ISP – UBI: le tappe del percorso di integrazione


UN PERCORSO COMUNE CHE CI VEDRA’ IN CAMPO CON COMPETENZA, IMPEGNO E DETERMINAZIONE

Nella giornata di martedì 4 agosto si sono incontrati alla presenza dei Segretari nazionali di riferimento i Coordinatori della FISAC CGIL del Gruppo Intesa Sanpaolo e del Gruppo UBI.

L’incontro avvia il percorso di conoscenza reciproca delle due realtà aziendali che precede l’inizio del confronto negoziale vero e proprio relativo al percorso di integrazione, di cui Intesa Sanpaolo (nell’ambito della presentazione sui Risultati 1° semestre 2020) ha reso note le prossime tappe, fra cui:

Entro metà ottobre 2020 Nomina di un nuovo Consiglio di Amministrazione di UBI Banca
Entro dicembre 2020 Cessione del Ramo bancario a BPER Banca
Entro dicembre 2020 Firma dell’accordo sindacale per le uscite volontarie senza impatti sociali
Entro aprile 2021 Fusione per incorporazione di UBI Banca in ISP e completamento dell’integrazione informatica
Entro dicembre 2021 Completamento dell’integrazione tra i due Gruppi e – ove possibile – integrazione delle fabbriche prodotto UBI Banca
Entro fine 2021 (“appena lo scenario macroeconomico apparirà più chiaro”) Nuovo Piano di impresa

Per l’impegno rilevante che ci attende è indispensabile un’approfondita conoscenza dei rispettivi assetti aziendali e della contrattazione di secondo livello sottoscritta nei due Gruppi. Le trattative che si apriranno in autunno dovranno avere come obiettivo:

  • la tutela dei livelli occupazionali all’interno del settore su tutti i territori coinvolti,
  • la gestione delle ricadute su lavoratrici e lavoratori dei processi di riorganizzazione con particolare attenzione alle esigenze delle persone e al riconoscimento dell’esperienza professionale maturata,
  • il massimo contenimento della mobilità territoriale, con lo spostamento delle attività dove sono i lavoratori
  • un piano di assunzioni per il sostegno e rilancio dell’occupazione su tutto il territorio nazionale,
  • un’armonizzazione contrattuale che garantisca e valorizzi i livelli e le tutele ad oggi conquistate.

Analogo percorso ci sarà con le strutture della FISAC CGIL di BPER, Gruppo a cui andranno 532 filiali (un terzo delle unità produttive della rete di UBI), nonché in relazione alla cessione d iulteriori 17 sportelli che ISP si è impegnata a vendere a “soggetti terzi”. Si tratta di un aspetto “disgregante” dei dipendenti interessati che determina ansia per l’incertezza sul futuro professionale di tante persone. La dichiarata attenzione alle risorse umane espressa dai vertici aziendali di ISP potrà vedere già in quest’ambito un primo banco di prova, in attesa delle più complesse sfide che ci attendono e in cui la FISAC CGIL sarà impegnata con tutte le sue componenti nella tutela delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti.

 

FISAC CGIL Gruppo Intesa Sanpaolo

FISAC CGIL Gruppo UBI




Il cancro dei contratti pirata

In Italia sono circa 400. Parla Ivana Galli (Cgil): “Abbassano gli stipendi e riducono le agibilità sindacali. Ci rimettono i più deboli, ma è un danno generale per tutto il sistema. Serve una legge sulla rappresentanza”

Secondo i dati più recenti forniti dal Cnel in Italia risultano presenti 854 contratti di lavoro. Tra questi circa 400 sono contratti pirata, in aumento costante proprio negli ultimi anni. Ne abbiamo discusso con il segretario confederale della Cgil, Ivana Galli.

Prima di tutto cos’è un contratto pirata?

È un contratto che riproduce la struttura di quelli firmati da Cgil, Cisl e Uil, ma con un salario più basso. Si tratta di accordi firmati da aziende e sigle sindacali spesso costituite ad hoc, che fanno dumping e concorrenza sleale al ribasso, in particolare sulla parte normativa e sul salario accessorio. Da una parte riducono le agibilità sindacali, dall’altra pagano di meno i lavoratori: visto che l’Inps applica le stesse aliquote previste per i contratti nazionali sulla parte fissa, l’esercizio della pirateria avviene sulla quota accessoria della retribuzione. Poi, sempre nell’ambito di questi contratti, c’è il tema della costituzione dei fondi bilaterali, che certamente non migliora il sistema della bilateralità, anzi.

E i più colpiti sono sempre i lavoratori.

Certo. Un contratto pirata di fatto abbassa le tutele di chi lavora in un settore o in un’azienda, attraverso l’erosione dei diritti siglati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative. Per questo si chiamano pirata: perché scippano la qualità dei diritti. Ma attenzione, non sono solo i lavoratori a rimetterci.

Chi altro viene danneggiato?

Tutto il sistema. L’abbassamento di diritti e salari consente alle aziende scorrette una competizione al ribasso, che vede penalizzate quelle che rispettano il lavoro, in una forma di dumping verso gli imprenditori che rispettano norme ed applicano i contratti giusti. Il colpo più duro viene inferto alle categorie fragili: i giovani, coloro che nelle zone ad alto tasso di disoccupazione sono costretti ad accettare condizioni di lavoro al ribasso. Ma si tratta di un danno generale: ci perdono le aziende virtuose, come detto, e allo stesso tempo la riduzione della qualità della vita crea l’emersione di nuova rabbia e malcontento sociale. È l’esatto opposto di quello che serve per aiutare la ripartenza del Paese nel periodo post-Covid: se bisogna aumentare i salari e dare certezze alle persone, la pirateria va esattamente nella direzione opposta.

Qual è la ricetta giusta per combattere i contratti pirata?

Serve una legge sulla rappresentanza. La disintermediazione degli ultimi quindici anni ha indebolito i corpi intermedi e favorito una proliferazione di associazioni, che a loro volta si sono frantumate in tante sigle. E poi ci sono sigle costituite ad hoc per firmare contratti scorretti. Un fenomeno trasversale che investe tutti i settori: la pirateria può riguardare un’azienda, un comparto o una regione. Attualmente ogni impresa può applicare il contratto che ritiene più vantaggioso, la norma lo consente: per questo la definizione di una legge sulla rappresentanza è sempre più urgente e non rimandabile.

In questo senso come si sono mosse le parti sociali?

Il 10 gennaio del 2014 fu firmato il Testo unico sulla rappresentanza, che comprende quasi 200 sigle sindacali. Un accordo che, naturalmente, riguarda solo le organizzazioni che hanno aderito. Ora chiediamo una legge che prenda a riferimento i contenuti di quelle intese, per costruire delle regole e stabilire chi può firmare un contratto che si applica a tutti. I lavoratori devono avere la certezza di essere rappresentati correttamente. E non si tratta di certificare l’esistenza dei sindacati, al contrario: chi si assume l’onere di firmare un contratto deve essere qualificato e avere i numeri per farlo. Basti pensare che nell’arco di otto anni il numero dei contratti rilevati dal Cnel è cresciuto in modo esponenziale proprio per colpa della pirateria, si fanno continuamente accordi ritagliati ad hoc. I contratti pirata sono un cancro come il lavoro nero. Una sciagura che fa male a tutti. Per questo occorre fare un’azione comune con Cisl e Uil per arrivare ad ottenere la legge.

 

dal sito www.collettiva.it
articolo di Emanuele Di Nicola 

 

 

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La mappa delle filiali cedute da UBI a BPER

Sul sito istituzionale del Gruppo BPER è stato pubblicato il report di presentazione del bilancio semestrale al 30/6.

Fra le varie slides è presente anche la rappresentazione grafica dell’operazione di acquisto delle filiali che UBI dovrà cedere seguendo le indicazioni dell’Antitrust.

  • La prima figura indica il numero di filiali BPER attualmente presenti in ogni singola regione.
  • La seconda riporta il numero di filiali che entreranno a far parte del Gruppo BPER.
  • La terza rappresenta la situazione una volta completate le operazioni di cessione.

 

Fonte: Sito istituzionale BPER




Intesa–Ubi: fondamentali salvaguardia e valorizzazione delle tutele occupazionali e dell’economia locale

2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

L’acquisizione di UBI da parte di Intesa Sanpaolo; è una operazione che ha come obiettivo dichiarato l’aumento dimensionale del Gruppo ISP per meglio competere sul mercato internazionale.

Una operazione che lascia intravedere anche scenari futuri in termini di acquisizioni/accorpamenti/fusioni nel settore del credito.

Le Organizzazioni Sindacali Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil, Uilca/Uil e Unisin, pur non entrando nel merito dell’operazione, presidieranno attentamente sui livelli occupazionali e sulla tutela del risparmio delle/dei cittadine/i.

L’efficienza e la crescita aziendale non devono avvenire a discapito dei sistemi economici locali e delle tutele e dei diritti di lavoratrici/tori e tantomeno attraverso la chiusura di sportelli che portino a ricadute sull’occupazione.

Roma, 4 agosto 2020

 

I Segretari Generali




Le truffe delle aziende sulla CIG: 600 volte maggiore di quelle sul reddito di cittadinanza

La Cassa erogata impropriamente per il Covid ammonta a 2,7 miliardi, mentre le piccole “truffe” da reddito di cittadinanza sono costate solo 4,5 milioni.


Se il “furbetto” ha appeso al collo il cartellino del Reddito di cittadinanza potete stare tranquilli che contro di lui si scaglierà tutto l’establishment italiano. Partiti moderati, giornali liberali, opinionisti e parlamentari d’assalto. Se, invece, il “furbetto” succhia la Cassa integrazione da Covid senza averne diritto, a finire nei guai è chi solleva il problema.

 

Gli allarmi di Inps e Cgil

Lo scorso giugno il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, aveva fatto notare, a proposito di Cassa integrazione che “stiamo sovvenzionando anche aziende che potrebbero ripartire, magari al 50%, e grazie agli aiuti di Stato preferiscono non farlo”. Finì male per lui, sul piano mediatico, con Confindustria a guidare il coro dell’indignazione: “Parole inaccettabili”, anzi no, “sconcertanti”, meglio, “ingenerose”, di più “offensive”, ecco i soliti “pregiudizi anti impresa”.

L’allarme, in realtà, lo aveva lanciato la Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, già il 30 marzo facendo notare che “l’informativa ai sindacati come atto interno senza obbligo di comunicazione all’Istituto potrebbe rappresentare l’inizio di una pratica furbesca che vedrà centinaia di aziende di fatto scavalcare gli obblighi di legge”. La Fillea si era sbagliata per difetto, a oggi, secondo i dati forniti dall’Inps, le imprese già “beccate” nella “pratica furbesca” sono 2.600.

Quando invece si è trattato di denunciare la “dimenticanza” della moglie di un detenuto al 41-bis, che non aveva specificato nella domanda per il Reddito di cittadinanza la singolare collocazione del coniuge, lo scandalo è stato unanime. Tutti i detrattori di quella misura si sono sbracciati per chiederne l’abrogazione. Peggio ancora quando sono stati scovati ben 37 “furbetti”, (33 italiani e 4 stranieri), denunciati dai carabinieri nell’ambito di un’operazione denominata Jobless Money (Soldi senza lavoro), tra cui elementi di spicco della cosca Piromalli-Molè di Gioia Tauro. La notizia, in realtà, nei casi citati è che i controlli avevano funzionato.

 

I numeri della Gdf

I dati però rendono ragione dei diversi allarmi. Al 21 giugno scorso, secondo la Guardia di Finanza, sono 709 i “furbetti” scoperti nel 2019 nell’ambito dei 22.151 interventi per la tutela della spesa pubblica. Secondo i dati Inps, il reddito medio del Reddito di cittadinanza è di 521 euro mensili. I 709 beneficiari indebiti scoperti sono costati quindi 4.432.668 euro, poco meno di 4,5 milioni di euro. Stiamo parlando di una misura che ha un costo complessivo annuo di 7,5 miliardi che, secondo l’ultimo report al 7 luglio, giunge a 1,2 milioni di beneficiari per un totale di 2,9 milioni di persone coinvolte di cui 750 mila minori. Questa è la fotografia del Reddito che, come ormai è opinione diffusa tra chi si occupa di politiche sociali, ha garantito una tenuta importante durante l’emergenza Covid.

A svelare la realtà delle cose ci ha pensato però l’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, lo scorso 28 luglio, che ha mostrato una realtà finora intuita ma non ancora rivelata. Oltre un quarto delle imprese beneficiarie della cassa integrazione “da Covid” non ne aveva bisogno e, seppur a norma di legge, ha usufruito di una misura indebita. “Oltre un quarto delle ore è stato tirato da imprese che non hanno subito alcuna riduzione di fatturato” è l’analisi dell’Upb, che però non ha fatto una stima dei costi complessivi.

 

La denuncia dell’Upb

Cassa integrazione, fondi bilaterali e cassa in deroga sono state richieste finora da circa 553 mila imprese. Le ore effettivamente “tirate”, cioè realmente utilizzate, sono 536 milioni e, secondo i dati aggiornati al 13 luglio 2020 (relative ai mesi di febbraio, marzo, aprile e, parzialmente, di maggio per quanto riguarda gli anticipi delle aziende) hanno prodotto una spesa di 10 miliardi (10 miliardi e 90 milioni, per l’esattezza) di cui 5,728 miliardi corrisposti direttamente dall’Istituto e 4,362 anticipati dalle aziende. La percentuale di ore utilizzate per Covid, ma senza cali di fatturato, è del 27% quindi, conferma l’Inps, si può quantificare in 2,7 miliardi l’ammontare di spesa che si sarebbe potuta risparmiare in presenza di un comportamento corretto. Oppure, aggiungiamo noi, in presenza di controlli più stringenti o di una verifica sindacale come chiedeva a marzo la Cgil. La Cig con causale Covid-19 è stata data, infatti, senza alcuna verifica, senza relazioni tecniche o accordi sindacali. L’estensione alle imprese con meno di 5 dipendenti ha reso ancora più ampia la platea e meno agevoli i controlli.

L’unica illegalità è quella in cui le imprese che ricorrono alla cassa integrazione continuino l’attività facendo lavorare i dipendenti in nero o, addirittura, in smart working. Dirlo o scriverlo è legato a una idea soviettista e “anti-imprese”? Neanche per sogno. Dai controlli a campione effettuati dall’Inps sono risultate ben 2.600 imprese (all’elenco in tabella vanno aggiunte almeno altre 300 matricole Inps bloccate dall’Istituto) che rientrano nella componente di illegalità.

Se i “furbetti” del Reddito costano quindi allo Stato circa 4,5 milioni di euro, i furbetti della Cig costano 2,7 miliardi, 600 volte in più. Con buona pace di Bonomi, Confindustria e di tutti quelli a cui piace vedere la povera gente restare povera e quella benestante diventare un po’ più ricca.

 

Articolo di Salvatore Cannavò sul Fatto Quotidiano del 1/8/2020

 




Popolare di Bari: la Fisac aziendale si costituisce parte civile

Gruppo bancario Banca Popolare di Bari

PARTI CIVILI

A seguito del riconoscimento da parte della Procura della Repubblica della sussistenza di specifiche fattispecie di reato ad opera dell’ex presidente di BPB e dell’ ex co-direttore generale, la FISAC CGIL del Gruppo BPB ha deciso di costituirsi parte civile nel relativo processo.
La costituzione di parte civile è quell’atto che può compiere il danneggiato dal reato al fine di chiedere il risarcimento del danno subito a seguito del crimine” La mancata veridicità delle informazioni ai soci e l’alterazione fraudolenta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria all’interno del bilancio dell’Istituto hanno senz’altro danneggiato gli azionisti, ma anche le lavoratrici e i lavoratori. Questi ultimi, infatti, hanno sopportato per primi il peso economico del dissesto, generato dalla gestione scellerata della BPB.

Nel corso di questi anni si sono visti costretti a subire una contrazione della retribuzione ed attivare procedure di solidarietà per la salvaguardia dell’occupazione, sacrifici in buona fede ritenuti bastevoli ad evitare il dissesto dell’azienda – almeno per la parte relativa ai costi del lavoro -, in ragione di bilanci ad oggi falsi a detta della Pubblica Accusa. Pertanto, in rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici danneggiati dai reati poc’anzi descritti, si intende prendere parte all’azione giudiziaria al fine di chiedere il risarcimento del danno da loro subito, che comprenderà sia l’aspetto professionale ed economico, sia le ripercussioni sul piano emotivo ed umano che hanno caratterizzato tutta la vicenda.

Quella della FISAC aziendale, è una precisa scelta di campo, un atto chiaro e diretto di difesa e rispetto della dignità dei dipendenti tanto come persone, tanto come lavoratori, L’udienza di costituzione delle parti che si sarebbe dovuta tenere il giorno 16 Luglio è stata sospesa e rinviata al 24 settembre 2020 per motivi di sicurezza e nel rispetto delle misure anti-Covid-19, nell’aula-bunker presso il Tribunale di Bitonto. Sarà nostra premura informarvi riguardo ogni singolo sviluppo.




Unicredit: rete al collasso

Rete al collasso: possibile che interessi solo a noi ?

In data odierna si è svolto un incontro durante il quale l’Azienda ci ha illustrato un primo quadro relativo alla nuova occupazione.
Le uscite da Piano Esodi sono state: 367 FTEs al 10 giugno; circa 500 FTEs al 10 agosto e un numero da definire al 10 ottobre, ma nell’incontro del 8 luglio u.s. il dato fornito era di circa 940 FTEs.

L’azienda sta inviando in questi giorni le e-mail ai dipendenti aventi data di cessazione 10 ottobre 2020. Analoghe comunicazioni verranno inviate nei prossimi giorni anche ai colleghi cessandi per pensionamento diretto nei mesi di novembre e dicembre.
A settembre verrà inviata comunicazione ai dipendenti con data di cessazione successiva per avvisare che le loro domande sono accettate (fino a febbraio ‘28). Alle persone con finestra di uscita marzo-aprile ‘28 verrà infine comunicato che la loro domanda verrà presa in considerazione per evenienze future. A fronte di queste cessazioni ricordiamo che sono previste dall’accordo 2.4.2020 assunzioni di nuovo personale in rapporto di 1 ogni 2 uscite.

L’Azienda ha dichiarato che nel 2020 i nuovi ingressi saranno circa 800 e non esclude che una parte di questi possano avvenire a gennaio-febbraio 2021.

E dove andranno questi nuovi ingressi?
Il 40% in CBKI (rete-business) – il 5% in CIB – il 40% nella COO area – il 15% in funzioni di governo-supporto.
I cosiddetti stagionali saranno circa 90 a fine luglio, per aumentare a 130 a fine agosto e concludere con 35 ulteriori ingressi a settembre (totale 165 assunzioni).

Abbiamo più volte denunciato la situazione al collasso della rete commerciale, aggravata dalle uscite per gli esodi, dalle ferie e dallo spostamento di risorse alle Task Forces. Situazione certamente non nuova, quella della rete, denunciata innumerevoli volte e che ha portato ad una vertenza nazionale nel dicembre del 2018.
Ma questo sembra non interessare al nostro management, a quanto pare è una questione che sta a cuore unicamente ai Lavoratori ed al Sindacato, e i dati sopra esposti lo dimostrano con chiarezza!!! Della rete hanno aderito agli esodi circa il 60% del totale potenziale, ma solo il 40% delle nuove assunzioni andranno a rinforzarla.

Le entrate saranno inoltre successive alle uscite, le quali si ripercuoteranno pesantemente su molte filiali; vanificando di fatto la possibilità di formazione per affiancamento dei nuovi colleghi. Come apprenderanno pertanto le competenze di color che lasciano? Da un corso online? L’accordo 2.4.2020 prevede assunzioni preventive alle uscite o almeno contemporanee, di tutto questo non c’è, al momento, traccia.
Siamo ben consapevoli come la pandemia Covid non abbia certamente agevolato il lavoro di selezione dei nuovi assunti e come in questi ultimi mesi le urgenze e le priorità si siano susseguite ed accavallate; tuttavia non riusciamo a comprendere il passo con il quale si intende procedere alle assunzioni previste da un accordo firmato.

Così assolutamente non va!

I casi di Direttori che consegnano le chiavi e lasciano l’incarico, oltre ai colleghi sull’orlo di una crisi di nervi e fortemente colpiti dallo stress da lavoro correlato, legato anche alla recrudescenza delle pressioni commerciali, lasciano presagire un’estate bollente e oltre il limite di sopportazione.
Anche noi non sopporteremo oltre.

Milano, 28-07-2020

SEGRETERIE DI COORDINAMENTO GRUPPO UNICREDIT
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN

 

dal sito Fisac Unicredit