutte le aziende per fornire un’informazione adeguata sulla vaccinazione e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro”. Perché, sottolinea, “è il momento di coinvolgere le lavoratrici e i lavoratori, il consenso non si acquisisce sanzionandoli o punendoli ma rendendoli partecipi di un progetto comune che metta al centro la salute e la sicurezza e la qualità del lavoro”.

Sulle mense aziendali il giudizio è chiaro: “Il green pass non può diventare uno strumento che  divide e discrimina.  Non si capisce, ad esempio, perché le lavoratrici e  i lavoratori possano lavorare 8 ore insieme e poi consumare il pasto separati. Le mense aziendali non sono un ristorante. I lavoratori sono già tracciati e da un anno e mezzo le mense sono organizzate secondo i protocolli di sicurezza: mascherine obbligatorie, separatori di plexiglass e turni”.

 

Fonte: www.collettiva.it




Banche, aumentano i manager milionari: in un anno +17%

Crescono i manager milionari nel sistema bancario italiano. Nel 2019, secondo il report dell’Autorità Bancaria Europea (EBA) sui compensi degli ‘high earners’, i dirigenti che hanno ricevuto compensi superiori al milione di euro sono aumentati del 17%, da 206 a 241, spartendosi una torta complessiva da 419 milioni di euro.

Nella Ue (i dati includono per l’ultima volta la Gran Bretagna) i milionari sono rimasti “sostanzialmente stabili”, aumentando di uno 0,5% a 4.963, di cui il 70,9%, pari a 3.519, concentrato nel Regno Unito.

L’aumento dei banchieri ‘a sei zeri’ in Italia è il più consistente tra i grandi Paesi europei, con un tasso di crescita superiore a quello quello registrato sia in Germania (+9,3% a 492) che in Francia (+15,4% a 270) e si confronta con il calo occorso in Gran Bretagna (-2,6% a 3.519), classificando il nostro Paese al quarto posto per numero di ‘high earners’, davanti ai 163 dirigenti spagnoli.

“L’aumento degli ‘high earners’ è frutto principalmente dell’impatto del ricollocamento dello staff dalla Gran Bretagna nella Ue a 27 come effetto della preparazione della Brexit”, rileva l’Eba. “In aggiunta, per alcune banche, i buoni risultati finanziari complessivi, particolarmente nel corporate banking, e le ristrutturazioni e il consolidamento in corso, che ha portato a buonuscite più alte del solito, hanno giocato un ruolo importante nel complessivo incremento degli ‘high earners'”.

Fonte: Ansa


Per valutare adeguatamente la notizia, è bene considerare che nello stesso periodo le banche hanno chiuso 1.097 filiali in tutta Italia, in nome di tagli di costo che evidentemente non valgono per tutti.

Una banale considerazione numerica: lo stipendio dei 35 manager neo milionari sarebbe bastato per assumere circa 1.500 giovani. Ne avrebbero tratto giovamento tanto le aziende, con l’immissione di forze fresche e motivate, quanto il Paese nel suo complesso, con 1.500 famiglie che avrebbero trovato stabilità economica.




Polizza sanitaria: cosa fare quando la compagnia assicurativa non vuole pagare

Nel mese di luglio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha multato, rispettivamente per 5 milioni ed un milione di euro, la compagnia assicurativa Intesa Sanpaolo RBM Salute e il fornitore di servizi Previmedical, cui è affidata la gestione e liquidazione dei sinistri. Entrambe le società sono state ritenute colpevoli di aver ritardato o respinto il rimborso di spese mediche in modo pretestuoso.

Le indagini hanno preso spunto della segnalazione di Altroconsumo che aveva ricevuto circa 1.000 reclami tra gennaio 2018 e ottobre 2020, ma anche dall’alto numero di reclami pervenuto all’ Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (Ivass): oltre 1.100 reclami nello stesso periodo.

Tra le condotte contestate, tali da configurare una condotta commerciale scorretta, l’AGCM ha evidenziato:

  • respingimenti delle richieste basati su motivazioni pretestuose
  • ritardi nelle risposte e nella gestione delle prestazioni dirette
  • ritiri di autorizzazioni già rilasciate
  • arbitrarie limitazioni introdotte nella prassi liquidativa
  • difficoltà a contattare l’assistenza clienti
  • applicazione di regole diverse per rimborsi richiesti a fronte di prestazioni analoghe.

Per gran parte dei dipendenti che beneficiano di polizza sanitaria, si tratta purtroppo di esperienze ben note ed estremamente frustranti.

Come fare per opporsi a quella che si presenta come un’autentica ingiustizia?

Appena la compagnia mostra di voler porre ostacoli al rimborso delle prestazioni, è opportuno inoltrare subito un reclamo anticipando nel testo un successivo inoltro del reclamo medesimo all’ Ivass.
Come inviare i reclami? Bisogna farlo esclusivamente per iscritto, con le modalità di seguito riportate:
  • UNISALUTE:
    • Online cliccando su questo link
    • Raccomandata all’indirizzo
      UniSalute S.p.A
      Funzione Reclami
      Via Larga, 8

      40138 Bologna
    • Fax al numero 051-7096892
    • e-mail all’indirizzo [email protected]
  • INTESA SAN PAOLO RBM SALUTE:
    • Online cliccando su questo link
    • Raccomandata all’indirizzo
      Intesa Sanpaolo RBM Salute
      Ufficio Reclami
      via Lazzari, 5
      30174 Venezia – Mestre (VE) 
    • Fax al numero 011-0932609
    • e-mail all’indirizzo [email protected]
    • Pec all’indirizzo [email protected]

 

Informazioni dettagliate in merito ai reclami sono riportati sui siti delle compagnie ai seguenti link:
Unisalute

Intesa Sanpaolo RBM Salute

Qualora l’utente non si ritenga soddisfatto dall’esito del reclamo, o in mancanza dì riscontro nel termine massimo di 45 giorni, potrà rivolgersi all’lVASS con le seguenti modalità:

  • Raccomandata all’indirizzo
    IVASS
    Servizio Tutela del Consumatore
    Via del Quirinale, 21
    00187 Roma
  • Fax al numero 06 42133206
  • Pec all’indirizzo [email protected]

I reclami indirizzati all’lVASS contengono:

  1. nome, cognome e domicilio del reclamante, con eventuale recapito telefonico;
  2. individuazione del soggetto o dei soggetti di cui si lamenta l’operato;
  3. breve descrizione del motivo di lamentela;
  4. copia del reclamo presentato alla Società e dell’eventuale riscontro fornito dalla stessa;
  5. ogni documento utile per descrivere più compiutamente le relative circostanze.

Per inoltrarli si può utilizzare questo modulo scaricabile dal sito dell’IVASS. Informazioni dettagliate sui reclami sono contenute nella guida predisposta per gli utenti.

E’ estremamente importante inoltrare reclamo ogni qualvolta si ritenga di essere stati ingiustamente penalizzati dalla compagnia, sia per cercare di ottenere il legittimo rimborso, sia per sottoporre eventuali comportamenti scorretti all’organo di vigilanza delle compagnie assicurative col risultato di sanzionarli, ed auspicabilmente evitare che si ripetano. 

 




Permessi per lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%.

Tali permessi sono normati dal  decreto legislativo n° 119 entrato in vigore dal’11 agosto del 2011 all’art. 7 del D.Lgs (“Congedi per cure”).

Relativamente alla fruizione di questi permessi:

  • sono previsti 30 giorni all’anno, per coloro che hanno invalidità superiore al 50% e che devono sottoporsi a cicli di cure (per esempio fisioterapiche ecc..)
  • la fruizione è a giornate intere (non ad ore)
    • i 30 giorni sono frazionabili in più periodi (sempre a giornate intere, non ad ore)
    • deve essere presentata idonea certificazione (documentazione da cui si evince la percentuale di invalidità; disposizione del ciclo di terapie da parte del medico che certifica che trattasi di cure legate alla patologia per cui è riconosciuta l’invalidità; documentazione a consuntivo della presenza, presso la struttura in cui vengono effettuate le terapie, nella data in cui si è assente)

 

Ora, cosa avviene nel caso in cui la prestazione sanitaria dovesse richiede un trattamento per un periodo diverso dall’ intero orario lavorativo giornaliero per poter beneficiare di tali permessi?

Di seguito, presentiamo qualche esempio, nei casi in cui l’ orario di permanenza nella struttura medica non coincida con il cartellino presenza.

Per esempio: dipendente con orario lavorativo 8.20/13.30-14.30/16.45:

  • Se il lavoratore dovesse sottoporsi a cure presso una struttura a 1 ora di distanza dalla sua residenza, il viaggio di andata e ritorno rientrerà nel permesso a giornata
  • Se il trattamento dovesse durare 5 ore tra le 8.20 e le 13.30,  il permesso viene inserito per l’intera giornata
  • Se il trattamento, per esigenze della struttura, dovesse iniziare alle 15.00 e protrarsi fino alle 19.00, il permesso viene inserito per l’intera giornata.
  • Se il trattamento dovesse iniziare, sempre per esigenze della struttura, alle 7.00 e concludersi alle 12.00, il permesso viene inserito per l’intera giornata.

Infatti, il Congedo per Cure nasce a “giornate intere“, pertanto non si prende ad ore e neanche a mezza giornata (nella medesima giornata non vi deve essere prestazione lavorativa): quello che viene richiesto è un certificato generico che riporti solo l’assenza delle giornate.

A fronte di questa documentazione l’azienda giustifica l’assenza dell’intera giornata: non è necessario specificare fasce orarie od orari, per evitare che la certificazione rientri nelle 15 ore di Permessi aziendali per Visite Mediche.

Ciò comporta che anche il periodo di viaggio andate e ritorno verso la struttura medica sia ricompreso nell’intera giornata di assenza.

Infine, ecco una traccia di dichiarazione medica a fronte della prestazione, da presentare agli Adempimenti Amministrativi per la registrazione della giornata di Permesso per Cure:

Esempio standard:

 

“Si certifica che il sig.______________________________________________________________ è stato presente presso codesta struttura per prestazioni sanitarie relative a *______________________________________ nella giornata del _______________

 

 

* (si deve evincere che l’assenza è legata alla patologia invalidante)

 

Fonte: Fisac Bper Banca




Bonus fiscale in busta paga? Forse…

Sulle pagine di molti quotidiani online si parla del nuovo Bonus Draghi 2021 in busta paga già da Agosto, ma la realtà è che ancora non ci sono certezze: ecco comunque tutte le ipotesi e gli scenari possibili.


Si tratta infatti di un argomento di diffuso interesse, sulla bocca di tutti i lavoratori dipendenti perché interessa da vicino la busta paga dei lavoratori.

Ma cosa sarebbe nello specifico questo tanto discusso Bonus Draghi? Cosa comporta?

E soprattutto, quanto c’è di vero nelle notizie e nei rumours di questi giorni?

Scopriamolo.

Bonus Draghi 2021: di cosa si tratta?

In parole povere si tratta di un’agevolazione da erogare in sostituzione degli attuali bonus previsti dalla normativa.

Quindi, nel dettaglio, questo nuovo emolumento sarebbe la naturale evoluzione di queste due misure:

  • il Bonus Renzi introdotto nel 2014 solo per un anno e poi erogato fino al 2020, ammontava a 80 euro mensili (960 euro annui ) ed era riconosciuto ai possessori di reddito complessivo non superiore a 24.600 euro (bonus pieno) o 26.600 euro (bonus ridotto);
  • il trattamento integrativo, introdotto con il decreto n.3/2020, ha visto un’ulteriore integrazione di chi già aveva diritto del bonus proposto dal governo Renzi. Si tratta di un incremento di 120€ mensili in 6 mesi e viene calcolato in base al reddito annuo e alle tasse pagate.

Il nuovo Bonus Draghi, secondo i rumors attuali, avrebbe natura fiscale e verrebbe aggiunto alle buste paga come un rimborso. Nello specifico si applicherebbe sotto forma di una maggiore detrazione, calcolata sulla base dei giorni lavorati nell’anno, e tenendo in considerazione anche reddito annuo e contratto del lavoratore.

Spetterebbe, inoltre, a tutti i lavoratori dipendenti (e potrebbe anche essere esteso ai pensionati) ma sempre a patto che rientrino in uno degli scaglioni di reddito coperti dalla misura.

Secondo le indiscrezioni attuali la soglia massima di questo bonus sarebbe 1880€: ma attenzione, a differenza degli altri bonus precedenti sarebbe una tantum, erogato cioè in un’unica soluzione e in una sola busta paga.

Questi 1880 euro, come detto prima, potrebbero subire una riduzione in base al reddito del lavoratore. In base alle ipotesi attuali gli scaglioni di reddito potrebbero essere i seguenti:

 

REDDITO RIMBORSO IRPEF
Inferiore a 8.000€ € 1.880
Inferiore a 8.000€ contratto a tempo determinato € 1.380
Superiore agli 8.000€ ma inferiore ai 28.000€ €   978
Superiore ai 28.000€ ma inferiore ai 55.000€ €   690
Uguale o superiore a 55.000€ zero

 

Attenzione: non c’è ancora nulla di certo

Gli articoli in Rete ne parlano come se fosse già stato approvato, ma in realtà al momento non c’è un Decreto o comunque una bozza che confermi l’erogazione a breve di questa misura.

In linea teorica il cosiddetto Bonus Draghi avrebbe dovuto essere parte del Decreto Sostegni. Tuttavia, alla fine, è rimasto escluso dal testo convertito in legge.

Non essendo una misura definita e definitiva, pertanto mancano gli estremi per erogare allo stato attuale le somme ai dipendenti.

Una riforma più organica dell’IRPEF

Si parla da tempo della volontà di rimodulare (e rivedere) gli scaglioni IRPEF per legge.

Il disegno del Bonus Draghi, dunque, sarebbe di portata più ampia e andrebbe a ricollocarsi nella più organica Riforma dell’IRPEF, che ancora esiste solo sulla carta.

Nello specifico ci si riferisce a una revisione delle aliquote Irpef, che attualmente prevedono una trattenuta che avviene direttamente sulle buste paga dei lavoratori dipendenti in Italia.

La proposta di rivedere questa tassa con un importante taglio Irpef è quindi allo stato attuale tra le proposte del Governo Draghi.

Il premier con i suoi ministri pertanto stanno valutando delle agevolazioni per ridurre il cuneo fiscale e altre misure che andrebbero ad agevolare i lavoratori, grazie ad una riduzione delle trattenute dirette in busta paga.

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Messaggio dell’INPS: nel 2021 la quarantena NON è equiparata alla malattia

Con il messaggio 6 agosto 2021, n. 2842, l’INPS conferma che, riguardo all’indennità previdenziale di malattia in caso di quarantena  (art. 26, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18), procederà al definitivo riconoscimento degli importi dovuti per il 2020 basandosi sulle certificazioni attestanti la quarantena con isolamento fiduciario redatte dai medici curanti, anche nei casi in cui non sia stato possibile reperire alcuna indicazione sul provvedimento emesso dall’operatore di sanità pubblica.

Tuttavia, poiché per il 2021 il legislatore non ha stanziato nuove risorse, l’indennità non potrà essere erogata anche per gli eventi avvenuti nell’anno in corso.

Riguardo ai lavoratori “fragili”, la cui assenza dal lavoro è equiparata a ricovero ospedaliero (art. 26, c. 2 d.l. 18/2020), l’Istituto erogherà la prestazione relativamente ad eventi del 2020 e solo per quelli verificatisi fino al 30 giugno 2021, anche se il decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 ha differito al 31 ottobre 2021 il diritto riconosciuto ai lavoratori fragili di svolgere l’attività lavorativa in smart working.

Con riferimento agli eventi certificati come malattia conclamata da Covid-19, (art. 26, comma 6, d.l. 18/2020), invece, le indicazioni ricevute da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali autorizzano il riconoscimento della tutela della malattia secondo l’ordinaria gestione.

Fonte: www.inps.it