Generali sarà primo azionista di Cattolica: garanzie sulle tutele occupazionali

2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 8 - Fna 9 - Snfia 6 - Uilca

Care/i Colleghe/i, giovedì scorso, immediatamente dopo la pubblicazione del comunicato stampa congiunto sull’avvio della partnership strategica con Generali, l’Azienda ha voluto incontrare i coordinamenti aziendali e le Segreterie Nazionali delle OO.SS. per una prima illustrazione dello stesso.

Il VDG Samuele Marconcini ha sottolineato l’importanza di aver concluso in tempi molto stretti un’alleanza industriale e commerciale con un partner della solidità e della caratura di Generali, anche in considerazione del particolare momento e delle conseguenze economiche legate alla pandemia.

Generali diventerà il maggiore azionista di Cattolica con una partecipazione del 24,4% attraverso la sottoscrizione riservata di 300 dei 500 milioni dell’aumento di capitale imposto da Ivass, a condizione che venga definito entro fine luglio il passaggio dalla forma cooperativa alla SpA.

ll dott. Marconcini ha voluto rassicurare sull’esistenza di un percorso industriale che non si limiterà alle sole 4 aree riportate dalla nota stampa, mentre le OO.SS., prendendo atto della dichiarazione aziendale, hanno confermato la richiesta di garanzie sulle tutele occupazionali.

E’ stato altresì evidenziato che aver individuato una partnership strategica con un gruppo di primario livello nel panorama assicurativo, che per dimensioni, storia e tradizioni consolidate, dovrebbe garantire tranquillità per il futuro, rappresenta un segnale tangibile della volontà di Cattolica di restare un importante player nel mercato assicurativo in grado di generare valore a vantaggio di entrambe le realtà societarie coinvolte.

La Società ha confermato l’incontro del 1 luglio – già definito nel precedente incontro con il dott. Ferraresi del 12 giugno scorso – per iniziare a lavorare concretamente sul tema delle tutele occupazionali, e dato appuntamento per un nuovo incontro entro fine luglio per fare il punto sulla partnership con il Gruppo Generali.

Milano, Roma e Verona, 29 giugno 2020

 

Le Segreterie Nazionali ed i coordinamenti aziendali di
First-Cisl, Fisac-Cgil, Fna, Snfia e Uilca




Posso denunciare il capo che minaccia di licenziarmi?

È possibile denunciare il datore di lavoro che minaccia il proprio dipendente di licenziamento o di metterlo in cassa integrazione solo per obbligarlo a straordinari o per imporgli di accettare uno stipendio più basso di quello indicato in busta paga. O, ancora, come ritorsione a seguito di diverbi avvenuti in azienda.

Il reato che commette il capo può essere quello di estorsione o di minaccia.

Riguardo al reato di minaccia, questo scatta tutte le volte in cui il sottoposto viene intimorito e, di certo, la relazione di sudditanza sia psicologica che gerarchica insita in un ambiente lavorativo porta il lavoratore ad accettare tacitamente ciò che gli viene chiesto dall’alto. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza. Il datore viene così condannato, a seguito di un processo penale, al risarcimento del danno in favore del suo sottoposto.

Minacciare il dipendente di licenziamento costituisce un abuso di potere, da parte del datore di lavoro, nei confronti del dipendente; non importa che quest’ultimo, in caso di licenziamento illegittimo, possa impugnare la decisione dei vertici dell’azienda e chiedere la reintegra: il percorso giudiziale è pur sempre un calvario e, quindi, si concretizza in un male ingiusto, imposto per degli scopi illeciti come quelli volti a ottenere una riduzione del costo della busta paga o una prestazione lavorativa extra.

La Cassazione ricorda che nel caso di minaccia «l’atto intimidatorio è fine a se stesso e per la sussistenza del reato si richiede solo che l’agente ponga in essere la condotta minatoria in senso generico (…)»; è «sufficiente la sola attitudine della condotta stessa ad intimorire» considerato il potere concreto che il datore ha di incidere negativamente sulle condizioni lavorative del sottoposto; ed è «irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente».

Sempre la Cassazione ha detto con un’ulteriore sentenza che integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione di debolezza dei dipendenti a causa del difficile contesto occupazionale, prima della conclusione del contratto di lavoro e durante lo svolgimento del rapporto di lavoro stesso, impone al lavoratore di accettare condizioni di lavoro deteriori a fronte della minaccia di mancata assunzione o di licenziamento(nella specie, le condizioni imposte riguardavano, in particolare, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni in bianco, la corresponsione di una retribuzione inferiore a quella risultante dalla busta paga, nonché il prolungamento non dichiarato dell’orario di lavoro).

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della crisi occupazione e della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di retribuzioni deteriori e non adeguate alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate.

Fonte: www.laleggepertutti.it




Unicredit: caos non calmo

1 - Fabi 2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

Stamani in tutte le oltre 1.000 agenzie prive di servizio di guardiania, la situazione di colleghi e colleghe è al limite della sopportazione.
Ad organico già all’osso, ma ulteriormente ridotto per aver ceduto persone alle task force, per il periodo di ferie estive, per gli oltre 360 colleghi e colleghe uscite in esodo, i colleghi delle filiali devono supplire al malfunzionamento di UBOOK e alla revoca della guardiania tenendo tranquilla la clientela che attende all’esterno delle agenzie e sono chiamati a gestire in manuale, con un continuo andirivieni, le più diverse situazioni, a seconda della tipologia di entrata prevista.

L’Azienda sembra ignorare che ci sono agenzie con bussola, agenzie con porta scorrevole, che a volte ammette all’area self; tutte situazioni che non possono essere gestite con “metti in manuale e vai”.

Non è accettabile che Colleghi e Colleghe vedano messa a repentaglio la propria incolumità fisica e sanitaria, debbano rischiare pesanti aggressioni di alcuni clienti esasperati, come purtroppo sta succedendo in varie parti d’Italia in questo momento!

Inoltre denunciamo come sia in aperta e grave violazione del Contratto Collettivo di Lavoro che Colleghi e Colleghe svolgano il ruolo dello steward esterno alle filiali.

Abbiamo chiesto alla Azienda il ripristino della guardiania ovunque e la sospensione di UBOOK che è una delle ragioni di tutto questo caos.

Milano, 6 luglio 2020

Le Segreterie di Coordinamento di Gruppo UniCredit
FABI, FIRST/CISL, FISAC/CGIL, UILCA/UIL, UNISIN




BPER Banca, approvato progetto incorporazione Cr Bra e Cr Saluzzo

L’assemblea ordinaria e straordinaria di BPER Banca ha approvato in data 6 luglio il progetto di fusione per incorporazione in BPER Banca delle due controllate Cassa di Risparmio di Saluzzo e Cassa di Risparmio di Bra nonché l’aumento del capitale sociale di BPER al servizio della fusione per incorporazione di Cr di Bra.

Ok dall’assemblea anche alla integrazione del CdA con la sostituzione di Roberta Marracino, nominata in occasione dell’assemblea del 14 aprile 2018 con Elisabetta Candini eletta per il residuo del triennio 2018- 2020.

“Prosegue, pertanto, il processo di semplificazione e di razionalizzazione del gruppo BPER Banca – sottolinea l’istituto in una nota – con la fusione per incorporazione delle due Casse piemontesi, enunciato nel Piano industriale 2019-2021. L’attuazione della fusione delle due controllate potrà avvenire solo dopo il decorso del termine di cui all’art 57 del Decreto legislativo 385/93. Salvo ostacoli, si prevede di stipulare l’atto di fusione in tempo utile per poter dare efficacia alla fusione a decorrere dal prossimo 27 luglio. Da quella data avrà effetto anche la predetta statutaria”.

“Si tratta di un’operazione importante che completa l’ampio progetto di integrazione portato avanti negli ultimi anni, con una serie di Banche via via entrate nel perimetro di BPER. Arriviamo al termine di un percorso che ha valorizzato questi Istituti e le realtà territoriali da essi rappresentate, in cui la clientela ha potuto contare sui servizi qualificati e sulle capacità operative di un importante Gruppo bancario. Ora l’assetto raggiunto è definitivo, con la Capogruppo BPER Banca che conta circa 1000 sportelli e controlla come unica banca commerciale il Banco di Sardegna, il cui focus specifico è sulla regione di appartenenza, dove, con circa 330 filiali, è leader di mercato”, ha dichiarato l’Amministratore delegato di BPER Banca, Alessandro Vandelli.

Fonte: www.lastampa.it




Banche: posso spegnere il telefonino aziendale?

Aumenta sempre più il numero dei bancari che vengono dotati di telefoni aziendali: ai Titolari di Filiale si aggiungono i referenti imprese, i vicari, coloro che si occupano di investimenti ecc…

Un investimento così significativo da parte delle aziende implica automaticamente che tutti coloro che hanno ricevuto lo smartphone dovranno, d’ora in poi, rispondere alle telefonate ed ai messaggi a qualsiasi ora del giorno e della notte? E che non potranno saltare una sola riunione in videochat dovunque si trovino e qualunque cosa stiano facendo?

Abbiamo avuto molte segnalazioni di alcuni responsabili che alimentano questa convinzione.

Le cose stanno davvero in questo modo? (spoiler: assolutamente NO!!!)

E allora andiamo a vedere cosa prevedono le normative attualmente in vigore.

 

LA REPERIBILITA’

Se davvero dovessimo rispondere al telefono a tutte le ore e fornire chiarimenti e soluzioni a clienti e superiori, questo vorrebbe dire essere sempre reperibili.

La reperibilità è regolata dall’art. 40 del CCNL ABI. Questi i punti salienti:

  • La reperibilità dev’essere richiesta esplicitamente. 
    La semplice consegna di un telefonino non è una richiesta esplicita.
  • La reperibilità è limitata ad addetti a particolari servizi: centri elettronici, personale addetto all’estrazione di valori, addetti a sistemi di sicurezza, al presidio di impianti tecnologici, servizi automatizzati all’utenza ecc…
    La consulenza non rientra tra i servizi per i quali può essere richiesta la reperibilità, e la ragione è evidente: i Bancari non sono chirurghi che operano i malati a cuore aperto. Non c’è nessun motivo per cui una richiesta in materia di investimenti o di finanziamenti debba trovare risposta alle 10 di sera o di domenica pomeriggio, e non possa invece essere rinviata alla mattina successiva, in orario di lavoro.
  • La reperibilità dev’essere pagata.
    Ai colleghi ai quali viene chiesto di essere reperibili dev’essere corrisposta un’indennità giornaliera con un minimo di € 13,95 ed un massimo di € 30,68 per reperibilità estesa alle 24 ore.
  • Nessuno può essere reperibile sempre.
    Il terzo comma dice espressamente che l’azienda deve predisporre opportune turnazioni tra i lavoratori ai quali viene richiesta la reperibilità.

Basterebbe questo solo articolo del CCNL a fare chiarezza su ciò che l’Azienda non può chiedere agli assegnatari di telefoni aziendali. Ma proprio per maggior chiarezza di fronte ad atteggiamenti volutamente ambigui da parte della Dirigenza delle varie Azienda bancarie, l’accordo di rinnovo del CCNL sottoscritto lo scorso 19 dicembre ha ribadito un importante principio.

 

IL DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE

L’articolo 30 dell’accordo di rinnovo chiarisce in maniera inequivocabile alcuni importanti principi:

  • L’utilizzo delle apparecchiature aziendali in dotazione deve avvenire nel rispetto delle norme sulla prestazione lavorativa.
    Quindi l’assegnazione di un telefono aziendale non può comportare la riduzione o la limitazione del diritto al riposo giornaliero e settimanale, delle ferie e di qualsiasi assenza legittimamente giustificata.
  • Non sono ammesse comunicazioni di lavoro su apparecchiature diverse da quelle aziendali.
    Un capo che pensasse di aggirare il legittimo diritto alla disconnessione inviando messaggi sul telefono personale, magari per rimproverare il destinatario di  non aver venduto abbastanza prodotti nella giornata appena conclusa, commetterebbe una violazione contrattuale.
  • Fuori dall’orario di lavoro e nelle giornate di assenza, alle lavoratrici ed ai lavoratori non è richiesto di accedere e connettersi alla rete aziendale.
    Quindi è un nostro preciso diritto tenere spenti i telefonini ed evitare di ricevere comunicazioni aziendali quando non siamo in Azienda.
  • Qualora arrivassero comunicazioni e richieste aziendali fuori dall’orario di lavoro, il destinatario non è tenuto a rispondere o ad eseguirle prima del rientro in ufficio

 

Adesso che abbiamo visto cosa prevedono le norme contrattuali, torniamo alla domanda iniziale.

 

QUINDI POSSO SPEGNERE IL TELEFONINO AZIENDALE?

Il comportamento consigliato è questo: il telefono aziendale va spento all’uscita dal lavoro e riacceso al rientro.
E’ un nostro diritto farlo: un diritto che non è piovuto dal cielo, ma per il quale ci siamo battuti duramente e adesso che ci è stato riconosciuto dobbiamo esercitarlo, oppure lo perderemo rapidamente.

Quando partiamo per le vacanze, la cosa migliore da fare è lasciare il telefonino a casa. E se durante le nostre ferie venisse organizzata una riunione in videochat possiamo stare tranquilli: riuscirà benissimo anche senza di noi.
In ogni caso sarebbe assurda e inaccettabile la pretesa di chi volesse farci interrompere le ferie per assistere alla riunione, motivandola con l’assegnazione dello smartphone aziendale.

A maggior ragione il telefonino va tenuto spento quando siamo in malattia: chi sta male non può lavorare. E siamo assolutamente certi che assistere a videochat, leggere messaggi o email e rispondere alle telefonate dei clienti non aiuti ad accelerare la guarigione.

In ultimo la raccomandazione che non ci stancheremo mai di fare: chiunque dovesse subire pressioni indebite deve immediatamente informare il proprio rappresentante sindacale.

 

 




Ancora turbolenze nei sindacati bancari: dopo la Cgil, dimissioni anche in Cisl

A metà luglio si deciderà il destino di Giuliano Calcagni, dimissionario segretario generale della Fisac Cgil che, insieme alla sua intera segreteria nazionale, ha rimesso il mandato nelle mani del leader Cgil, Maurizio Landini. Dopo aver brillantemente chiuso il miglior contratto nazionale della categoria degli ultimi 15 anni (approvato, dopo decenni, all’ unanimità dal comitato direttivo Fisac, solo con qualche sparuta astensione), dopo aver gestito positivamente i piani industriali dei principali gruppi bancari e tutta l’emergenza Covid.

Calcagni, racconta chi segue da vicino le vicende dei sindacati del credito, è stato di fatto sfiduciato da una parte di quella maggioranza che lo elesse il 29 novembre 2018 con una lettera firmata da un gruppo di dirigenti sindacali. Gli viene imputata, da alcuni, la condizione “a-democratica, accentratrice, autoritaria, a tratti intimidatoria del dissenso e una certa inadeguatezza”.

Con ogni probabilità – la storia nella Fisac Cgil si ripete puntualmente da diversi anni – non sarà un bancario a guidare l’organizzazione nei prossimi due anni, ma un segretario confederale spedito da Landini a rimettere in carreggiata sia gli oppositori di Calcagni sia i suoi sostenitori.

Acque agitate anche in altre organizzazioni. In casa First Cisl, si è dimesso il segretario generale aggiunto, Maurizio Arena, che ha spedito questa lettera a tutti i dirigenti.
C’è chi dice che dietro l’operazione ci sia il solito Giulio Romani, ex segretario generale First Cisl, che avrebbe “spinto” lo stesso Arena a cambiare, per l’ennesima volta, casacca, passando alla Uilca. Se fosse vero, la stessa Annamaria Furlan sarebbe costretta a prendere provvedimenti contro Romani. Arena portò il sindacato dei dirigenti bancari in casa Cisl nel 2015, ma l’operazione si rivelò un clamoroso bagno di sangue, visto che nel giro di pochi anni la metà dei 12.000 iscritti stracciò la tessera.

 

Fonte: www.affariitaliani.it




Limiti al contante: le nuove regole

Vi è una doppia novità per cercare di limitare l’uso del denaro contante e per incentivare i pagamenti tracciabili: dal primo di luglio 2020 scende a 2 mila euro la soglia per regolare le transazioni via cash, contemporaneamente arriva il bonus collegato all’obbligo per i professionisti di installare i Pos per incassare i pagamenti elettronici.

Le due modifiche fanno parte del Collegato fiscale dell’ultima manovra di Bilancio. Come ha ricordato pochi giorni fa il Direttore delle Entrate, l’utilizzo delle tecnologie è fondamentale per cercare di limitare il fenomeno dell’evasione, sarebbe possibile dimezzarne l’incidenza in cinque anni grazie all’impiego appropriato di strumenti tech a nostra disposizione.

 LA SOGLIA PER L’UTIIZZO DEL DENARO CONTANTE SCENDE A 2 MILA EURO

La prima novità è la riduzione di mille euro della soglia che limita le transazioni in denaro contante. Passa così, dal 1°luglio, a 2 mila euro. E’ uno passaggio temporaneo che dovrebbe durare fino al 31 dicembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2022, infatti, il Decreto fiscale prevede un ulteriore dimezzamento del limite a mille euro.

Nella scheda di presentazione della Norma alla Camera, i tecnici di Montecitorio hanno citato un dossier di Bankitalia, che inquadra il problema-contante nel nostro Paese: secondo i dati Bce, in Italia si registra il maggior numero di transazioni giornaliere per persona: in media 2 al giorno, di cui 1,7 in contanti, contro una media europea di 1,6 pagamenti, di cui 1,2 in contanti. L’85,9 per cento delle transazioni è regolato in contanti, per un valore pari al 68,4 per cento del totale.

Gli strumenti alternativi al contante più utilizzati sono le Carte di pagamento (debito, credito e prepagate) con le quali è stato regolato il 12,9% delle transazioni. Tale percentuale risulta più che raddoppiata se si prende in considerazione il valore delle operazioni (28,6%) in quanto l’utilizzo degli strumenti alternativi al contante cresce sensibilmente quando l’importo della transazione supera le 100 euro.

Per il contante il valore medio di una transazione è stato di 13,57 euro, per le carte di 37,70 euro (carte contactless di 8,92 euro). Gli altri strumenti sono utilizzati per importi superiori, con un valore medio di 44,02 euro, maggiore per i bonifici (60,82 euro) e gli assegni (96,11 euro). In generale, l’importo medio delle transazioni è stato di 17,05 euro.

Diminuire la soglia sulle transazioni di maggiore entità, dunque, ha a che fare soprattutto con il tentativo di contrastare i fenomeni di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. A questo si accompagna l’obiettivo di limitare l’evasione. Il tetto al contante è stato oggetto di molti dibattiti e successivi interventi. Arrivato a punte di 12.500 euro, il tetto era stato abbassato a 1.000 Poi, con la Legge di Stabilità per il 2016 era stato rimesso a 3 mila euro.

 OBBLIGO DI POS PER I PROFESSIONISTI-IL CREDITO D’IMPOSTA SULLE SPESE SOSTENUTE

Sempre al Decreto fiscale si lega la seconda innovazione che scatta con luglio. Il Decreto ha introdotto, infatti, un credito d’imposta pari al 30% delle commissioni addebitate per transazioni effettuate con Carte di pagamento. Si tratta di  un bonus fiscale riconosciuto (con l’obbligo di accettare i pagamenti con carte) ad esercenti attività di impresa, arte o professioni, i cui ricavi e compensi riferiti all’anno d’imposta precedente non eccedano i 400mila euro. Lo scopo è quello di compensare parzialmente i costi sostenuti per incassare i pagamenti attraverso strumenti tracciabili, dalle carte di credito ai bancomat.

Al tema dell’uso del Contante ha appena dedicato un’analisi la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, evidenziando come nel tempo il valore assoluto dell’economia irregolare sia cresciuto, passando da 202 miliardi di euro del 2011 a 210 del 2017 (+3,9%). Per il Presidente della Fondazione, il limite alla circolazione del contante aiuta certamente a contrastare l’illegalità, ma gli interventi che vanno in questa direzione, per essere realmente incisivi, devono essere strutturali.

 

Dal sito Fisac/Cgil nazionale




Invalidità Civile: per la Corte Costituzionale l’importo è troppo basso

La Consulta ha esaminato una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino, fornendo una risposta che avrà molta importanza dal lato normativo e giuridico.

Il caso che ha dato origine alla decisione – spiega l’Ufficio stampa della Consulta in attesa del deposito della pronuncia – riguarda una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno.

Invalidità Civile: per la Corte Costituzionale somme insufficienti

Infatti per la Corte Costituzionale la cifra di 285,66 euro al mese è troppo bassa per garantire i mezzi necessari per vivere agli invalidi totali.

È perciò violato il diritto al mantenimento che la Costituzione (articolo 38) garantisce agli inabili.

Attualmente agli invalidi civili totali spetta un assegno mensile di 285,66€ (2019) a condizione di possedere un reddito personale non superiore a 16.814,34€ annui (non conta il reddito del coniuge). Al raggiungimento dell’età anagrafica di 60 anni l’articolo 38 della legge 448/2001riconosce una maggiorazione della prestazione sino a 649,45€ mensili a condizione di possedere un reddito personale non superiore a 8.442,85€ ed un reddito coniugale – se trattasi di invalido coniugato – non superiore a 14.396,72€ annui.

Quindi d’ora in poi non più € 285,66 euro mensili previsti dalla legge 118 del 1971. Infatti oggi si può avere l’incremento ad € 516,46 sin  dal 18esimo anno di età senza aspettare il raggiungimento  dell’età di sessantasei e sette mesi.

Tuttavia non rilevano i redditi del coniuge nè quelli esenti dall’irpef. Per la maggiorazione rilevano, invece

  • non solo quelli del coniuge
  • ma anche i redditi di qualsiasi natura

compresi i redditi esenti da imposta, ad eccezione

  • del reddito della casa di abitazione
  • delle pensioni di guerra
  • e delle indennità di accompagnamento.

La Sentenza è storica: ma non avrà effetto retroattivo. Dovrà applicarsi proprio a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. con le relative motivazioni.

Resta ferma la possibilità per il legislatore di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché idonee a garantire agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione.

 

Fonte: www.lentepubblica.it

 




Fusione Igea-Fucino: sindacati all’attacco

«L’accordo di fusione tra Igea Banca e Banca del Fucino sottoposto alle Organizzazioni Sindacali scriventi ed il contestuale rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale ha subito una forte battuta di arresto», è quanto denunciano i sindacati in una nota.

«Ciò a seguito delle posizioni intransigenti assunte dalla Direzione del nuovo gruppo nascente che non ha mostrato alcuna disponibilità al benché minimo miglioramento delle poste più importanti della contrattazione. Inoltre hanno deciso di non pagare il premio aziendale per l’anno 2019, contrariamente agli impegni precedentemente presi, ed a scardinare l’assetto del premio aziendale preesistente anche per gli anni a venire.

Tale comportamento è inaccettabile ed i direttivi sindacali hanno deciso di convocare l’assemblea generale per il giorno 2 luglio per decidere il da farsi. Le Organizzazioni Sindacali auspicano che il cambiamento degli assetti proprietari si traduca in un netto miglioramento della qualità del credito e non in un peggioramento del clima aziendale che non sarebbe certamente utile al rilancio del nuovo gruppo bancario».

 

Fonte: Il Messaggero.it