Unicredit: Inquadramenti, Task Forces, videosorveglianza, part time e pressioni commerciali


Inquadramenti – Part time – Pressioni – Videosorveglianza

Nel secondo incontro di ripresa del confronto in Unicredit SpA si è trattato di Inquadramenti, Task Forces, videosorveglianza, part time e pressioni commerciali.

Inquadramenti

L’applicazione dell’accordo sugli inquadramenti del 2017, modificato con il Verbale dell’8 maggio 2019, ha finalmente prodotto, dall’inizio del 2020, con gli arretrati dovuti, oltre 1000 passaggi a inquadramento superiore o attribuzione del Trattamento Economico, più della metà dei quali con decorrenza dal 2019.

A questo punto, secondo l’Azienda, sostanzialmente le situazioni sospese sono state sistemate e se vi fossero ancora posizioni da aggiornare vanno esplicitate tramite il Sindacato.

Abbiamo sollecitato l’inserimento nell’Accordo sul “Sistema di Valorizzazione del Personale” della figura del Consulente First Direct Remoto Senior” e Consulente Business Remoto Senior “che, come previsto, deve realizzarsi quanto prima, in relazione alla complessità dell’organizzazione del lavoro in Unidirect.

Anche l’obbligo di permanenza per 9 mesi dei Consulenti First/Business che passano da UCD alla Rete, prima di poter utilizzare lo zainetto professionale, ci è stato giustificato con una non perfetta sovrapposizione tra i ruoli di Rete e da Remoto.

Circa l’estensione dell’accordo sugli inquadramenti ad altri perimetri della banca, prevista anche dall’accordo sul Piano T23, l’Azienda ha dichiarato che allargare ad altri perimetri è argomento complesso: abbiamo dichiarato che in quelle strutture della banca i cui ruoli non sono normati in un accordo, sono presenti numerosi sotto inquadramenti che rappresentano, certamente, un problema per i Lavoratori e per le Lavoratrici ma che ancor più lo sono, lo devono essere, per l’Azienda.

Sul recepimento delle modifiche nell’Accordo sugli Inquadramenti secondo quanto previsto dal rinnovo del CCNL siglato il 19 dicembre scorso e che prevede la considerazione nei percorsi inquadramentali del congedo parentale fino a un massimo di 5 mesi, l’Azienda ha confermato che tale recepimento sarà realizzato ma che dovrà necessariamente avere decorrenza dalla data dell’entrata in vigore della revisione del Contratto Collettivo di Lavoro di Settore.

Circa i Colleghi e le Colleghe che, in contratto di apprendistato, acquisiscono un portafoglio (Consulenti First/Business) ovvero il coordinamento di persone (Team Leader) è stato confermato che, nella pratica, gestionalmente, tale contratto, prima della scadenza, viene trasformato a tempo indeterminato.

E’ stato inoltre confermato dall’Azienda che Colleghe e Colleghi spostati in task force continuano a maturare il percorso inquadramentale come se fossero nel loro posto di origine, senza alcuna interruzione.

Sulle task force, l’Azienda ha disposto il ritorno da Capital Light di 100 Assistenti Corporate degli originari 450. Sono pochi, davvero pochi per garantire un’attività, quella del Corporate, che probabilmente non scemerà nel corso del mese di agosto (sappiamo che molte aziende non chiuderanno) mentre Colleghi e Colleghe hanno diritto di godere delle proprie ferie e chi resta, non potrà reggere ai ritmi e carichi di lavoro imposti dalla ripresa lavorativa.

Ribadiamo che anche la Task Force di supporto a UCD deve essere chiusa perché la Rete delleFiliali è sotto una fortissima pressione lavorativa e il rapporto con la clientela è ormai al limite della complessità gestionale.


Revisione dell’Accordo sulla Videosorveglianza

Nel secondo incontro che si è svolto sul tema, l’Azienda ha precisato alcuni punti e in particolare le ragioni tecniche, di aggiornamento normativo e di prevenzione che sono alla base delle modifiche ipotizzate. Continueremo analizzando le proposte che ci saranno sottoposte come OO.SS.

 

Part time

L’obiettivo aziendale, e anche il nostro da sempre, è la concessione del maggior numero possibile di part time.

Abbiamo posto il tema di un’azienda che dichiara esuberi e che quindi non dovrebbe aver
problemi nel concedere part time.

Inoltre abbiamo dichiarato che è alla carenza di organici e alla struttura della rete filiali che va imputata la difficoltà nell’accoglimento delle domande di rapporto a tempo parziale: una situazione che ancora una volta ricade su Lavoratrici e Lavoratori.

Abbiamo chiesto all’Azienda il numero di colleghe e colleghi part time che, avendo aderito
all’esodo, usciranno nei prossimi 3 anni.

L’Azienda ha dichiarato l’intenzione di confermare, nell’ipotesi di modifica dell’accordo sul part-time, il perimetro provinciale della graduatoria e di essere disponibile a introdurre le flessibilità attualmente in vigore, sulla base di un accordo in essere solo per la Region Nord Est.

Vedremo su che basi rinnovare l’accordo in essere che data novembre 2011.

Al temine dell’incontro abbiamo posto un problema che sta impattando su tutte le agenzie (con l’eccezione delle 300 ca che ancora godono della guardiania): come sappiamo dal 6 luglio in poi le guardie sono state tolte dalle Filiali e al loro posto (ma non si può dire) ci sono i Colleghi e Colleghe “customer manager “.

Abbiamo esposto con chiarezza le molteplici difficoltà che stanno affrontando le persone in Rete, tra cessazione della guardiania, difficoltà di UBOOK, carenza di organici e persone, ancora, trattenute nella task force.

Abbiamo chiesto, proprio nell’ottica di alleggerire il lavoro nelle Filiali, la proroga, per un tempo che scavalchi il periodo estivo, della scadenza della revisione degli affidamenti dei POE.

L’Azienda ha dichiarato di tenere nella massima considerazione le nostre segnalazioni e quindi, benché abbia espresso qualche apparente iniziale perplessità, verificherà quanto da noi riportato, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo del Customer Manager al di fuori della previsione del CCNL.

 

Pressioni

Abbiamo con chiarezza denunciato la pressione di vendita di polizze collegate ai finanziamenti agevolati e il problema della operatività in switch che non è tutta da considerare impropria.

Abbiamo inoltre denunciato una generalizzata caduta di attenzione rispetto ai valori contenuti negli accordi sulle politiche commerciali.

L’Azienda ci ha sollecitato a segnalare sempre i casi: ma, diciamo noi, quando i casi sono molti, quando il sentire è comune tra tutti i Colleghi e le Colleghe, non bastano le segnalazioni, non basta che il sindacato faccia il cane da guardia. È indispensabile che l’Azienda riprenda il lavoro di cambio culturale al proprio interno, poiché senza alcun dubbio la situazione è generalmente peggiorata.

19 luglio 2020

 

SEGRETERIE DI COORDINAMENTO UNICREDIT SpA
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN




Il disagio delle mascherine nei luoghi di lavoro

Prima di affrontare nel dettaglio il disagio delle mascherine nei luoghi di lavoro, è bene soffermarsi velocemente sugli aspetti più generali e, cioè, i disagi che stanno affrontando i cittadini legati proprio alla mascherina indossata con il caldo.

Infatti, le alte temperature aumentano il fastidio di coprirsi il volto con il dispositivo necessario per evitare rischio di contagio ed a questo proposito è intervenuto l’infettivologo Matteo Bassetti – direttore della clinica Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova – che, riprendendo un  lavoro pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha sostenuto come le migliori mascherine da indossare per limitare la sofferenza che si prova siano quelle chirurgiche (valide se indossate da tutte le persone che sono a contatto) e non le Ffp2, più scomode in quanto generatrici di un maggior aumento della temperatura facciale.

Andando ora nello specifico di quanto avviene sui luoghi di lavoro, dobbiamo ricordare che prima della pandemia l’uso dei dispositivi delle vie respiratorie era previsto per un numero limitato di attività professionali. I dispositivi o apparecchi di protezione delle vie respiratorie (APVR) sono, infatti, progettati per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose come polveri, fibre, fumi, vapori, gas, microrganismi e particolati che possono essere presenti nell’ambiente di lavoro e provocare patologie a carico delle vie respiratorie. Un’eccessiva esposizione a sostanze pericolose può causare danni significativi alla salute. A questo proposito, va ricordato che le malattie respiratorie si posizionano al quarto posto tra le malattie professionali protocollate, come si evince dagli ultimi dati INAIL 2019, con un trend in aumento. Va inoltre ricordato che, anche in condizioni di normalità, si ricorre all’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (ovvero ai dispositivi di protezione individuale, DPI) quando non è possibile applicare mezzi di protezione collettiva (art.75 del D.Lgs. 81/2008) ovvero misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare l’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose.

Dallo scoppio dell’emergenza sanitaria legata al COVID 19,  a seguito dei protocolli di prevenzione della diffusione del Coronavirus, si è reso obbligatorio o consigliato l’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nella maggior parte degli ambienti di lavoro al chiuso o all’aperto e, a fronte dell’innalzamento delle temperature nel periodo estivo, è necessario affrontare un tema fin qui parzialmente sottovalutato ma che non può però essere ulteriormente trascurato: il disagio termico causato dai dispositivi di protezione delle vie respiratorie, che necessitano oggi di attenta valutazione dei rischi in particolare per i soggetti più sensibili.

L’uso dei DPI (mascherine) rappresenta l’ultima ratio per i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione in quanto mira a proteggere il lavoratore dal cosiddetto “rischio residuo”, ovvero dal rischio ancora presente nonostante siano state attuate opportune misure tecniche, organizzative, procedurali e siano state messe in campo opportune soluzioni per la protezione collettiva (DPC).

Secondo la norma tecnica UNI EN 529:2006, l’assegnazione dei DPI per le vie respiratorie, altrimenti noti agli addetti ai lavori come APVR, è soggetta a una valutazione attenta che parte dall’adeguatezza del livello di protezione per includere – come sempre nel caso dei DPI – l’effettiva idoneità anche sotto il profilo ergonomico. Non è un caso, infatti, che nella valutazione e scelta debba essere coinvolto qualora possibile anche il medico competente, per escludere eventuali controindicazioni individuali all’uso, specie se prolungato.

Al punto D.5 della la UNI EN 529:2006 si pone l’attenzione sull’affaticamento termico che potrebbe causare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie in zone come la testa, dovuto ad un effetto barriera rispetto agli scambi termici e che potrebbe determinare un scomodità per il lavoratore che lo indossa.

Questo fattore diventa più evidente in presenza di condizioni microclimatiche sfavorevoli e di attività lavorative più intense, e rappresenta un problema di interesse igienistico emergente alla luce dei cambiamenti climatici in corso e delle ondate di calore sempre più intense e frequenti

L’aspetto termico, quindi, rappresenta uno dei fattori cruciali per la tollerabilità di questo tipo di DPI. La maschera eleva la temperatura della parte coperta del viso, spesso oltre i 34,5 gradi rendendo molto faticoso portarla.

Infatti, specialmente a seguito dell’intensificarsi dell’attività fisica, può accadere che la respirazione da nasale diventi oronasale che prevede una maggiore dispersione del calore verso l’ambiente rispetto alla respirazione nasale. L’aria espirata rimane bloccata dal facciale e si percepisce maggiormente il calore a seguito dell’aumentata presenza di vapore acqueo, con il conseguente rischio che la mansione risulti altamente stressante, causando altri potenziali effetti negativi.

Va posta grande attenzione alle pause, che devono essere frequenti per garantire corretti tempi di recupero, e all’idratazione, evitando che la prevenzione di un rischio biologico comporti altri rischi, peggiorando significativamente le condizioni di salute e di lavoro.

In conclusione dobbiamo affermare che la scelta del corretto dispositivo di protezione delle vie respiratorie negli ambienti di lavoro dovrebbe avvenire solo a seguito di un’attenta valutazione dei rischi: accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo con un’attenta valutazione dell’accettazione e delle potenziali ricadute sulle condizioni ergonomiche dell’attività lavorativa svolta, prendendo in esame:

  • l’adattabilità dei DPI alle caratteristiche fisiche e alle condizioni individuali di tutte le lavoratrici e lavoratori, con particolare riferimento ai soggetti sensibili;
  • il comfort termico del DPI, in considerazione della durata dell’impiego e del contesto d’uso.
  • graduale adattamento all’impiego del DPI in relazione alla tipologia di attività svolta
  • effettuazione di specifiche pause durante il lavoro per la rimozione del DPI e la reidratazione;
  • individuazione di adeguate aree di riposo al fresco ove togliere il DPI e rinfrescare il viso;

Riportiamo, di seguito, un elenco non esaustivo di soggetti particolarmente sensibili per cui potrebbe essere richiesto di istituire procedure ad hoc relative all’uso del DPI delle vie respiratorie:

  • Gravidanza
  • Ipertensione e malattie cardiovascolari
  • Disturbi della coagulazione
  • Patologie neurologiche o assunzione di psicofarmaci
  • Disturbi della tiroide
  • Malattie respiratorie croniche
  • Claustrofobia o attacchi di panico.

In tutti questi casi la valutazione dell’idoneità e delle procedure relative alla fornitura di questi strumenti in relazione ai rischi specifici della mansione (anche da Covid-19) e alle necessità individuali deve essere condotta con grande sensibilità e rigore.

Ricordiamo infine, che il distanziamento fisico resta un presidio primario, in base anche al Protocollo Condiviso del 24 aprile scorso (DPCM 26 aprile) per limitare la diffusione dell’epidemia, subordinando l’utilizzo della “mascherina” ai casi in cui non sia possibile mantenere una distanza adeguata e sempre accompagnato da una idonea formazione tesa a migliorarne l’accettabilità e l’adattabilità alle condizioni individuali di ciascun lavoratore e lavoratrice.

 

FISAC/CGIL
Dipartimento Salute e Sicurezza




UBI. Ops Intesa Sanpaolo e revoca delle ferie: atto grave e unilaterale

Nel pomeriggio di ieri si è svolto un incontro in cui l’azienda ha comunicato ai Coordinatori delle Organizzazioni sindacali le soluzioni organizzative individuate per far fronte all’operatività derivante dall’OPS di Intesa San Paolo su UBI.
Tali soluzioni (rappresentate da una attività di collaborazione tra filiali limitrofe e nella creazione di unatask force) avrebbero avuto, tra l’altro, la finalità dichiarata di assicurare adeguati livelli di servizio senza dover intervenire (se non in limitatissimi casi) sui piani ferie.

A distanza di poche ore e senza che da parte aziendale fosse pervenuta nessuna ulteriore e diversa comunicazione, abbiamo iniziato a ricevere notizia direttamente dalle colleghe e dai colleghi coinvolti (responsabili di filiale, consulenti premium e famiglie/privati) di una massiva revoca delle ferie pianificate nel mese di luglio.

Riteniamo estremamente grave questa decisione che rischia di ledere irrimediabilmente il diritto a un meritato periodo di riposo e di recupero psico-fisico, la cui importanza, nell’anno dell’emergenzaepidemiologica (nonché dei rischi e dello stress che ne sono derivati) dovrebbe risultare evidente ed essere tenuta nella debita considerazione da UBI.

La revoca delle ferie (per quanto ovviamente accompagnata dal ristoro delle spese sostenute secondo quanto previsto dal Contratto nazionale – v. oltre) impedirà alla maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori di UBI di poter trascorrere il periodo di vacanza programmato in compagnia dei propri cari (a loro volta vincolati da piani ferie prefissati e ormai non modificabili).

Per la mattinata di oggi (17/7) è previsto un ulteriore incontro con l’azienda, sollecitato unitariamente dalle Organizzazioni sindacali per chiedere conto delle iniziative adottate da UBI, del cui esito vi daremo tempestivamente notizia.
Al momento non possiamo comunque non esprimere insoddisfazione rispetto al livello di interlocuzione con l’azienda, elemento che desta particolare preoccupazione nella fase che ci apprestiamo ad affrontare.

In conclusione riportiamo nel riquadro che segue quanto stabilito in materia di spostamento delle feriedall’art. 55 del vigente CCNL.

Art. 55 – Ferie (estratto)

  1. L’impresa può richiamare l’assente prima del termine delle ferie quando urgenti necessità di servizio lo richiedano, fermo il diritto del dipendente di completare le ferie stesse in un periodo successivo,con diritto al rimborso delle spese derivanti dall’interruzione che il lavoratore/lavoratrice dimostri di aver sostenuto.
  2. Detto rimborso viene effettuato anche per le spese di viaggio, di vitto e di alloggio sostenute duranteil viaggio di rientro in servizio a richiesta dell’impresa, nonché per l’eventuale ritorno nella località incui il lavoratore/lavoratrice si trovava in ferie al momento del richiamo in servizio.
  3. Il rimborso ha luogo anche nel caso di spese conseguenti allo spostamento, per necessità di servizio, del turno di ferie precedentemente fissato.

Fonte: www.fisac-cgil.it




CGIL: allarme spopolamento per la Provincia dell’Aquila

Continuo ed inesorabile è il crollo demografico nella nostra provincia; infatti dai dati Istat relativi al 31 dicembre 2019, risulta una perdita netta di residenti pari a 2537 cittadini e cittadine rispetto all’inizio dell’anno, con una incidenza dello 0,85%, oltre il doppio se lo confrontiamo con il dato percentuale che interessa l’intero paese e che si attesta allo 0,4%. Se lo compariamo con il dato certificato al 31 dicembre 2014 risulta una perdita di residenti pari a 8393 cittadini e cittadine, pari al 2,75% di residenti in meno.

A fare il punto sono Francesco Marrelli, Segretario Generale CGIL della Provincia dell’Aquila, Miriam Del Biondo, Segretaria Generale FLC CGIL ed Anthony Pasqualone, Segretario Generale FP CGIL.

Partendo da una analisi delle nascite, spiegano, “abbiamo avuto una riduzione del 21% in 5 anni, infatti il dato al 2015 era pari a 2376 nascite di bambini e bambine che si riduce a 1877 nel 2019; se lo confrontiamo con l’anno 2018 abbiamo una riduzione percentuale pari al 9,1%, il doppio della diminuzione rilevata su tutto il territorio nazionale che si attesta al 4,5%. Il saldo naturale subisce un ulteriore peggioramento passando da -1155 cittadine e cittadini del 31.12.2014 a -1678 cittadine e cittadine del 31.12.2019″.

Ad aggravare ulteriormente la situazione è una preoccupante inversione di tendenza che vede un graduale abbandono del territorio anche da parte di cittadini stranieri; “dopo cinque anni in cui abbiamo riscontrato un saldo sempre crescente di residenti stranieri nella nostra provincia, nel 2019 – per la prima volta – il saldo tra inizio e fine anno vede un segno negativo pari a -362 residenti stranieri. Aumenta contestualmente la migrazione verso l’estero con un incremento del 21,45% nel rapporto tra il 2018 con 2019″.

A pagare maggiormente questa tendenza sono le aree montane più marginali e svantaggiate, “quelle che continuano a vivere una mancanza di servizi essenziali – sottolineano Marrelli, Del Biondo e Pasqualone – quali il trasporto pubblico locale, la restrizione dei servizi sanitari, la difficoltà per l’accesso alla scuola, i continui disagi per i servizi postali. Incide negativamente nelle scelte delle persone anche una continua contrazione dell’occupazione che costringe molti alla migrazione verso altri territori, sia fuori che dentro regione”.

Per il prossimo futuro dobbiamo invertire il paradigma sulle aree interne che dovranno assumere una nuova connotazione e la cui narrazione, che le ha sempre considerate svantaggiate, geograficamente, economicamente e socialmente, dovrà essere quella della potenzialità “caratterizzata sui punti di forza quali l’agroalimentare, la cultura, il turismo, la biodiversità e la migliore qualità della vita in generale. Per le comunità che abitano queste aree, la salute rappresenta un servizio fondamentale che, laddove assente, spinge la popolazione a migrare. Le dinamiche dell’invecchiamento e l’evoluzione dei bisogni prodotti dalla crescente frequenza di patologie croniche sono fenomeni che interessano principalmente i territori con forte spopolamento e che, pertanto, richiedono un ripensamento dei servizi sanitari sempre più orientati verso la presa in carico del paziente. Per questa ragione abbiamo la necessità di un vero progetto di sanità di prossimità che possa rifondare un patto fiduciario tra il sistema di welfare e le comunità locali che dovranno essere coinvolte nelle scelte strategiche delle funzioni sanitarie”.

Per la CGIL assume sempre maggiore rilevanza l’integrazione, concetto che dovrà rappresentare uno degli obiettivi fondamentali delle future innovazioni organizzative del sistema sanitario, “che vuol dire – spiegano Marrelli, Del Biondo e Pasqualone – integrazione tra servizi sanitari e socio sanitari, anche mediante il trasferimento dell’offerta sanitaria dall’ospedale al territorio e al domicilio del paziente, tramite la piena complementarietà delle funzioni. E’ dentro questa visione che la costituzione della Casa della Salute può assumere le importanti funzioni di realizzare una nuova identità di comunità efficace e partecipativa, finalizzata a rendere concreti i diritti di cittadinanza, facilitare il principio di solidarietà ed integrare le risorse del territorio”.

La Casa della Salute, rappresenta una struttura pubblica dove trovano allocazione i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie. “Un centro al servizio dei cittadini per l’accesso alle cure primarie – ivi compresi gli ambulatori di Medicina Generale e Specialistica ambulatoriale – e sociali. Un luogo in cui si concretizzi non solo l’accoglienza e l’orientamento ai servizi, ma soprattutto la continuità dell’assistenza, la gestione delle patologie croniche ed il completamento dei principali percorsi diagnostici che non necessitano di ricorso all’ospedale. Una struttura che si adatta alle caratteristiche epidemiologiche della popolazione del territorio e non il contrario”.

Perseguire il concetto della buona qualità della vita, vuol significare avviare un processo di rinnovamento dei borghi con una progettualità volta a ricomporre il territorio, “restituendo identità ai luoghi e senso di appartenenza a chi li abita e li frequenta. La praticabilità e la lontananza dei territori periferici dagli insediamenti abitativi dei centri urbani maggiori fanno discendere l’accessibilità ai servizi di cittadinanza. Affinché la distanza non si tramuti in marginalità è necessario rendere accessibili i territori, migliorando i servizi di trasporto ed il collegamento dalle aree e nelle aree. Tempi e modi si devono coniugare con celerità e accessibilità. Bisogna rafforzare e ripensare l’offerta dei servizi di trasporto nelle aree interne per migliore la mobilità delle persone avvicinando le esigenze di cittadini e cittadine al raggiungimento in poco tempo dei servizi disponibili nei centri urbani, valutando attentamente i fabbisogni e la domanda di spostamento, riqualificando e potenziando la dotazione infrastrutturale”.

Dalla rete dei servizi che nasce e trova sostegno nella progettazione inclusiva del territorio, dipende anche la sorte delle piccole scuole che lo presidiano rendendo più facile per le comunità la permanenza nei piccoli centri. “Nella nostra provincia le poche scuole delle aree più interne che ancora resistono sono a forte rischio di chiusura anche a causa dei parametri del D.M.81 che stabilisce rapporti numerici non adeguati alla demografia delle zone soggette a spopolamento. Chiediamo da anni alla politica di rappresentare la necessità della revisione dei parametri che permetterebbe la sopravvivenza delle piccole scuole e dei paesi su cui insistono. Siamo favorevoli a forme di razionalizzazione, ma mantenendo il presidio scolastico all’interno di un sistema integrato di servizi che può contribuire a ribaltare il paradigma delle aree interne e a spingere le persone non solo a restare, ma anche a trasferirvisi per una migliore qualità della vita. Le aree interne vanno rese accattivanti. Occorre, perciò, un nuovo protagonismo della politica e delle istituzioni, serve comprendere i problemi e ricercarne le soluzioni, eliminando dalla dialettica una inutile e dannosa retorica. Occorre un progetto che superi la condizione di solitudine di cittadini e cittadine che vivono nelle aree interne e che riconsegni alle comunità locali la possibilità di discutere e costruire il loro futuro”.

 

Fonte: www.news-town.it




Lavorare stanca, anzi uccide (lo stress del colletto bianco)

Non parleremo, in generale, di lavoratori che si fanno male o perdono la vita cadendo da un ponteggio, respirando miasmi tossici, travolti da un muletto o risucchiati da un macchinario in catena. Parleremo, in particolare, dei lavoratori che operano nei settori finanza, banche, assicurazioni. Colletti bianchi, un tempo considerato il paradigma dell’impiego comodo, sicuro e ben pagato. Cosa c’è di meglio di lavorare al fresco d’estate e al calduccio d’inverno, ben vestiti, senza rischiare di rimanere senza lavoro e con un premio di produzione che si somma allo stipendio?

Le pubblicità delle grandi banche, delle compagnie di assicurazione, degli enti che fanno prestiti personali mostrano consulenti dall’aria rilassata, elegante, rassicurante che, con un sorriso perennemente stampato in faccia, risolvono il problema del mutuo casa alla giovane coppia con bimbo, coprono il rischio del furto in casa vostra mentre siete in vacanza, mettono in un salvadanaio sicuro i vostri sudati risparmi. Ho imparato una legge dell’immaginario creato dai pubblicitari: più seducente è il mondo rappresentato e associato a quel marchio, più infernale è il mondo reale che sta all’ombra di quel marchio. Non parlo tanto del mondo della finanza stile Wall Street: spietato, feroce e dal fascino algido, la cui crudeltà può apparire superficialmente una minaccia per pochi facoltosi (naturalmente non è vero: le grandi corporation della finanza possono far fallire interi stati sovrani, e con loro affamare popoli). Parlo di un inferno meno cinematografico ma più popolare: quello dello sportello bancario sotto casa, dell’agenzia assicurativa che vi fa la polizza auto, della posta che propone un investimento di finanza strutturata a vostro padre, che ha settantacinque anni. L’inferno che vi viene rappresentato con l’immagine a volte bonaria, a volte fighetta del consulente della porta accanto.

The Workforce View 2020 – Volume Uno realizzata da ADP, multinazionale leader nell’ambito della gestione delle risorse umane, è un’indagine nella quale sono stati intervistati circa 32.500 lavoratori in tutto il mondo, 2.000 in Italia, esplorando le opinioni dei dipendenti riguardo alle problematiche attuali sul posto di lavoro e il futuro che si aspettano.
La fascia d’età più colpita è quella tra i 35 e i 54 anni: si dichiara giornalmente sotto pressione il 26%. Anche dopo i 55 anni la percentuale rimane alta al 23%, mentre scende al 20% dai 25 ai 34 e al 13,5% dai 18 ai 24 anni. Sommando le risposte è possibile tracciare una classifica dei settori in cui i lavoratori risentono maggiormente di stress.
Al primo posto il settore della finanza (bancario, assicurativo, intermediazioni) con una percentuale del 93%.
Al primo posto.
Le ragioni? Ansia del risultato, eccessiva mole di lavoro, senso di frustrazione derivante da una paga poco premiante o da una carriera che stenta a decollare nonostante i numerosi sacrifici, ma anche la preoccupazione di non poter coniugare al meglio lavoro e vita privata.
Marisa Campagnoli, HR director di ADP Italia, commenta: “Lo stress eccessivo e cronico può portare il lavoratore ad avere problemi di salute psicologica. I datori di lavoro e i responsabili HR, dovrebbero prendere in considerazione l’importanza di alleviare l’onere per i lavoratori sotto pressione. Purtroppo, i lavoratori stessi sono restii a parlare del problema, temono li possa danneggiare nella carriera, ma i team delle risorse umane possono svolgere un ruolo importante in modo che il personale si senta supportato nel farsi avanti. Aumentare la consapevolezza del problema all’interno delle organizzazioni, mettere in atto politiche per affrontarlo e indicare come i dipendenti possono ottenere aiuto sono alcuni dei modi in cui i datori di lavoro possono dimostrare che stanno prendendo sul serio il problema della salute psicologica dei propri lavoratori”.

Vi sembra esagerato? Beh, ma non lo dico io, lo dicono i lavoratori del settore, rispondendo per una volta non ad una indagine interna, commissionata dal datore di lavoro, ma ad un questionario indipendente. Lo stress lavoro-correlato è la nuova frontiera del danno professionale, in particolare nel settore dei servizi finanziari. Volendo esemplificare con una immagine il disagio di questa categoria, parlerei di una persona che si sente costantemente tra l’incudine e il martello.

L’incudine è la crescente richiesta di servizio, di assistenza, di aiuto dei clienti, sempre più smarriti dalla situazione sociale, alla ricerca in taluni casi disperata di sostegno economico, ma anche di onesta consulenza, di consigli per districarsi nella giungla di prodotti spesso incomprensibili, costosi, dalle commissioni nascoste e dai rendimenti incerti, dal tasso di sicurezza aleatorio. Clienti che, in una città normale, magari di provincia, sono conoscenti del bar, amici, parenti, persone che cercano tutte le cose sopra citate, e che si possono compendiare in una parola: fiducia. Cercano persone, professionisti di cui potersi fidare, in modo da affidare loro la propria situazione in maniera trasparente, a propria volta onesta, tale che la fiducia possa dirsi reciproca.

Il martello è l’ossessiva, quotidiana, soffocante richiesta aziendale di obiettivi da raggiungere, di performance, di risultati, per dirla con una espressione la “pressione commerciale”. Una pressione ormai svincolata dall’effettivo risultato, al punto da essere paradossalmente più vessatoria nelle aziende che macinano più utili, come se picchiare con il martello sul proprio dipendente facesse parte della ontologia (che assorbe e annulla la deontologia) della prestazione, che diventa impropriamente un’obbligazione di risultato quando normativamente si tratta, con tutta evidenza, di una obbligazione di mezzi.

Tra l’altro, in cambio di cosa? Per la stragrande maggioranza dei lavoratori di trincea, in cambio di un premio annuale che, in termini monetari, consente al massimo di pagarsi un fine settimana in un dignitoso tre stelle. Qualcuno potrebbe domandarsi il perchè di questa spirale assurda, di questo gioco al massacro della propria salute che non vale una candela tanto fioca, perchè in tanti ci cascano, non riescono a starne fuori. Per tre ragioni fondamentali.
La prima è organizzativa: per quattro che remano, ce ne sono sei che dettano il ritmo della pagaiata, che dicono ai quattro rematori quanto e come remare. E quei sei prendono un premio che è fino a dieci volte tanto quello dei quattro rematori. Una specie di multilevel marketing istituzionalizzato.
La seconda ragione è la paura della rappresaglia: che non è solo il timore di non fare carriera, ma di essere trasferiti lontano da casa, emarginati, bollati come scarsi o fannulloni, anche perchè i criteri di valutazione della prestazione non sono quelli di un consulente, ma quelli di un venditore, di un piazzista, essendo pesantemente sbilanciati sulla parte quantitativa: quanto vendi, non come vendi. E in particolare se sei donna, magari con figli piccoli, il timore di essere allontanata da casa gioca un ruolo fondamentale nel condizionare la tua condotta sul lavoro.
La terza ragione è psicologica: il meccanismo entra dentro di te, diventa parte del tuo essere, lo assumi come parte della tua cassetta degli attrezzi. La formazione dei bancari, per dirne una, è per la massima parte commerciale, mirante a vendere prodotti (tecniche di vendita screziate a volte da ridicole impalcature new age, stile “i believe i can fly, i believe i can touch the sky” ).
La formazione obbligatoria, quella sulle norme – e sono tante – che devono essere rispettate nell’esercizio del credito e nel collocamento dei prodotti di risparmio, è schiacciata dalla mole dei corsi finalizzati alla vendita, e spesso le aziende si mettono in regola (formalmente, ma non sostanzialmente) sottoponendo i dipendenti a corsi sulla normativa solo on line, Bignami digitali di nozioni incamerate non per renderle parte del proprio bagaglio (è impossibile, intruppando le slide tra un cliente e l’altro), ma per riuscire a passare il test finale. Va peraltro detto che le tre ragioni, appena declinate, di questa spirale sono strumentali ad una potente ratio basica sottostante, molto prosaica ma molto potente: la necessità di dare soddisfazione agli azionisti, in particolare ai grandi azionisti. Gli utili non possono scendere, i dividendi non possono calare, il valore capitale non può deprezzarsi. Ciò non può accadere, anche se da anni, ormai, il differenziale dei tassi d’interesse (lo scarto tra i tassi attivi e passivi), che era il grosso del margine di una banca, è strutturalmente basso, lontanissimo dai margini di quindici anni fa. Esiste solo un modo per mantenere tendenzialmente inalterato il margine di guadagno, se il margine di interesse è enormemente più basso del passato: collocare prodotti in maniera massiva, possibilmente prodotti che incorporano elevate commissioni.

So bene che non sto rassicurando i clienti delle banche e delle assicurazioni, che poi siamo tutti noi. Non intendo nemmeno fare il lavoratore del credito-fenomeno. Ce ne sono, in giro, di questi ‘pentiti’ che fanno soldi confessando quanto erano spietati nel far soldi, da dirigenti. Sostengo anzi che gli anticorpi contro la deriva del sistema finanziario diffuso sono ancora vivi. E’ proprio il profondo disagio dei dipendenti, evidenziato dalla ricerca da cui abbiamo preso le mosse, a costituire la spia dell’esistenza di questi anticorpi. Il disagio da altro non deriva, infatti, se non dalla difficoltà del corpus dei lavoratori (la grande maggioranza) di veleggiare in direzione ostinata e contraria rispetto alla corrente, che li spinge da un’altra parte. Sono i lavoratori (in particolare gli addetti alla clientela) la parte più sana del sistema. Il loro profondo disagio dipende in buona misura dal tentativo di lavorare con scienza e coscienza, anche etica, nell’interesse dei loro clienti oltre che del loro datore di lavoro. Nonostante il nuovo Contratto Nazionale dei lavoratori del credito incorpori una serie di regole che stigmatizzano e mirano a denunciare le cattive prassi commerciali, la strada per una buona finanza è ancora molto lunga, soprattutto perché non esiste ancora un vero e proprio regime sanzionatorio (e le sanzioni, per essere efficaci, dovrebbero colpire le aziende) delle condotte scorrette, laddove queste non si concretizzino in reati già codificati.

I cosiddetti stakeholders, cioè portatori di interessi classici, che gravitano attorno al sistema finanziario sono tre: azionisti, dipendenti, clienti. Credo che solo una saldatura ‘politica’ (spesso mancata) tra l’interesse dei dipendenti ad un lavoro svolto con coscienza e trasparenza, e l’interesse dei clientiad un servizio di consulenza onesto e limpido possa spostare il baricentro del sistema, consentendo ai bancari e agli assicurativi di liberarsi dall’ansia e dal disagio e ai clienti di potersi fidare della consulenza loro offerta.

Nicola Cavallini

 

Fonte: www.ferraraitalia.it

 

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Va in banca per pagare multa da 29 euro, ne esce con una da 400: era senza mascherina

Un 43enne di Osimo non ne voleva sapere di indossare il dispositivo di sicurezza all’interno della UBI Banca di Falconara ed è stato necessario l’intervento della Polizia locale.

E’ stata una mattinata movimentata quella di oggi per un 43enne di Osimo, che attorno alle 11 voleva presentarsi davanti alle casse della Ubi Banca di Falconara senza indossare la mascherina.

Il personale lo ha più volte invitato ad utilizzare il dispositivo di protezione, come previsto dalle norme in vigore, ma l’uomo non ne ha voluto sapere. Ne è nato un certo scompiglio che ha creato disturbo all’attività dell’Istituto di credito.
Gli impiegati hanno allora chiamato gli agenti della Polizia locale, che in pochi istanti hanno raggiunto la filiale.

Il 43enne all’inizio non voleva collaborare, e solo dopo molte insistenze ha accettato di indossare una mascherina offerta dal personale della Banca. Questo ovviamente non ha potuto evitargli la dovuta sanzione di 400 euro: l’Osimano era comunque strato nell’area di ingresso della Banca senza protezione e si è rifiutato più volte di adeguarsi alle norme in vigore.

Una volta entrato il 43enne è riuscito a sbrigare la sua commissione: doveva pagare una contravvenzione per divieto di sosta di 29 euro.

 

Fonte: www.cronachemaceratesi.it




Banca Credem apre in Piazza Duomo

Dopo quasi 11 anni dal terremoto del 6 aprile 2009, Credem torna nel centro storico. Oggi riapre la nuova filiale dell’istituto, decimo gruppo bancario italiano, presente su tutto il territorio nazionale con oltre 600 tra filiali, centri imprese, centri small business, negozi finanziari e quasi 1,2 milioni di clienti.

La filiale occupa il piano terra ed una parte del primo piano di Palazzo Betti in piazza Duomo 62, rinnovando una tradizione che ha visto per decenni l’utilizzo dell’edificio come filiale bancaria: è stato infatti per lungo tempo la storica sede della Banca di Roma.

Il palazzo risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando fu costruito in stile neorinascimentale per volontà dell’avvocato toscano Gustavo Betti, operante nel settore del commercio. L’edificio fu oggetto di ammodernamenti negli anni trenta del Novecento, con la creazione degli ingressi sulle vie laterali. A causa dei danni subiti con il terremoto del 2009 l’edificio è stato sottoposta a un lungo intervento di restauro, da poco ultimato.
Sul selciato esterno al palazzo, in corrispondenza dell’entrata, è stata collocata una pietra d’inciampo in ricordo di Giulio Della Pergola, ebreo aquilano arrestato e deportato ad Auschwitz

Fino al terremoto la filiale era ubicata nei pressi della Basilica di San Bernardino. A seguito del sisma era stata trasferita nella periferia ovest della città.. La filiale,  aperta dal 2003, presenta un organico di 11 persone oltre a tre consulenti finanziari.

Per il direttore territoriale Luca Antonio Trotta, tornare in città ha un valore non solo simbolico. Trotta si è detto convinto che il territorio aquilano abbia grandi potenzialità per la vivacità economica e sociale che dimostra.




Nino Baseotto eletto Segretario Generale della Fisac Cgil

 

(Roma, 14 luglio 2020) Si è conclusa oggi, alla presenza del Segretario Generale della CGIL Maurizio Landini, l’Assemblea Generale della Fisac CGIL con l’elezione di Nino Baseotto nel ruolo di nuovo Segretario Generale della Fisac Cgil.

Esito della votazione:  238 aventi diritto, 201 votanti, favorevoli 176, contrari 20, astenuti 5.

Il Segretario Generale FISAC Cgil uscente, Giuliano Calcagni, assumerà altri incarichi in CGIL.

 

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Il 66% dei lavoratori dipendenti è sotto pressione. I più a rischio? I bancari

Due terzi dei dipendenti italiani si dichiara “sotto pressione” al lavoro, con quelli del comparto bancario e finanziario al vertice della classifica.

I numeri emergono dalla survey “The Workforce View 2020 – Volume Uno” realizzata da ADP, multinazionale leader nell’ambito della gestione delle risorse umane, che ha intervistato circa 32500 lavoratori in tutto il mondo, 2000 in Italia.
In particolare è del 23% la percentuale di coloro che in Italia dichiarano di risentire mentalmente e fisicamente di ansia a stress da lavoro ogni giorno, praticamente un italiano su 4. Un altro 43% dice di vivere questa situazione non giornalmente, ma settimanalmente, spesso anche due o tre giorni a settimana. Circa il 18% prova malessere solo poche volte al mese, mentre un fortunato 12% dichiara di non sentirsi mai stressato.

Al primo posto fra i settori più a rischio appunto viene quello delle finanza (bancario, assicurativo, intermediazioni) con una percentuale del 93%, seguono i servizi professionali con il 90% (pubblicità, pubbliche relazioni, consulenza, servizi commerciali, legale, contabilità, architettura, ingegneria, progettazione di sistemi informatici) e chi lavora nel campo media / informazione (editoria, radio, televisione, cinema…) con l’87%.

 

fonte: ANSA




Banca del Fucino: in azienda un clima di “stampo feudale”

3 - Fisac Cgil 6 - Uilca


Spett.le Banca del Fucino S.p.A. C.A. dei Membri del C.d.A.
C.A. del Presidente Dott. Mauro Masi
C.A. del Direttore Generale Dott. Francesco Maiolini

le Organizzazioni Sindacali scriventi rappresentano oltre duecento lavoratori e lavoratrici della Banca del Fucino e sono state le sole che hanno denunciato, a suo tempo, le modalità “allegre” di concessione del credito ed i relativi rischi che l’azienda correva.

A seguito di ciò, hanno intrapreso un proficuo rapporto con l’Organo di Vigilanza ed il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Inoltre hanno chiesto ed ottenuto un incontro con il Direttore Generale del Tesoro, Dott. Rivera, al quale hanno rappresentato la necessità di un intervento del MEF sui crediti deteriorati come unica possibilità di sbocco positivo della crisi aziendale.

Come a Voi noto, ciò ha generato l’intervento della SGA,rendendo così possibile l’interesse di investitori ed aprendo la strada al vostro intervento.

Siamo dunque orgogliosi e soddisfatti del lavoro svolto e sin da subito abbiamo iniziato un proficuo rapporto con la direzione di Igea ed in particolare con il Dr. Maiolini.

Per questa ragione siamo profondamente delusi dalla piega che sta prendendo la trattativa per l’accordo di fusione e per il repentino cambiamento di relazioni industriali messo in atto dal nuovo capo del personale, che rischia di mettere in pericolo il rilancio aziendale.

Il progetto di nuovo gruppo dovrebbe essere orientato al massimo coinvolgimento di tutto il personale e non esclusivamente ad una piccola élite.

I riflettori della pubblica opinione e dei media dovrebbero essere accesi su ciò che di buono può essere realizzato da una banca insediata da anni sul nostro territorio e non da un clima di paura che nulla ha a che fare con un moderno sistema bancario.

Nei giorni scorsi si sono riuniti i Direttivi congiunti di Fisac-Cgil e Uilca e si è svolta una importante Assemblea di tutti i Lavoratori e le Lavoratrici. Oltre alle criticità inerenti le trattative, sono emersi diversi aspetti che non ci si può esimere dal rilevare.

I lavoratori e le lavoratrici ci hanno rappresentato il pesante clima che si sta instaurando in azienda da un punto di vista relazionale, mediante modalità definite di “stampo feudale” con le quali diversi dirigenti o responsabili si relazionano con i dipendenti, persino con segnali intimidatori e forme di pressione non rispettose della dignità dei lavoratori. Questo non è accettabile e tali comportamenti debbono immediatamente cessare.

La vostra decisione di chiedere giornalmente alle Aree professionali l’inserimento della presenza per quattro volte al giorno non è accettabile. Lo abbiamo già chiesto, spiegandone le motivazioni, e lo ribadiamo con forza.

Tornando ai contenuti della trattativa per l’accordo di fusione ed il rinnovo del CIA, le Organizzazioni Sindacali scriventi, valutando le recenti difficoltà aziendali e l’attuale difficile fase economica, hanno mandato evidenti segnali distensivi, mitigando molto notevolmente le richieste contenute nella piattaforma per il rinnovo del CIA.

Purtroppo dobbiamo constatare che, anziché ottenere altrettanta disponibilità dall’altra parte, ci siamo trovati di fronte ad una controparte che manifestava un comportamento sprezzante, finalizzato, come dichiarato esplicitamente nell’ultimo incontro dal neo capo del personale, alla disarticolazione del sistema di calcolo del premio aziendale vigente, mettendo in chiaro che i dipendenti del Fucino potevano anche scordarsi per il futuro di ottenere quanto percepito in passato.

A tutto ciò aggiungasi anche il mancato riconoscimento del premio aziendale relativo all’anno 2019, nonostante l’utile realizzato, benché il Dr. Maiolini, alla presenza di una numerosa delegazione di lavoratori e lavoratrici, avesse dichiarato che, per lanciare un segnale di discontinuità rispetto ad un passato fatto di sacrifici per i dipendenti, quest’anno, grazie all’utile, il premio aziendale sarebbe stato regolarmente erogato.

Dunque l’intenzione manifestata di non corrispondere il premio aziendale 2019 non trova alcun riscontro plausibile nelle norme contrattuali. Vi abbiamo inoltrato una lettera al riguardo.
Inoltre, a tal proposito proprio ieri ci è stata inviata una lettera dal responsabile risorse umane nella quale non si forniva alcuna motivazione circa la volontà aziendale di non erogare il premio. Chiediamo un chiarimento su questa evidente inadempienza contrattuale.

Come si può facilmente evincere da quanto detto sopra, i lavoratori non stanno chiedendo migliorie sul premio aziendale, ma puntano soltanto a mantenere ciò che hanno dopo tante difficoltà attraversate.

Quello che si ritiene oltremodo inaccettabile e che il costo del rinnovo del Cia sia stato utilizzato esclusivamente per favorire poche persone del nuovo gruppo.

Nell’ultimo incontro il capo del personale ha infatti dichiarato che tutte le risorse saranno orientate verso i livelli alti dei dipendenti Igea, i quali, come ha rilevato in altri incontri il Dr. Maiolini, percepiscono stipendi di gran lunga superiori a quelli del Fucino, con il paradosso che l’armonizzazione dei dirigenti di Igea, un numero mai visto in nessuna banca, costerebbe molto di più di un adeguamento per tutti i lavoratori sia della Banca del Fucino che di Igea.

Una redistribuzione del reddito al contrario: dare tanto a chi ha già tanto e togliere a chi ha poco. Un vero capolavoro di iniquità.

L’armonizzazione proposta mette i dipendenti Igea tutti nella stessa posizione, concedendo pari condizioni con i dipendenti Fucino tra un anno.

Noi riteniamo invece che per i dipendenti Igea delle aree professionali ed i quadri direttivi di primo e secondo livello, essa non debba avvenire tra un anno: deve essere immediata, mentre per i quadri di terzo e quarto livello dovrà avvenire a fine contratto. Per i dirigenti se ne parlerà al prossimo contratto.

Vi facciamo presente, inoltre, che non sarà consentito aggirare le norme contrattuali previste per l’apertura della procedura sulle ristrutturazioni e riorganizzazioni, come sancito dall’art. 21 del CCNL, nonostante abbiate già predisposto i nuovi organigrammi. Al riguardo abbiamo già inoltrato diffida a non effettuare alcuna modifica organizzativa o trasferimento di personale e/o uffici senza dare luogo alla suddetta procedura.

Né si può far passare il concetto, come scritto in una lettera aziendale dell 8 luglio, che gli spostamenti di uffici o i nuovi organigrammi siano questioni di routine nell’ambito di una operazione di fusione. Semmai è proprio perché è in corso tale operazione che la riorganizzazione è rilevante e rientra nelle procedure del Ccnl.

Per quanto riguarda le promozioni di personale che ci risultano essere state da voi effettuate, non ci è pervenuta alcuna comunicazione, benché sia contrattualmente previsto.

Inoltre siamo a conoscenza che siano stati posti in essere dei nuovi patti di non concorrenza di importo rilevante.
Comprendiamo, da un lato, l’esigenza di salvaguardare i clienti ed il risparmio acquisiti dal nostro Istituto, ma ciò, se in questi termini, mal si coniuga con l’ indisponbilità nella ricerca di un accordo.

Ribadiamo che non è consentito continuare a far utilizzare ai dipendenti i propri strumenti informatici (tablet, telefoni), così come non è lecito chiedere loro di fornire dati sensibili per svolgere mansioni di vendita di prodotti e servizi. Al riguardo abbiamo investito sulla questione il Garante della privacy.

Evidenziamo dunque i punti salienti che potrebbero consentire un accordo soddisfacente per entrambe le parti:

  • estensione in modo strutturale dello smartworking a tutti i dipendenti e non solo a quelli che si trovano in regime di part time.
  • rinnovo del CIA al 30 giugno 2024 con immediata armonizzazione estesa a tutti i gli ex dipendenti Igea, fatto salvo i QD3 e QD4, per i quali si arriverà ad una completa armonizzazione in scadenza di contratto. Per i dirigenti non dovrà essere prevista alcuna armonizzazione, alla luce dei cospicui emolumenti già da essi percepiti, ma se ne parlerà al prossimo rinnovo.
  • incremento di euro 100 sulla polizza sanitaria, dello 0,50% sulla previdenza integrativa e di 1 euro sul ticket.
  • per quanto concerne il premio aziendale, rinunciando alle richieste di miglioramento, esso dovrà essere semplicemente confermato così come è attualmente.

Riteniamo che il difficile momento che stanno attraversando le relazioni industriali non possa arrecare alcun beneficio nel prossimo futuro, stante l’indisponibilità da parte aziendale a trovare eque soluzioni. Abbiamo detto e ripetiamo che i Lavoratori sono disponibili ad accordi che tengano conto delle esigenze di tutti.

Fiduciosi nel fatto che le nostre proposte, improntate a principi di equità e sostenibilità possano essere accolte, Vi ringraziamo per l’attenzione rivolta a questa nostra missiva e chiediamo lo svolgimento di un incontro in tempi brevi.

Con l’occasione alleghiamo anche la precedente nostra rivolta al C.d.A. e le ultime lettere alla Dirigenza, nonché il nostro comunicato stampa pubblicato dal quotidiano “Il Messaggero”.

 

Distinti saluti

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