Sedici morti e almeno mille contagiati: il tributo pagato dai bancari al coronavirus

Riportiamo l’articolo pubblicato da AGI – Agenzia Giornalistica Italia lo scorso 4 maggio. Possiamo lecitamente supporre che i numeri riportati siano sottodimensionati rispetto alla realtà.
In questi giorni abbiamo ricevuto notevoli apprezzamenti per i protocolli firmati con le banche, che hanno consentito di ridurre la presenza in filiale di addetti e clienti in modo da contenere il rischio. Tuttavia, da qualche parte si sono levate anche voci contrarie da parte di chi ha maledetto i sindacati, colpevoli del mancato raggiungimento degli obiettivi di budget.
Pur nel rispetto di tutte le opinioni, possiamo tranquillamente affermare che il bilancio sarebbe stato ben più pesante senza misure di prevenzione, e quindi il contenimento degli accessi ha sicuramente salvato delle vite. Magari, chissà, anche quella di qualcuno che adesso si lamenta perché rischia di perdere il suo bonus.
Per quanto ci riguarda, se gli accordi sono serviti a salvare delle vite siamo orgogliosi del lavoro svolto. Non esiste nulla di più prezioso di una vita umana; anche quella di chi forse tutto questo non sembra averlo capito.

 

Anche i bancari hanno affrontato lavorando il coronavirus. Come gli operatori sanitari, gli addetti alla grande distribuzione e le altre categorie che forniscono servizi pubblici essenziali non hanno mai smesso di accogliere i clienti anche nei giorni più cruenti quando scarseggiavano i dispositivi di protezione e le modalità di trasmissione dell’infezione non erano chiare. Stando a quanto ricostruito dall’AGI, interpellando più fonti, le persone decedute sono 16 e i contagiati, parte dei quali finiti in ospedale, ammontano ad almeno un migliaio. 

I dati si riferiscono ai principali quindici gruppi italiani e, come per il triste conteggio generale, vanno considerati ‘al ribasso’ per la mancanza di tamponi che ha segnato la prima fase della pandemia.  “Grazie al protocollo siglato il 16 marzo – dice  Massimo Masi, segretario di Uilca – siamo riusciti a evitare centinaia di contagi tra lavoratori e clienti, riuscendo a tenere le filiali aperte e assicurando i servizi nella zona rossa, con l’aiuto della tecnologia”. Tra le misure prese, gli appuntamenti coi clienti “che hanno consentito di instaurare dei turni del personale “ e “percentuali di telelavoro di circa il 60%”.

I problemi maggiori si sono verificati nelle province lombarde più colpite. Luca Ravaglia responsabile per sigla Unisin/Falcri di Intesa Sanpaolo, racconta la sua prospettiva dalle province di Bergamo e Brescia. “In questi territori la mia banca non ha avuto la forza e la capacità di adottare strumenti specifici per zone così peculiari dove era evidente che ci volesse un intervento diverso rispetto al resto del Paese. Almeno il 10-15% dei miei colleghi che, dopo i turni, tornava tra i propri affetti, ha perso un genitore nelle due province. A livello nazionale, i presidi medici – aggiunge – sono stati annunciati ai primi marzo, ma sono arrivati a metà aprile. Comprensibile che mancassero nelle prime fasi, ma è passato molto tempo e  per  giorni siamo stati esposti senza avere nulla con tutto il peso psicologico anche nel rapporto coi clienti. Sarebbe stato utile che almeno nelle province più colpite arrivassero prima, invece i primi presidi sono arrivati a Napoli”.

Il dato nazionale, riferisce il sindacalista, è di 5 deceduti e 160 infettati su un totale di 95mila dipendenti, “tenendo presente che la maggior parte dei contagiati lavora allo sportello, a stretto contatto col pubblico”. “Ho perso un carissimo amico e collega, dializzato per tanti anni, e da poco trapiantato – testimonia Danilo Piccioni, responsabile Fabi di Cremona – Nella mia provincia, la forza lavoro si è dimezzata. I dispositivi sono arrivati ma non dall’oggi al domani, e in quella settimana che passava ovviamente il contagio andava avanti. Le mascherine sono arrivate col contagocce e in alcuni casi abbiamo dovuto minacciare lo sciopero per avere delle protezioni. I momenti di tensione ci sono stati”. A Crèdite Agricole, riferisce Piccioni, sono stati due i decessi, uno in una filiale di Crema, l’altro a Milano.  Sempre restando in una delle zone dove il virus ha imperversato,   a Banco Bpm sono due i dipendenti mancati.

Per Guido Diecidue, rappresentante della sigla Uilca di Unicredit, il comportamento della sua banca “è stampo tempestivo ed efficace”. Tra i lavoratori c’è stata una vittima, i contagiati sono 86 di cui 23 ricoverati in Italia, 50 in Germania con 35 ricoverati, 19 in Austria e nei Paesi dell’Est Europa, 7 in Russia. “La nostra priorità – spiegano all’AGI dal quartier generale della banca – è prima di tutto garantire la salute e la sicurezza delle nostre persone e dei nostri clienti. Abbiamo rafforzato la consulenza a distanza, sia in termini di persone abilitate alla consulenza sia in termini di prodotti e servizi attivabili a distanza – anche per i clienti meno digitalizzati. Adesso che le misure di lockdown stanno gradualmente cominciando ad allentarsi nei nostri diversi Paesi, stiamo facendo leva su quanto fatto e imparato finora per essere sicuri di fare i giusti passi in avanti. Le nostre decisioni saranno basate su dati, non su date”.

Claudia Dabbene (Uilca) di Ubi comunica che nel suo istituto di credito si conta un decesso in una filiale di Sondrio e si concentra su un’altra angolatura, all’alba della Fase 2: “Da noi i presidi sono arrivati in fretta. A uccidere più del Covid è la disperazione dei clienti che confonde i bancari coi banchieri. I decreti del governo partono con le migliori intenzioni ma poi noi ci confrontiamo ogni giorno con questa sofferenza. Siamo meglio di quello che pensano le persone. In questo periodo, alcuni di noi hanno fatto delle collette per i clienti indigenti”.  Secondo Luigi Pizzuto, rappresentante della sicurezza della Fisac in Mps, i danni sono stati ‘limitati’ nel contesto bancario anche “grazie all’elevatissimo livello di sindacalizzazione che porta con sé la capacità di incidere in maniera forte sulle decisioni dell’azienda”. Nell’istituto senese, dove una donna è rimasta vittima del virus in Brianza, “è da subito ha prevalso il ‘modello’ smart workig, anche nella rete delle filiali”.

 

Fonte: AGI

 

 

 




Esposto dei sindacati contro inaccettabile clima d’odio verso i bancari

2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

Denuncia a tutte le Procure della Repubblica in Italia da parte dei segretari generali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin che criticano duramente gli attacchi alla categoria: «Se ci scappa il morto, la responsabilità è della cattiva informazione». Allertato il ministro dell’Interno Lamorgese


Roma, 6 maggio 2020. I segretari generali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin – Lando Maria Sileoni, Riccardo Colombani, Giuliano Calcagni, Massimo Masi ed Emilio Contrasto – presentano un esposto a tutte le Procure della Repubblica in Italia, informando contestualmente il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per denunciare il crescente e inaccettabile clima di odio contro il settore bancario e, in particolare, verso la categoria delle lavoratrici e dei lavoratori delle banche. «Si tratta di un clima di odio pericoloso che trae origine dalla necessità di individuare a tutti i costi un colpevole per i ritardi che si stanno verificando in relazione al decreto liquidità del governo e ai prestiti garantiti dallo Stato, che vengono erogati con alcune difficoltà mai imputabili alle lavoratrici e ai lavoratori bancari. Negli ultimi giorni, l’attenzione di tutti i media su questo argomento è cresciuta sensibilmente e, peggio ancora, vengono diffuse e mandate in onda telefonate registrate con gli operatori bancari, con il solo becero obiettivo di dare la colpa a qualcuno. Se si verificheranno violenze fisiche gravi o, peggio, se ci “scapperà” il morto, la colpa sarà sia di chi ha contribuito a scatenare questo clima d’odio sia di chi fa cattiva informazione» commentano Sileoni, Colombani, Calcagni, Masi e Contrasto. Nelle ultime settimane, la tensione nella rete delle filiali è cresciuta costantemente, con casi di violenze e aggressioni verbali, minacce, offese, insulti, soprusi, sputi. E poi vetrine prese a sassate, ruote delle autovetture bucate e perfino finti pacchi bomba. Da Bari a Torino, passando per le isole, nelle ultime settimane, assieme all’esasperazione collettiva per l’emergenza legata al Coronavirus, le lavoratrici e i lavoratori delle banche soni finiti letteralmente “sotto attacco” da parte della clientela.

Ecco, qui di seguito, una rassegna di casi di insulti e attacchi ai dipendenti degli istituti, in parte raccontati dalle cronache locali e in parte raccolti dalle strutture territoriali e dai rappresentanti aziendali e di gruppo delle organizzazioni sindacali.

Salerno, cliente senza mascherina minaccia il personale. Martedì scorso, un correntista di una banca di Salerno entra in filiale senza alcuna protezione personale: non indossava né mascherina né guanti. La ragione della visita era ottenere una attestazione Isee (indicatore sintetico equivalente della situazione economica) che era stata chiesta per e-mail, nonostante le regole interne alla banca non lo prevedano. Il cliente non aveva concordato l’appuntamento, come stabilito da un accordo tra Abi e sindacati del settore del 24 marzo scorso per far fronte all’emergenza Covid-19, e pretendeva di ottenere subito il documento richiesto. Ma il documento non era stato stampato e il cliente, con uno scatto d’ira, ha cominciato a minacciare e a offendere pesantemente il personale dell’agenzia bancaria. La situazione è tornata sotto controllo solo quando l’Isee è stato consegnato dal vicedirettore, intervenuto per calmare la situazione.

Cassiere pesantemente aggredito (verbalmente) a Bari. Filiale bancaria a Bari. All’inizio della scorsa settimana, di prima mattina, entra in banca un uomo per chiedere di cambiare un assegno emesso da un cliente dell’agenzia. Saldo non sufficiente e richiesta respinta dal cassiere che prova, comunque, a chiedere l’autorizzazione al superiore. Niente da fare: l’incapienza del conto corrente non è derogabile. Appresa la notizia, il beneficiario dell’assegno ha subito aggredito verbalmente il dipendente della banca, con toni sopra le righe e minacce esplicite finalizzate a ottenere il denaro richiesto. Segue telefonata tra l’uomo entrato in banca e il titolare del conto, che immediatamente chiama telefonicamente il cassiere e giù pure lui con una raffica di insulti e parolacce. Al termine di un doppio diverbio, salta fuori il disguido: il correntista aveva versato la stessa mattina 7.500 euro in contanti in uno sportello Bancomat, ma l’operazione, per ragioni e ritardi tecnici e non addebitabili al bancario, scoperti solo successivamente, non era stata contabilizzata. Fatto sta che l’aggressione verbale è proseguita anche quando è stato comunicato il rinvio dell’incasso di 24 ore.

Code al Monte pegni di Torino: sotto assedio l’ingresso dei lavoratori. Al Monte Pegni di Torino, i clienti sono arrivati letteralmente ad assediare l’ingresso riservato ai lavoratori. La corsa allo sportello di queste ultime settimane trae fondamento da una serie di problemi che stanno esasperando la situazione. Le scadenze sui pegni possono essere rinnovate solo di persona in filiale; con le aste bloccate dall’inizio del lockdown. Buona parte della clientela teme che alla riapertura i beni siano venduti immediatamente e non ci sia il tempo né di riappropriarsene né di rinnovare il contratto di pegno. Peraltro, non sono stati sospesi immediatamente gli interessi e alla base del mancato congelamento ci sarebbero questioni contrattuali. Fatto sta che ogni mattina si formano file anche di 1.000 persone e assembramenti piuttosto nutriti. Si lavora, da sempre, senza appuntamento. Le code di queste ultime settimane sono legate anche dall’apertura a giorni alterni della filiale (meno personale a disposizione per ragioni di salute ed era stato segnalato un caso di Covid-19). Non a caso, è ormai presente una copertura fissa delle Forze dell’ordine (15 agenti), spesso in borghese, anche a motivo della presenza di usurai in strada a caccia di affari con cittadini disperati e senza soldi. Una disperazione che, pochi giorni fa, ha spinto un gruppo di clienti ad assediare l’ingresso secondario del Monte pegni all’orario di uscita, nel tentativo di bloccare il personale all’interno e costringerlo a eseguire le operazioni allo sportello. Non si sono registrati episodi di violenza, tuttavia, per gestire al meglio l’afflusso interno e la presenza all’esterno del Monte, il direttore quotidianamente distribuisce numeri “elimina-code”.

Tanica di benzina e cartuccia in un pacco sospetto ad Alghero. Una scatola di cartone all’interno della quale erano state nascoste una tanica di benzina da 5 litri e una cartuccia calibro 12. È quanto hanno trovato gli artificieri dei carabinieri dentro il pacco sospetto rinvenuto nei locali della filiale di una banca ad Alghero, che lunedì 20 aprile ha riaperto dopo il weekend e che, come per tutti gli istituti di credito in Italia, sarebbe stata pronta a ricevere le prime richieste per i prestiti da 25.000 euro per le imprese introdotti con il decreto “liquidità”. I militari hanno parlato di «un evidente atto intimidatorio nei confronti dell’istituto di credito, compiuto da ignoti nella notte». Secondo le verifiche degli artificieri, il plico non conteneva alcun congegno funzionale all’innesco.

Falso allarme a Catania per una busta sospetta. Lunedì 20 aprile, una borsa contenente saponi e detersivi è stata dimenticata per strada dal suo acquirente, andato via in autobus: una situazione che ha fatto scattare l’allarme bomba nel centro di Catania. Sono stati immediatamente attivati i protocolli di sicurezza, con la messa al sicuro della zona e l’intervento degli artificieri della Polizia supportati dai Vigili del fuoco. L’area, finito l’allarme, è stata liberata. La borsa era stata abbandonata davanti a una filiale bancaria; in una prima fase, l’episodio era stato collegato alle tensioni delle ultime settimane in varie agenzie bancarie in Italia e, in particolare, all’avvio delle richieste dei prestiti garantiti dallo Stato.

No allo “scoperto” di conto, a Varese ruote bucate al direttore. Uno degli ultimi casi si è registrato vicino a Varese. Erano in due, marito e moglie, commercianti. Chiedevano uno “scoperto” di 5.000 euro sul conto. «Ma purtroppo non potevamo concedergli quel prestito, non c’erano le condizioni. Ho provato a spiegarglielo, capisco la preoccupazione di questo periodo, però il tono è diventato subito insostenibile» hanno detto i dipendenti della filiale. E giù insulti, pugni allo sportello, minacce, calci alla porta e poi, ancora, grida fuori della banca. Sembrava finita lì, se non fosse che il direttore della filiale, intervenuto per dare man forte al collega, alla fine della giornata di lavoro ha fatto una scoperta: squarciate le quattro ruote della sua auto.

Sassate contro la filiale, vetrina in frantumi a Collecchio. In una banca di Collecchio un artigiano, un paio di settimane fa, è entrato chiedendo di prelevare 1.200 euro, ma non aveva quei soldi sul conto. Quando la cassiera gli ha fatto notare che non era possibile, ha perso il controllo. Dopo gli insulti, accompagnato alla porta, ha iniziato a prendere a sassate la filiale. «Con grosse pietre» ha detto chi è intervenuto. Fino a quando, l’uomo ha mandato la vetrata in frantumi.

Prestiti a rilento, insulti a Verona. Insulti ai bancari in una filiale di Verona, martedì scorso, da parte di clientela in coda per chiedere i prestiti garantiti dallo Stato col decreto liquidità. «Le frustrazioni dell’utenza si stanno scaricando sugli impiegati, che in alcune filiali sono stati oggetto di pesanti offese» hanno denunciato i sindacati veronesi Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin.

Ad Aversa e Gallarate sputi in faccia ai bancari. A Gallarate, a fine marzo, un correntista insofferente alle code causate dalle norme del «distanziamento sociale» ha iniziato a sputare in faccia a tutti, compreso lo sportellista accorso per tentare di riportare la calma. «Ho il virus!» urlava e sputava. Stessa scena, quasi identica, ad Aversa, dove un correntista esasperato ha iniziato spintonando e ha finito col prendere a botte il sindaco che, casualmente, passava di lì e chiedeva il rispetto delle distanze di sicurezza.

Banca chiusa, tensione in strada a Bari: «Fate schifo». Il caso più noto, siamo ai primi giorni di aprile, è quello di Bari. Perché è stato ripreso in diretta da un balcone e rilanciato su Facebook. Marito e moglie, entrambi al lavoro in un piccolo negozio di bomboniere chiuso dall’11 marzo, si sono presentati in banca per chiedere un prestito, anche soltanto 50 euro. Ma la banca era chiusa. Lui ha iniziato a prendere a calci la saracinesca, lei urlava disperata: «Siamo senza soldi! Fate schifo! Lo Stato fa schifo. Come dobbiamo fare? Come facciamo a vivere? Non abbiamo più niente in casa, vi prego venite a vedere nella mia cucina, non abbiamo più neanche la farina. Mia madre è un mese che non prende le medicine, vogliamo solo mangiare». Due guardie hanno cercato di calmarli, un passante ha regalato 50 euro a testa. I due se ne sono andati via furibondi, urlando ancora contro quella filiale chiusa: ” fate schifo! Vi nascondete lì dentro. Voi avete lo stipendio, ma noi non sappiamo neanche quando potremo riaprire”.

 

I Segretari Generali
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin
Lando Maria Sileoni – Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni – Massimo Masi – Emilio Contrasto




Lettera di una bancaria al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

“Signor Presidente Conte

Siamo “quelli della banca”, persone alle quali altre persone, ora più che mai nel momento del bisogno, si rivolgono: chi vorrebbe al più presto i 1400 euro della Cassa Integrazione, chi vorrebbe limitare le perdite sui risparmi di una vita, il piccolo imprenditore che senza una iniezione di liquidità chiuderà per sempre la propria attività e lascerà a casa i dipendenti.

Malgrado queste richieste siano quanto di più umano ci possa essere, noi “quelli della banca” non siamo visti, non siamo mai stati considerati come persone che aiutano altre persone.

Neppure ora, ora che Lei, Signor Presidente, ci ha messo sulle spalle il macigno di “salvare l’Italia”: pensa che noi, 280mila persone, possiamo essere in grado di assumerci questa responsabilità?

E “dare il massimo”? noi l’abbiamo dato sin dal 24 febbraio, anche quando lavoravamo senza nessun presidio anti contagio, sempre al lavoro; il massimo lo diamo ogni giorno contro le procedure zoppicanti, la burocrazia che non è solo quella bancari ma anche di enti esterni (INPS, SACE, Fondo di Garanzia), diamo il massimo anche quando i clienti si spazientiscono (ed è un eufemismo).

Abbiamo a che fare anche con la malavita, signor Presidente, lo sa questo? Eppure dove ci sono soldi c’è la mafia e i Direttori delle Filiale, Gestori, non sa quante volte sono stati minacciati anche fisicamente.

Facciamo il nostro dovere anche quando lavoriamo in lavoro forzato da casa, con i bimbi che ci richiamano a doveri importanti.

Facciamo il nostro dovere, giovani ragazze e ragazzi fuori sede, con fardelli di affitto da pagare che sgretolano le nostre retribuzioni.

E facciamo il nostro dovere anche se le Banche, comunque, ci chiedono di produrre redditività e ce lo chiedono anche al tempo del Covid 19, perché anche su quello si basa la certezza del nostro posto di lavoro.

E facciamo il nostro dovere sapendo che un giorno un giudice fallimentare, esaminando una bancarotta, vedrà che ai tempi del Covid 19 (il vile CAROGNA) abbiamo erogato dei soldi, sulla base del decreto firmato dal Lei, e ce ne chiederà conto: la responsabilità penale è personale e arriverà a qualcuno di noi un bell’avviso di garanzia. CI ha pensato a questo Signor Presidente, lei che è un Professore universitario e avvocato? Ha pensato che da sempre “quelli della banca” sono sottoposti anche a questo rischio?

Ora Lei ci chiede di fare il nostro dovere, ma è una richiesta pleonastica.

Lei chiede alle Banche un “atto d’amore “verso il nostro paese e questo è davvero irrituale.

Signor Presidente, le Banche sono come un frigorifero, non si fa l’amore con un frigorifero, non si chiede amore a un frigorifero.

Ma noi, “quelli della banca”, non ci tiriamo indietro. Solo, per favore, non ci chieda quello che non possiamo fare, vorremmo ma non potremo fare: perché siamo pochi, poche, pochissimi per lo sforzo titanico che Lei ci chiede. Pochissimi grazie alle politiche di riduzione del personale: e ora le braccia, i cervelli mancano.

Con Stima

P.S. e qualche volta citi anche noi nelle sue conferenze stampa. I Lavoratori le Lavoratrici del settore bancario. Questo siamo. Con la L maiuscola”

 

Dal sito Fisac Cgil Unicredit Group




BCC-COVID19: 3° incontro Commissione nazionale – Avvio “fase2”

Si è svolto in data 28 aprile 2020, l’ultimo incontro della Commissione nazionale che, lo rammentiamo, ha il compito di monitorare costantemente l’effettiva applicazione di tutte le misure per la sicurezza nei luoghi di lavoro definite nel Protocollo del Credito Cooperativo sottoscritto  da Federcasse e le Organizzazioni Sindacali in data 24 marzo u.s.
Tale monitoraggio avviene, periodicamente, oltre che sulla base dei dati forniti dalle Capogruppo (vedi allegato), anche per tramite delle informazioni che vengono raccolte, ove possibile congiuntamente, tra parte datoriale ed RSA/RLS in sede di Comitati aziendali, nelle c.d. “check-list”.
Ma, dalla mera lettura dei soli dati pervenuti (peraltro parziali), si potrebbe complessivamente dedurre che nei luoghi di lavoro delle aziende del Credito Cooperativo non si evidenzino particolari criticità per la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori. Effettivamente molto è stato fatto nelle nostre aziende per fronteggiare questa emergenza, ma sicuramente c’è molto ancora da fare, anche e soprattutto alla luce dell’avvio della “fase 2”, nell’ottica di prevenzione del rischio di contagio e per scongiurare l’insorgenza di nuovi focolai epidemici.
Per questo motivo durante l’incontro, come Fisac-CGIL, oltre che rappresentare le maggiori criticità tutt’ora presenti e a cui porre rimedio urgente nelle diverse realtà (dotazione costante e ricambi idonei di tutti i Dispositivi di Protezione Individuale, pulizie e sanificazioni, impianti di aereazione, lavoratori fragili, ruolo del medico competente, Smart Working, Ferie, ecc…), abbiamo sottolineato la necessità di rafforzare una modalità di relazione realmente, e non solo formalmente, “partecipata” tra parti datoriali e rappresentanze dei lavoratori (RSA ed RLS) poiché soltanto così si potranno ottenere risultati efficaci sulla messa in sicurezza dei luoghi di lavoro in cui ci sarà un sempre maggiore afflusso.
Nel merito, abbiamo evidenziato che in questa fase la sorveglianza sanitaria è, e deve restare, ECCEZIONALE!
E siccome la sorveglianza sanitaria della nostra categoria passa attraverso l’applicazione delle misure previste nel Protocollo del Credito Cooperativo, questo deve essere prioritariamente adeguato nell’ottica del recepimento immediato delle previsioni dettate dalle ultime disposizioni legislative (DPCM 26 aprile 2020 e Protocollo 24 aprile 2020), e tra queste:
  • I DVR (Documento di Valutazione del Rischio) devono essere integrati in tutte le aziende con l’implementazione di tutti i dati riconducibili al rischio COVID19
  • La Check list predisposta dalla Commissione nazionale per il monitoraggio sulle misure di sicurezza adottate nelle singole aziende, va anch’essa adeguata e possibilmente semplificata al fine di poter meglio intercettare eventuali situazioni di criticità
  • La costituzione dei Comitati aziendali, come organismi paritetici, è di fondamentale rilevanza ai fini della sicurezza dei luoghi di lavoro, nell’ottica del coinvolgimento imprescindibile tra parti datoriali e sindacali; e poiché la sicurezza passa anche attraverso l’organizzazione del lavoro (rimodulazione spazi, orario di lavoro e turnazioni, processi produttivi, lavoro agile, gestione delle assenze), i due temi possono essere affrontati congiuntamente
  • La funzione del medico competente, anche con riferimento a particolari situazioni di fragilità e ad eventuali rientri di casi positivi al covid19, è strategica ai fini del contenimento della diffusione del virus
Da ultimo, pur comprendendo la necessità, del Paese e del nostro settore, di uscire dal lock down al più presto seppure ancora in emergenza sanitaria, riteniamo che questo ritorno ad una pseudo-normalità debba avvenire gradualmente assicurando sempre e comunque la sicurezza piena nei luoghi di lavoro. Dunque anche alcuni degli strumenti sin qui attuati (Smart working, formazione a distanza, accesso solo su appuntamenti, ecc.) non devono essere incautamente abbandonati in modo repentino, ma al contrario possono servire ad attuare una più che opportuna programmazione ragionata per il ritorno alla normalità in sicurezza.
Guai ad abbassare la guardia proprio nella fase che richiede ancor più cautela di prima!
Se ancora oggi, in cui l’afflusso in banca è cmq inferiore rispetto alla normalità, la sicurezza dei luoghi di lavoro (vedi gestione accessi, pulizie specifiche e sanificazioni, idonea manutenzione degli impianti di aereazione ecc.) non si può definire ineccepibile, come si può pensare di affrontare la “fase 2”?
La risposta è solo una: INSIEME,
con grande impegno e senso di responsabilità, individuale e collettiva!
Per quanto attiene alla responsabilità individuale, ognuno deve infatti fare la sua parte, dentro e fuori dalle aziende, utilizzando in modo regolare e perentorio tutti i dispositivi di protezione individuale a disposizione. Segnalare puntualmente eventuali criticità che compromettano la piena sicurezza nei luoghi di lavoro, è da intendersi come un dovere preciso di ciascuno a salvaguardia propria, di tutti i colleghi e delle rispettive famiglie.
Relativamente alla sopra citata responsabilità collettiva, riteniamo sia un preciso compito del Sindacato e noi come Fisac CGIL, a maggior ragione in una fase così drammatica, ce lo assumiamo appieno con l’impegno e la serietà di sempre.
Il monitoraggio attento e costante, per tutta la durata dell’emergenza, delle misure di sicurezza che le aziende DEVONO adottare in tutti i luoghi di lavoro, avrà per noi la massima priorità. Come pure intervenire tempestivamente laddove si riscontrino criticità ed inadempienze.
_______
All.to
Gruppi
dipendenti
smart working
Assenze retrib. (ferie/permessi)
Malattie
Quarantene
Covid-19
nr. fil. chiuse
ICCREA perim. industr.
3130
2890
182
58
1
2
ICCREA Banche (136)
9481
3058
2956
898
120
48
92
totali
12611
5948
3138
956
121
50
CCB Solo azienda
520
474
nd
nd
2
0
CCB Banche (79)
9366
1775
107
29
20
totali
9886
2249
0
0
109
29
RAIFFEISEN
1739
186
28
6
NESSUNO DEVE RESTARE DA SOLO
La Fisac-CGIL c’è! Non esitare a contattarci anche per l’assistenza del Patronato (congedi COVID19)

I Componenti Fisac-CGIL della Commissione nazionale sicurezza BCC

Scarica l’allegato: FisacBCCInforma – COVID-19 3°incontro Commissione nazionale



Pop. Bari: al via la procedura di riorganizzazione

In data odierna si è dato l’avvio alla procedura relativa al piano di efficientamento e riorganizzazione della Banca Popolare di Bari.  Come Fisac Cgil riteniamo assolutamente insoddisfacente la presentazione che ci è stata fatta di un piano che, tra l’altro, non può da nessun punto di vista essere considerato un piano industriale stante  l’assenza del modello di Banca che si vuole disegnare.

Tutta l’informativa, sia quella fornitaci per iscritto che quella consegnata nel corso dell’incontro, verte solo sull’efficientamento e quindi sulla riduzione dei costi del personale nella misura del 40 per cento. Abbiamo con forza ribadito che:

  • salvaguarderemo con ogni strumento i livelli occupazionali e salariali
  • i numeri degli esuberi dichiarati e delle filiali da chiudere sono inaccettabili
  • vogliamo chiarezza e trasparenza sul futuro della Banca.

È intollerabile cercare di far ricadere la responsabilità dell’attuale situazione della Banca sui lavoratori e lavoratrici che fin troppi sacrifici hanno affrontato negli ultimi anni e sono le vittime incolpevoli della dissennata passata governance.

In più di un’occasione l’azienda ha dichiarato che il personale rappresenta una risorsa e una ricchezza per la Banca.

Proprio per questo principio condiviso affermiamo con forza che la ricchezza va tutelata e, soprattutto, valorizzata e che i dipendenti non possono essere trattati solo come dei numeri che si possono sottrarre senza problemi.

Bari, 30 aprile 2020

Lia Lopez – Delegata nazionale Fisac Cgil per le trattative in Banca Popolare di Bari