I manager bancari: strapagati a prescindere dai risultati

Le critiche al mega stipendio del futuro Ad di UniCredit non sono un caso. Dall’Italia alla Svizzera, le paghe dei manager ormai slegate dai risultati


Deve ancora entrare in ca­rica, ma il nuovo ammini­stratore delegato di Uni­Credit Andrea Orcel ha già scatenato un putiferio. Le so­cietà di consulenza Glass Lewis e Iss consigliano agli azionisti della banca milanese di bocciare la po­litica di remunerazione nell’as­semblea del 15 aprile per protesta­re contro i 7,5 milioni di paga del nuovo capo azienda. La banca chiede però di modificare anche le politiche sulle liquidazioni, au­mentandone il tetto da 7,2 a 15 mi­lioni (sei volte lo stipendio annua­le).

Dunque il “Ronaldo dei ban­chieri” già prima di scendere in campo s’è accaparrato almeno 22,5 milioni. Il suo predecessore Jean Pierre Mustier nel 2020 ha ricevuto “solo” 900 mila euro più stock option per altri 4,4. Molto meno della mega-liquidazione da 40 milioni pagata nel 2010 ad A­lessandro Profumo. A far discu­tere è il fatto che nel primo anno Orcel sarà pagato senza alcun col­legamento coi risultati aziendali.

Prima dell’arrivo di Orcel, in Italia divario tra stipendi dei vertici e quelli dei dipendenti delle banche era in calo. Secondo la Uilca, il sin­dacato dei bancari della Uil, nel 2007 i ceo delle banche quotate guadagnavano in media 139 volte lo stipendio medio dei dipendenti (28mila euro lordi l’anno), nel 2019 “appena” 44 volte. C’è chi, come Carlo Messina di Intesa San­paolo, dall’entrata in carica a set­tembre 2013 a oggi ha ricevuto ol­tre 23,5 milioni ottenendo però u­tili netti per 21,4 miliardi. Il ceo di Unipol Carlo Cimbri nel 2019 è stato pagato 5,6 milioni, il 26% in più dei 4,47 del 2018, ma a fronte di utili netti cresciuti del 73% da 0,63 a 1,09 miliardi.

Tuttavia non sono mancati manager la cui retribuzio­ne è stata una “variabile indipen­dente” rispetto ai risultati. Victor Massiah, Ad di Ubi dal primo di­cembre 2008 al 3 agosto scorso, ha ricevuto oltre 19,2 milioni mentre la banca nello stesso periodo ne perdeva 952. Nonostante la perdi­ta netta di 57 milioni, nel 2018 la paga di Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm dal primo gen­naio 2017, è aumentata di 124mila euro a 1,63 milioni.

Marco Morelli, ad di Mps da settembre 2 016 a maggio 2020, per volere della Bce dovette ridursi lo stipendio da ol­tre un milione a 488mila euro ma dal 2017 al 2019 perse 4,2 miliardi. Quisquilie rispetto a quanto avviene nella finanza all’estero. Charles Lowrey, presidente e AD Prudential, nel 2019 è stato pagato circa 16 milioni. Larry Fink, ceo di Blackrock il maggior gestore di fondi mondia­le, nel 2020 di milioni ne ha otte­nuti 25 e 7,9 Mario Greco, ceo del­le assicurazioni Zurich. Il numero uno di Allianz Oliver Bate ha gua­dagnato 5,35 milioni, il ceo di Axa Thomas Buberl e quello di Gene­rali, Philippe Donnet, 3,1 più a­zioni per 2,3. Il capo azienda di Credit Suisse Thomas Gottstein nel 2020 ha ottenuto 7,6 milioni. Il fenomeno parte da lontano.

A Wall Street nel 1965 un ammini­stratore delegato riceveva 20 volte la paga media dei suoi dipendenti. Nel 2000 era a 344 volte, scese a 188 con la crisi finanziaria del 2009 per tornare a 312 nel 2017, quando la retribuzione dei ceo del­le 350 maggiori aziende era in me­dia di 18,9 milioni di dollari. Ma le prime cinque banche Usa (Gol­dman Sachs, Citigroup, JP Mor­gan Chase, Bank of America e Morgan Stanley) pagavano i loro ceo in media 25,3 milioni. Secondo un report della società di head hunting Willis Towers Watson su­gli stipendi dei ceo di 429 società quotate, nel 2019 negli Stati Uniti i capi azienda guadagnavano in me­dia 11,88 milioni, nel Regno Unito 5, in Germania 5,7, in Francia 4,1 e in Giappone appena 1,55. Ma a fare la differenza sono i bonus: nel 2019 negli Usa gli incentivi variabili valevano il 72% della paga totale dei ceo. Quest’anno però Bank of A­merica (Bofa) e Citigroup hanno ridotto i compensi degli ad per il 2020 a causa della pandemia e di errori di gestione. Bofa ha ridotto la paga di Brian Moynihan del 7,5% a 24,5 milioni; Citigroup quella dell’uscente Michael Cor­bat del 21% a 19 milioni.

LA FISAC, il sindacato dei bancari Cgil, ha calcolato che tra il 2008 e il 2019 il personale dell’intero siste­ma bancario italiano è costato 292,2 miliardi, in media 25,1 l’anno, dai 26,6 del 2008 ai 23,5 del 2019. Il da­to comprende stipendi e al­tri costi come oneri di ri­strutturazione e incentivi all’esodo. Nello stesso pe­riodo infatti i bancari sono calati di 46 mila unità, uno su sette, da 328 a 282mila.

Nell’ultimo decennio non è che le azioni delle banche abbiano brillato: l’indice settoriale a Milano è passa­to dai 19mila punti dell’a­prile 2011 agli attuali 8.745. Una frenata analoga ha ri­guardato anche le banche svizzere e quelle di altri Pae­si. Le elvetiche Credit Suisse e Ubs hanno pagato i dipen­denti oltre 297miliardi, più di tutte le banche italiane. A fare la differenza è il peso della finanza: Cs e Ubs pa­gano mega-bonus legati ai risultati, mentre le banche italiane restano dipendenti dalle vendite allo sportello. Quand’era capo del Corporate and Investment ban­king di Ubs, Orcel otteneva premi annuali per decine di milioni, più dello stesso AD Ermotti. Ora in U­niCredit nessuno prenderà più di lui, ma molti temono la sua scure sui costi del personale.

Articolo di Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano del 3/4/2021




La Consulta: incostituzionale la modifica dell’articolo 18 introdotta dalla Fornero

In caso di licenziamento, il reintegro è un obbligo se il fatto è insussistente.
Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Cgil: una sentenza importante, la disciplina attuale non garantisce adeguate tutele ai lavoratori


 

La Corte Costituzionale ha dichiarato che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori così come modificato dalla riforma Fornero è incostituzionale. Lo spiega un passaggio della sentenza n. 59 depositata oggi (1 aprile) e anticipata già lo scorso 24 febbraio dalla Consulta.
In caso di licenziamento, il reintegro è un obbligo se il fatto è insussistente. Per i giudici, infatti, è “disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza il carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici, a fronte dell’inconsistenza della giustificazione addotta e della presenza di un vizio ben più grave rispetto alla pura e semplice insussistenza del fatto”

Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione che stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.  In particolare, la Corte ha censurato la norma poiché il principio di eguaglianza risulta violato se il reintegro, in caso di licenziamenti economici, è previsto come facoltativa quando il fatto che li ha determinati è manifestamente insussistente mentre è obbligatorio nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo .

La scelta tra due forme di tutela profondamente diverse – quella del reintegro e quella dell’indennità – viene così rimessa a una valutazione del magistrato senza che vi siano precisi punti di riferimento mentre “Il vaglio della genuinità della decisione imprenditoriale garantisce che il licenziamento rappresenti pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio”.

“Riteniamo importanti le motivazioni della sentenza n. 59/2021, depositata oggi, con cui la Corte costituzionale stabilisce l’obbligatorietà della reintegra anche nei casi di licenziamenti in cui la causa economica sia manifestamente insussistente”. Questo il commento della Cgil. “Viene, infatti, dichiarato incostituzionale – sottolinea il sindacato di Corso d’Italia – l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, modificato dalla ‘riforma Fornero’, nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa applicare, ma non debba applicare, la tutela reintegratoria”.

“Verrebbe quindi violato – prosegue la Cgil – il principio di uguaglianza rispetto ad altri casi, come il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa in cui, se il fatto è manifestamente insussistente, permane l’obbligo della reintegra”. Il sindacato ricorda che “la disciplina della tutela contro i licenziamenti illegittimi ha subito molti interventi correttivi negli ultimi anni, dalla Fornero al Jobs Act, tutti orientati a spostare la tutela da quella reale a quella risarcitoria”. Ma “questa sentenza, come altre, che si sono succedute negli ultimi mesi, – conclude la Cgil – rende evidente che la disciplina attuale non garantisce adeguate tutele ai lavoratori, né il rispetto dei principi di eguaglianza e di deterrenza che tali norme devono poter garantire, riequilibrando la possibile discrezionalità datoriale”.

 

Fonte: www.collettiva.it




Quarantena dopo le ferie all’estero: si rischia il licenziamento

Una sentenza del Tribunale di Trento sancisce la possibilità di essere licenziati a causa dell’isolamento domiciliare dopo il rientro dalle ferie


Un dipendente che trascorre le ferie all’estero e al rientro del viaggio deve trascorrere un periodo di quarantena per effetto delle misure anti-Covid può essere licenziato? Una recente ordinanza del Tribunale di Trento ha stabilito di sì, suscitando le critiche non solo nell’opinione pubblica, ma anche tra gli addetti ai lavori nel campo del diritto del lavoro.

Covid, licenziata al rientro dalle ferie all’estero: la sentenza

L’isolamento domiciliare obbligatorio di 14 giorni, in determinati casi anche in assenza di positività da Covid-19 verificata attraverso il tampone, è previsto per il ritorno da buona parte dei Paesi stranieri riconosciuti dal ministero della Salute ad altro rischio epidemiologico e ripartiti dal Dpcm del 14 gennaio in diversi elenchi, con le rispettive limitazioni.

La sentenza del Tribunale di Trento riguarda una lavoratrice che aveva deciso di trascorrere le vacanze in Albania, consapevole che la scelta di passare le ferie all’estero avrebbe comportato al suo rimpatrio, l’isolamento fiduciario a casa per 14 giorni.

La dipendente era già dunque a conoscenza del fatto, o avrebbe dovuto esserlo, che non avrebbe potuto riprendere l’attività alla data concordata con il datore di lavoro. Il giudice ha per questo classificato il periodo di quarantena come assenza ingiustificata e ritenuto quindi la condotta passibile di licenziamento.

Covid, licenziata al rientro dalle ferie all’estero: i motivi

Di fronte alle aspre polemiche di una limitazione indebita del diritto alle ferie, le motivazioni del Tribunale di Trento spiegano come la lavoratrice avrebbe dovuto evitare di trovarsi nelle condizione di non poter riprendere il lavoro alla data prevista.

Come ogni altro cittadino italiano costretto a rispettare dall’inizio della pandemia le numerose e rigide limitazioni imposte dalle misure anti-contagio, a giudizio del Tribunale, la protagonista della vicenda avrebbe dovuto scegliere con maggiore criterio la destinazione delle sue vacanze, compiendo anche un sacrificio sulla propria decisione, alla luce delle conseguenze che avrebbe comportato per la propria occupazione.

Un compromesso che, ancora il Tribunale di Trento, ritiene molto più accettabile rispetto alle restrizione della libertà di movimento personale e del godimento di alcuni diritti civili che ha dovuto subito l’intera popolazione in questo ultimo anno.

Con questa sentenza il giudice richiama al senso di responsabilità, in particolar modo in una situazione di emergenza, implicito tra le parti in un rapporto di lavoro, nella quale non rientra la scelta di programmare delle vacanze all’estero, già sapendo che al rientro non si potrà tornare al lavoro per altri 14 giorni.

 

Fonte: www.quifinanza.it




Bper, gli RLS scrivono ai Prefetti: violate le norme anti Covid

Modena, 30 marzo 2021

Spett.le Bper Banca Spa
c.a. Dott. Gianluca Formenton
Delegato Datore di Lavoro
e per conoscenza
c.a. Romano De Marco R.S.P.P.
e per conoscenza
Prefetti Provinciali
Loro Sedi
e per conoscenza
ai Lavoratori
Loro Sedi

Oggetto: convocazione clientela in filiali collocate in zone rosse

Stiamo assistendo ad attività, sollecitata dalle strutture centrali e poste in essere dal personale di rete, di convocazione in filiale di clientela potenziale al fine di proporre loro la sottoscrizione, l’acquisto di prodotti bancari come una carta di credito, una polizza assicurativa, ecc…

Oltre alla convocazione, in questi giorni si stanno svolgendo in presenza gli appuntamenti fissati nei giorni scorsi.

Riteniamo tali attività in contrasto con le normative vigenti. E’ in capo all’azienda la responsabilità per ogni conseguenza dovesse scaturire da tali iniziative. Ricordiamo inoltre che anche il personale che attiva tali processi si rende individualmente responsabile del mancato rispetto delle normative anti Covid.

Distinti saluti

 

Gli RLS di Bper Banca


Sullo stesso argomento:

https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/bper-la-legge-non-si-rispetta-prevalentemente.html




Congedo obbligatorio maternità: tutte le informazioni utili

Ecco una guida sintetica, ma approfondita, con tutte le informazioni utili riguardanti il congedo obbligatorio di maternità.


In articoli passati abbiamo parlato a vario titolo del congedo parentale (maggiori informazioni qui): in questo articolo, invece, ci concentreremo nello specifico sul congedo obbligatorio di maternità.

La legge, infatti, tutela la lavoratrice madre nelle diverse fasi della gravidanza e nei primi anni di vita del bambino.

 

Congedo obbligatorio maternità: di cosa si tratta?

Il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza. 

In presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare del congedo, l’astensione dal lavoro spetta al padre (congedo di paternità). Il diritto al congedo e alla relativa indennità è previsto anche in caso di adozione o affidamento di minori.

Esso consiste in un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per la madre che copre:

  • un arco di tempo pari a 5 mesi a cavallo del parto
  • o due mesi precedenti la data presunta del parto e tre dopo
  • oppure 1 mese e 4
  • o infine, novità dal 2019, 5 mesi subito dopo il parto.

La scelta di avvalersi del congedo di maternità flessibile (1+4) è della lavoratrice, purché vi sia un attestato del medico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato avallato dal medico competente in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro nel quale certifichino l’assenza di rischio alla salute della lavoratrice e alla corretta prosecuzione della gravidanza.

Le novità nel congedo dal 2019

Come accennato sopra, la ovità per la maternità per il 2019 è la possibilità di fruire del congedo obbligatorio nei 5 mesi successivi al parto.

Questa possibilità ulteriore è stata introdotta con l’ultima legge di bilancio e stabilisce che le madri lavoratrici possano fruire del congedo obbligatorio di 5 mesi a partire dalla data del parto.

Anche in questo caso, come nel precedente congedo flessibile 1+4, vi deve essere una specifica autorizzazione da parte del medico del SSN avallato dal medico competente che attesti l’assenza di rischi per la madre e per il nascituro.

Che cosa si intende per obbligatorietà?

Oltre ad essere un obbligo del datore di lavoro si tratta anche di un diritto indisponibile per la lavoratrice, ciò significa che in nessun caso l’astensione può essere oggetto di rinuncia, neppure a fronte di comprovata certificazione medica attestante le condizioni di buona salute della lavoratrice.

L’obbligatorietà del congedo per le lavoratrici dipendenti è sancita dal Testo Unico sulla maternità e paternità (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151) che vieta ai datori di lavoro di adibire le donne al lavoro durante il periodo di congedo di maternità.

Dal 14 giugno 2017, data di entrata in vigore della legge 22 maggio 2017, n. 81, il congedo di maternità non è più obbligatorio per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata. La relativa indennità, pertanto, è riconosciuta a prescindere dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa.

A chi, cosa e quando

Qui di seguito alcune informazioni essenziali sui beneficiari della misura, le specifiche e le casistiche varie.

A chi spetta?

  • alle lavoratrici dipendenti assicurate all’Inps anche per la maternità, comprese le lavoratrici assicurate ex IPSEMA
  • (apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti) aventi un rapporto di lavoro in corso alla data di inizio del congedo
  • poi alle disoccupate o sospese se ricorre una delle seguenti condizioni (art. 24 T.U.):
    • il congedo di maternità sia iniziato entro 60 giorni dall’ultimo giorno di lavoro
    • il congedo di maternità sia iniziato oltre i predetti 60 giorni, ma sussiste il diritto all’indennità di disoccupazione, alla mobilità oppure alla cassa integrazione. Per le disoccupate che negli ultimi due anni hanno svolto lavori esclusi dal contributo per la disoccupazione, il diritto all’indennità  di maternità sussiste a condizione che il congedo di maternità sia iniziato entro 180 giorni dall’ultimo giorno di lavoro e che siano stati versati all’Inps 26 contributi settimanali negli ultimi due anni precedenti l’inizio del congedo stesso
  • e anche alle lavoratrici agricole a tempo indeterminato ed alle lavoratrici agricole tempo determinato che nell’anno di inizio del congedo siano in possesso della qualità di bracciante comprovata dall’iscrizione negli elenchi nominativi annuali per almeno 51 giornate di lavoro agricolo (art. 63 T.U.)
  • poi alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti) che hanno
    26 contributi settimanali nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità oppure 52 contributi settimanali nei due anni precedenti l’inizio del congedo stesso (art. 62 del T.U.)
  • alle lavoratrici a domicilio (art. 61 T.U.)
  • infine alle lavoratrici LSU o APU (attività socialmente utili o di pubblica utilità di cui all’art. 65 del T.U.)

A chi non spetta?

Non spetta alle lavoratrici dipendenti da Amministrazioni Pubbliche (incluse le lavoratrici dipendenti dai soppressi enti Inpdap ed Enpals) le quali sono tenute agli adempimenti previsti dalla legge in caso di maternità verso l’amministrazione pubblica dalla quale dipendono (artt. 2 e 57 del T.U.)

Cosa spetta ai beneficiari, quando e quanto dura?

A chi fruisce del congedo obbligatorio, nello specifico, tocca un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che comprende (artt. 16 e seguenti del T.U.):

  • prima del parto
    • i 2 mesi precedenti la data presunta del parto (salvo flessibilità) e il giorno del parto
    • i periodi di interdizione anticipata disposti dall’azienda sanitaria locale (per gravidanza a rischio) oppure dalla direzione territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili)
  • dopo il parto
    • i 3 mesi successivi al parto (salvo flessibilità) e, in caso di parto avvenuto dopo la data presunta, i giorni compresi tra la data presunta e la data effettiva.
    • In caso di parto anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce), ai tre mesi dopo il parto si aggiungono i giorni non goduti prima del parto, anche qualora la somma dei 3 mesi di post partum e dei giorni compresi tra la data effettiva del parto ed la data presunta del parto, superi il limite complessivo di cinque mesi;
    • i periodi di interdizione prorogata disposti dalla direzione territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili con il periodo successivo al parto).

Quanto spetta?

Durante i periodi di congedo di maternità la lavoratrice  ha diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera calcolata sulla base dell’ultimo periodo di paga precedente l’inizio del congedo di maternità. Quindi, solitamente, l’ultimo mese di lavoro precedente il mese di inizio del congedo (articoli 22 e seguenti del TU).

Per gli iscritti alla Gestione Separata, se il reddito deriva da attività libero professionale o di collaborazione coordinata e continuativa parasubordinata, l’indennità di congedo è pari all’80% di 1/365 del reddito.

L’indennità:

  • è anticipata in busta paga dal datore di lavoro
  • mentre invece è pagata direttamente dall’INPS con bonifico postale o accredito su conto corrente bancario o postale a:
    • lavoratrici stagionali;
    • operaie agricole (salva la facoltà di anticipazione dell’indennità, da parte del datore di lavoro, in favore delle operaie agricole a tempo indeterminato);
    • lavoratrici dello spettacolo saltuarie o a termine;
    • addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti);
    • lavoratrici disoccupate o sospese

Casi particolari

Ci sono una serie di casi particolari che influiscono direttamente o indirettamente sul congedo che andiamo a elencare qui di seguito.

Parto gemellare e data del parto

Ad esempio, in caso di parto gemellare la durata del congedo di maternità non varia.

Inoltre, la data del parto è giorno a sé rispetto ai due mesi di ante partum e ai tre mesi post partum e, pertanto, tale giorno deve essere sempre aggiunto ai consueti cinque mesi di congedo di maternità.

Ricovero in una struttura e congedo successivo al parto

Occorre aggiungere che se il neonato è ricoverato in una struttura, pubblica o privata, la madre può sospendere anche parzialmente il congedo successivo al parto (articolo 16 bis, comma 1 del TU) e riprendere l’attività lavorativa. La madre usufruirà del periodo di congedo residuo a partire dalle dimissioni del bambino. Questo diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio, solo se le condizioni di salute della madre sono compatibili con la ripresa dell’attività lavorativa (articolo 16 bis, comma 2 del TU) e accertate da attestazione medica.

Adozione o affidamento

Poi, in caso di adozione o affidamento, la sospensione del periodo di congedo di maternità per il ricovero del minore è prevista solo per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, sempre che sia stata ripresa l’attività lavorativa (articolo 26, comma 6 bis).

Secondo quanto previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, per l’adozione o l’affidamento nazionale di minore il congedo di maternità spetta per cinque mesi a partire dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato prima dell’adozione.

Adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali

Per le adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali, il congedo spetta per cinque mesi a partire dall’ingresso in Italia del minore adottato o affidato, con il periodo di congedo che può essere fruito anche parzialmente prima dell’ingresso in Italia del minore. Se l’affidamento non è preadottivo, il congedo spetta alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti per tre mesi, anche frazionato su cinque mesi, a partire dall’affidamento del minore. Tale congedo non spetta invece alle lavoratrici e ai lavoratori iscritti alla Gestione Separata.

Interruzione di gravidanza

Infine, in caso di interruzione di gravidanza dopo 180 giorni dall’inizio della gestazione o di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, la lavoratrice – dipendente o iscritta alla Gestione Separata – può astenersi dal lavoro per l’intero periodo di congedo di maternità, tranne se rinuncia alla facoltà di fruire del congedo di maternità (articolo 16, comma 1 bis del TU, modificato dal decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119).

 

Fonte: www.lentepubblica.it

 

Per approfondimenti leggi la Guida Fisac Maternità, Paternità e Adozione

 




Ivass: da marzo è partita l’attività dei “mistery shoppers”

IVASS SPERIMENTA IL MYSTERY SHOPPING

Partite a marzo le prime visite dei mystery shoppers. Sono operatori specializzati che
operano “in incognito” per verificare dal vivo le concrete modalità di vendita delle polizze
assicurative da parte degli intermediari.

Le visite “in incognito”, che al momento sono sperimentali, riguarderanno non solo agenzie,
banche e sportelli postali ma anche la vendita “on line”: “acquirenti misteriosi” infatti
navigheranno su piattaforme e broker di distribuzione digitale.

Il progetto “mystery shopping” in via di sviluppo con il supporto di un consulente e di EIOPA
(l’Autorità europea di vigilanza sulle assicurazioni) e finanziato dal Programma dell’Unione
Europea di supporto alle riforme strutturali, ha l’obiettivo di fornire al Supervisore nuovi
strumenti e metodologie per l’esercizio dell’attività di vigilanza sulla condotta di mercato che gli intermediari tengono verso gli assicurati.

 

Comunicato stampa Ivass del 19/3/2021