Congedo di maternità dopo il parto: le istruzioni dell’INPS

Ecco le indicazioni operative fornite dall’Inps nella circolare 148/2019, dedicata alla nuova modalità di fruizione del congedo obbligatorio esclusivamente nei cinque mesi successivi al parto, quale disciplinata da quest’anno dall’articolo 16, comma 1.1, del Dlgs 151/2001, introdotto dall’ultima legge di bilancio.

L’istituto di previdenza così chiarisce alcuni aspetti funzionali a consentire una maggiore operatività della nuova misura.

 

Congedo Maternità dopo il parto

Come illustrato nella circolare INPS 12 dicembre 2019, n. 148, la legge di bilancio 2019 ha riconosciuto alle lavoratrici, in alternativa alle modalità tradizionali, la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, entro i cinque mesi successivi allo stesso.

La gestante può esercitare la facoltà di fruire di tutto il congedo di maternità dopo il parto. Questo qualora un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato e il medico competente attestino che tale opzione non arrechi danno al nascituro. La procedura si espleta ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.

La documentazione sanitaria deve essere acquisita dalla lavoratrice nel corso del settimo mese di gravidanza. E deve attestare l’assenza di pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Ovviamente fino alla data presunta del parto ovvero fino all’evento del parto, qualora dovesse avvenire in data successiva a quella presunta.

La circolare contiene, inoltre, esempi esplicativi circa i riferimenti temporali da rispettare e la durata del congedo di maternità.

Nella stessa circolare vengono forniti anche chiarimenti in merito alle attestazioni che dovranno essere prodotte dal datore di lavoro entro la fine del settimo mese di gravidanza. E le istruzioni in caso di parto anticipato rispetto alla data presunta.

Il testo completo della Circolare dell’INPS.

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Ma alla fine, che cos’è questo MES?

In questi giorni è sicuramente l’argomento più caldo sulla scena politica. Lo scorso 7 dicembre c’è stata l’iniziativa della Lega che ha raccolto le firme contro il MES: un mostro di cui tutti parlano, ma del quale nessuno sa dire davvero cosa sia.

Secondo Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) è un meccanismo che serve a salvare le banche tedesche a spese dei cittadini italiani.
Matteo Salvini lo definisce un fondo privato che mette nelle mani di sette burocrati europei, due tedeschi, due francesi, un olandese, un belga e un irlandese il destino dei paesi dell’Eurozona.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista lo definiscono un pericolo per i risparmi dei nostri connazionali.

In tanti cavalcano la paura, presentando il MES come un meccanismo da burocrati che peggiorerà le nostre vite e limiterà la nostra libertà.
Ma cosa c’è di vero in tutto questo?

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM se riferito al nome in inglese) è un’organizzazione intergovernativa dei paesi dell’Area Euro, nata per aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica.
E’ un’istituzione basata sulla solidarietà: tutti si tassano in proporzione alle loro possibilità per evitare che gli stati più deboli diventino insolventi. Ma è anche un sistema indispensabile per difendere l’euro, visto che il fallimento di un Paese può avere ripercussioni da tutti gli altri.

Il MES, nella sua formulazione attuale, esiste dal 2012. Cioè da sette anni.
E questa forse è una notizia che risulterà sorprendente per molti. E tanto per rinfrescare la memoria, la sua istituzione fu negoziata durante il governo Berlusconi-Lega ed entrò in vigore durante il Governo Monti sostenuto, tra gli altri, dalla Meloni.

L’attuale dotazione del MES è di circa 80 miliardi. A costituirla sono stati tutti i Paesi dell’Eurozona in proporzione al loro peso economico. Questo fa sì che la Germania sia il primo contributore, sfiorando il 27% del capitale, oltre ad essere lo Stato che ha le minori probabilità di usufruire degli aiuti.
Il MES può emettere titoli garantiti dagli Stati dell’Eurozona, arrivando a raccogliere liquidità fino a 700 miliardi di euro, da utilizzare per effettuare prestiti alle nazioni che ne facciano richiesta.

Per le regole attuali, cioè quelle in vigore dal 2012 delle quali finora nessuno sembrava essersi accorto, gli Stati che chiedono l’aiuto del MES devono sottostare ai controlli di un comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale (la cosidetta Troika) e mettere in campo una serie di riforme imposte dal comitato.
Il piano di riforme prevede di solito misure molto impopolari come tagli alla spesa pubblica, – in particolare alle pensioni – privatizzazioni, liberalizzazioni e maggiore flessibilità delle leggi sul lavoro, puntando al risanamento dei conti.
La logica è: “Se mi chiedo dei soldi io te li presto, ma siccome voglio essere sicuro di riaverli indietro devi fare tutto quello che dico io”.
Può essere un criterio più o meno discutibile, ma sono regole che esistono da 7 anni e sono state già applicate in occasione degli aiuti a Cipro, Portogallo, Irlanda e Grecia (la nazione che ne è uscita più pesantemente segnata).

Dalla sua creazione il MES ha ricevuto grossi apprezzamenti, essendosi rivelato uno strumento adatto ad affrontare le crisi, vista la sua capacità di prestare denaro a Stati che altrimenti non avrebbero potuto ottenere prestiti.
Ma le critiche non sono mancate.
C’è chi accusa il fondo di pretendere sacrifici troppi pesanti in cambio degli aiuti, deprimendo così le economie degli Stati che dovrebbe sostenere. Ma c’è anche l’accusa opposta, cioè di sostenere chi non lo merita, concedendo denaro con troppa facilità ed incoraggiando così Stati meno seri a spendere oltre i propri mezzi. Come si può facilmente intuire, la prima critica arriva dalle Nazioni più a rischio, la seconda arriva da quelle più solide, che sono anche quelle che contribuiscono in modo più consistente.

 

Cosa prevede la riforma

A questo punto dovrebbe essere chiara l’esistenza di due diverse correnti che chiedono riforme del MES: da una parte quella dei Paesi più indebitati che vogliono alleggerire il peso degli adempimenti richiesti a chi si avvale degli aiuti, dall’altra quella dei Paesi ricchi del Nord Europa, che chiedono un inasprimento.
La riforma, discussa a partire dal 2018, cerca di conciliare entrambe le richieste.

La richiesta dei Paesi meno solidi, finalizzata a consentire la concessione di prestiti agli stati che ne avessero bisogno senza obbligarli a riforme pesanti ed impopolari è stata accolta.
Peccato che sia stata accolta anche l’altra richiesta, quella degli stati più ricchi del Nord, che di fatto la rende inutile. Per ottenere credito sarà infatti sufficiente una lettera d’intenti, ma solo a patto di rispettare i parametri di Maastricht. Considerando che 10 stati su 19 membri dell’eurozona non rispettano questi parametri, e che tra questi figura anche l’Italia, per quanto ci riguarda la situazione resterà invariata rispetto alle attuali normative.

Un risultato concreto ottenuto dai paesi più indebitati (Italia in primis) è il meccanismo del backstop.
Di cosa si tratta? Di un fondo comune costituito tra le banche europee, capace di agire autonomamente quando una banca di un Paese dell’eurozona è in crisi, evitando di utilizzare risorse pubbliche per il salvataggio.
Salvini e la Meloni sostengono che il MES porterà via soldi agli Italiani per salvare le banche tedesche: la verità è che i Tedeschi sono stati i più fieri oppositori di questa riforma, sostenendo che fossero le banche di Paesi in difficoltà come l’Italia ad aver bisogno di questi soldi, e che la Germania si sarebbe trovata a finanziare salvataggi in questi Paesi.
Il MES contribuirà a finanziare il Fondo di risoluzione, potendo stanziare fino a 55 miliardi; le banche diventeranno così più sicure.

Un risultato ottenuto dai “rigoristi” del Nord Europa rappresenta invece un effettivo peggioramento dell’accordo, se considerato dal nostro punto di vista, tanto da spingere sia il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, sia il presidente dell’ABI Antonio Patuanelli ad esprimere preoccupazione.
La nuova norma è finalizzata a rendere più facile la “ristrutturazione” del debito pubblico di un Paese che chiede sostegno al MES. Per effetto di questa modifica, i privati che hanno sottoscritto titoli del debito pubblico (quindi di fatto hanno prestato dei soldi allo Stato), potrebbero, nel momento in cui scatterà il pacchetto di aiuti alla Nazione in difficoltà, vedersi rimborsati i titoli sottoscritti solo parzialmente e non per l’intero valore nominale.

Stiamo parlando delle Clausole di Attivazione Collettiva (CACS), della quali Salvini ha dimostrato di non sapere assolutamente nulla, pur utilizzandole come spauracchio per terrorizzare i suo elettori.

Le istituzioni Europee hanno rassicurato i Paesi membri spiegando che la ristrutturazione del debito non sarà automatica e che la riforma nasce per proteggere i governi in caso di default. Il meccanismo prevede la possibilità di ridurre il capitale da rimborsare o gli interessi, oppure posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze.
Le vecchie clausole presupponevano un accordo tra uno Stato alle prese con la ristrutturazione del suo debito e la maggioranza degli investitori. Poiché gli Stati emettono debito in tante emissioni, era finora necessaria una doppia maggioranza: a livello di debito complessivo e in ogni singola emissione.
La riforma del Mes richiede la sola maggioranza a livello complessivo, cioè la single limb. Tutto questo crea una condizione di rischio per i privati.
Come spiegato in precedenza, per accedere agli aiuti del MES bisogna essere in regola con determinati parametri. Gli Stati non in regola potranno beneficiare degli aiuti a patto di impegnarsi ad attuare riforme impopolari per risanare il bilancio. La possibilità di ristrutturare il debito, scaricando sui risparmiatori privati parte del peso, rende più facile l’accesso agli aiuti ma meno sicuro l’investimento in titoli di stato.
Anche senza arrivare ad un provvedimento del genere, la sola esistenza di questa norma potrebbe scoraggiare gli investitori a sottoscrivere titoli dei Paesi più indebitati, costringendoli ad aumentare i tassi per continuare a finanziarsi.

Il MES è un circolo privato?

Questo trattato mette 124 miliardi di Euro degli Italiani nella mani di sette burocrati europei: due tedeschi, due francesi, un olandese un belga e un irlandese che possono discrezionalmente decidere chi aiutare e non aiutare con quei soldi.          MATTEO SALVINI

Cosa c’è di vero in questa affermazione? Niente.

Intanto le somme versate dall’Italia al MES si limitano a poco più di 14 miliardi, pari al 17% del fondo. I 124 miliardi rappresentano il capitale sottoscritto ma non versato. Se davvero si rendesse necessario per l’Italia versare i residui 110 miliardi, questo vorrebbe dire che la Germania ne verserà 160, la Francia 120 e così via.

Chi comanda nel MES?
Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono).
Le decisioni meno importanti richiedono comunque una maggioranza pari all’85% del numero di quote sottoscritte.
Considerando che l’Italia detiene il 17% delle quote, ha di fatto potere di veto: questo vuol dire che il MES non potrà mai prendere una decisione che non sia condivisa anche dal Governo Italiano.

Già, ma il Governo conosce le proprie decisioni? A questo punto si dovrebbe rispondere che non è sempre così, o almeno non lo è per tutti i Governi, considerando che le attuali modifiche sono state concordate nel 2018 dal Governo Conte 1 e dai vice premier Salvini e Di Maio.

Cioè gli stessi che adesso alzano barricate e raccolgono firme chiedendo di non ratificare le modifiche concordate dal loro Governo.

 

 

 

 

 




Popolare di Bari, Cgil e Fisac Abruzzo Molise: “Subito provvedimento del Governo”

Procedere urgentemente all’approvazione di un provvedimento governativo che tuteli i lavoratori, salavaguardi i risparmiatori e che garantisca il risanamento della banca in sinergia con l’intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi”.

Lo chiedono Cgil Abruzzo Molise e Fisac Cgil Abruzzo Molise, dopo il commissariamento della Banca Popolare di Bari da parte di Bankitalia, ricordando che “l’istituto bancario ha 99 sportelli nella regione Abruzzo, con circa 800 dipendenti, e annovera un’assidua attività bancaria, prevalentemente tra le provincie di Teramo e Pescara; tutto ciò, dopo aver rilevato, solo nel 2014, le banche Tercas e Caripe”.

Il futuro della Popolare di Bari – sottolineano le segreterie regionali delle due sigle – inciderà profondamente sulle dinamiche economiche della nostra regione, in particolare per l’attività delle micro e piccole imprese a cui occorre un forte sostegno creditizio. È necessario proteggere il risparmio degli abruzzesi che abbisogna di tutele e di grande fiducia. Occorre garantire stabilità occupazionale alle lavoratrici e ai lavoratori della Banca che hanno dimostrato dedizione al lavoro ed una grande professionalità, nonostante continue vessazioni e forti pressioni commerciali”.

Auspicando “massima chiarezza su quanto accaduto” e confidando “sull’operato della magistratura e sull’operato della Commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche”, Cgil e Fisac chiedono “un incontro immediato con il Presidente della regione, Marco Marsilio, per discutere della crisi in atto e per ribadire la necessità di un forte interessamento del Governo regionale perché si faccia promotore, insieme alle forze sociali ed economiche, di un intervento pubblico che possa dare prospettive alla Banca più grande del Sud Italia, in ragione delle enormi ricadute socio-economiche sul territorio; un incontro con i parlamentari eletti in Abruzzo per valutare le azioni da mettere in campo già dai prossimi giorni a supporto della vertenza”.

Fonte: www.news-town.it



Anche l’Abruzzo trema per i tagli Unicredit. Forte riduzione anche in Bper

La campana Unicredit suona anche per l’Abruzzo.

Il piano industriale lacrime e sangue annunciato dal colosso del credito 5500 esuberi e chiusura di 450 filiali solo in Italia – rischia di avere pesanti ripercussioni anche nella nostra regione.

Al momento non c’è ancora niente di ufficiale, anche perché non sono ancora partiti i tavoli negoziali. La Cgil, però, è molto preoccupata.

Se si inquadra il dato degli esuberi in un contesto più ampio – quello nazionale e internazionale, in cui tutte le banche stanno andando verso drastici tagli al personale per via della digitalizzazione e dall’automazione del lavoro; e quello locale, dove, come è stato evidenziato dalla stessa Cgil in un recente convegno svoltosi all’Aquila, il settore del credito bancario sta scontando da anni una crisi di sistema – il futuro non appare roseo.

In Abruzzo Unicredit ha 265 dipendenti e 23 filiali, sei delle quali concentrate nella provincia dell’Aquila (per un totale di 45 dipendenti). Fino a un anno fa, a livello regionale, le filiali erano 30. Ben prima che annunciasse il nuovo piano industriale, dunque, la banca ne ha chiuse ben 7.

“La trattativa deve ancora aprirsi, perciò al momento non sappiamo dove si concentreranno i tagli” afferma Luca Copersini, segretario provinciale della Fisac Cgil L’Aquila “E’ altamente probabile, tuttavia, che la banca possa decidere, quando sarà, di abbandonare i territori meno redditizi, ossia le regioni del Sud, Abruzzo compreso”.

A tenere in allerta il sindacato, inoltre, c’è anche il piano industriale di Bper, di cui si sta parlando poco ma che prevede 1300 esuberi in tutta Italia su 14 mila dipendenti. I contraccolpi in Abruzzo, e in particolare nella provincia dell’Aquila, dove la banca modenese è presente in modo capillare, avendo assorbito tutta la vecchia rete Carispaq, potrebbero essere molto pesanti.

“Il problema” osserva Copersini “è che a fronte di tutti questi tagli, ci sono pochissime assunzioni. Quelle che vengono effettuate riguardano soprattutto promotori finanziari o persone con specifiche competenze nell’ICT. L’innovazione tecnologica sta rendendo superflui molti posti di lavoro e alle banche ora interessa vendere soprattutto polizze assicurative e altri prodotti finanziari. Intesa, che ha già stilato un accordo con i tabaccai, grazie al quale tutte le operazioni che ora si fanno in filiale potranno essere tranquillamente eseguite nelle tabaccherie, ha già annunciato di voler diventare la prima compagnia assicurativa del Paese. Purtroppo di tutto questo si parla poco. Quello del credito è un settore che alla classe politica locale non sembra stare molto a cuore”.

 

Fonte: www.newstown.it




Unicredit: prorogata la votazione al Fondo Pensione di Gruppo

Nella seduta del 3 dicembre, il Consiglio di Amministrazione del Fondo Pensione di Gruppo ha deliberato, secondo quanto previsto dal Regolamento del Fondo stesso, la proroga dell’Assemblea Straordinaria fino al 15 gennaio 2020.

Questa decisione offre un’ulteriore possibilità a TUTTI gli iscritti del Fondo di Gruppo di esercitare il loro diritto di voto per questo referendum e raggiungere così il quorum necessario, vista l’importanza strategica che questa consultazione riveste per il futuro del sistema della previdenza integrativa nel Gruppo Unicredit.

La procedura di votazione è agevole:

  • si può cliccare direttamente sul link indicato nella mail aziendale di avviso d’assemblea;
  • in alternativa  si  può  entrare  nell’area  riservata  del  sito  del  fondo  pensione www.fpunicredit.eu.

Un fondo unico  permetterà una migliore efficienza, economicità e sostenibilità del sistema della previdenza del Gruppo Unicredit.

Inoltre la positiva conclusione di questo percorso renderebbe stabile e definitiva la polizza premorienza e IPM, attualmente in scadenza al 31.12.2020.

INVITIAMO TUTTI a partecipare e far partecipare al referendum, esprimendo un parere favorevole alla confluenza.

 

Milano, 09 dicembre 2019

Segreterie di Coordinamento
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – UniSin
Gruppo UniCredit

 




Perché le banche non vogliono più finanziare le aziende aquilane?

Relazione introduttiva al convegno “Il credito bancario in provincia dell’Aquila a 10 anni dal sisma” tenutosi lo scorso 28 novembre.

Vi spiego come è nata l’idea di questo convegno.

Il decennale del terremoto è di per sé una ricorrenza che ispira a fare dei bilanci. Però non è questa la molla che ci ha spinto ad organizzare questa giornata.
In realtà abbiamo voluto l’organizzazione di questo evento perché ci siamo resi conto che era necessario.

Tutti noi auspichiamo il completamento della ricostruzione ed il rilancio di un sistema economico che il sisma aveva messo in ginocchio. Perché la macchina continui a camminare, però, è necessario il carburante. E il carburante sono, inevitabilmente, i soldi. Oltre a chiedere allo Stato di fare la sua parte meglio di quanto ha fatto fino ad ora, condizione indispensabile per guardare con fiducia al futuro è la possibilità per le aziende di accedere al credito bancario per finanziare i loro investimenti.
Noi oggi mostreremo che il credito alle imprese in Provincia dell’Aquila è in forte calo, cercheremo di spiegare le ragioni alla base di questo calo, destinato ad aggravarsi negli anni a venire.

Vorrei fare subito chiarezza su un punto: il nostro scopo non è attaccare le banche. Personalmente ritengo che le banche si comportino né più né meno come tutte le grandi aziende.

E quindi, male.

Il periodo storico che stiamo vivendo è per molti versi differente da tutti quelli che lo hanno preceduto. Si parla spesso di crisi, di recessione, però questi termini assumono oggi un valore diverso rispetto al passato.
Storicamente una crisi era legata alle difficoltà di produzione. Pensiamo ad una società contadina: un periodo di forte siccità poteva causare una carestia, che portava la gente a morire letteralmente di fame o la costringeva ad emigrare.
Pensiamo alle crisi energetiche degli anni 70: improvvisi aumenti nel prezzo del petrolio causavano un immediato taglio della produzione e dei consumi, con conseguente perdita di posti di lavoro.

Oggi viviamo in un sistema economico capace di produrre beni e servizi in quantità pressoché illimitata. Il problema diventa quindi il mercato, che non riesce a consumare tutto ciò che in teoria potrebbe essere prodotto. Questo ingenera una situazione di “crisi”, ma soprattutto mette in moto un circolo vizioso.
Ci si illude che la formula magica sia tagliare al massimo i costi di produzione, quindi sfruttare l’automazione per avere sempre meno persone che lavorano, e quelle che lavorano pagarle il meno possibile.
In questo modo si innesca una situazione paradossale: i beni prodotti costano sempre meno, le aziende sono in condizione di aumentare ulteriormente una produzione che già in precedenza era eccedente rispetto alle esigenze del mercato, solo che il mercato si riduce sempre di più.
Sì, perché se sono sempre meno le persone che lavorano, e quelli che lavorano guadagnano sempre meno, chi dovrebbe comprarli i beni e servizi che vengono prodotti, anche se ad un costo inferiore?

In questa fase storica abbiamo un sistema economico convinto di poter prosperare creando povertà anziché benessere.
Come vedremo, le banche sono perfettamente allineate a queste logiche.

Entriamo nel merito degli argomenti che tratteremo. Il primo dei nostri relatori sarà Roberto Errico, ricercatore dell’IRSF LAB, istituto di ricerca della FISAC, che ci illustrerà una serie di dati relativi all’economia locale, ma si soffermerà in modo particolare sull’andamento del credito alle imprese. I dati che mostrerà sono sconfortanti. Mostrerà soprattutto che i grandi gruppi bancari tendono a ridurre la concessione di credito nel Centro-Sud, concentrando la loro attenzione sulle regioni del Nord.

Vorrei soffermarmi sul perché di questo andamento, e su come sia dovuto a cause strutturali sulle quali è davvero difficile intervenire. Mi scuso con gli addetti ai lavori per la brutale semplificazione, ma è importante che i concetti che sto per esporre giungano chiaramente soprattutto a chi non è esperto di economia.
Un elemento che incide pesantemente sulle scelte delle banche sono le normative di vigilanza della BCE, i cosidetti accordi di Basilea. Lo scopo sarebbe assolutamente condivisibile: mettere in sicurezza le banche, evitando che eventuali insolvenze da parte dei debitori possano metterle in crisi. A questi adempimenti sfuggono per ora le BCC, ma l’imminente riforma le equiparerà a breve alle altre banche.

Esistono una serie di adempimenti a carico degli istituti bancari. Tra questi, l’obbligo di accantonare  una somma a fronte di ogni affidamento accordato, in modo da creare dei fondi ai quali attingere nel caso i prestiti non rientrassero. Gli accantonamenti sono differenziati a seconda del rating del debitore. Per chi non lo sapesse, il rating può essere assimilato ad una specie di “voto” scolastico. Chi appare in grado di rimborsare senza problemi i finanziamenti ricevuti, ha un voto migliore. Chi invece presenta motivi di incertezza ha un voto meno buono. Sono diversi gli elementi che vengono presi in considerazione per l’attribuzione del “voto”: tra questi anche il fatto di operare in un territorio più o meno florido. Il semplice fatto di avere la sede in una zona che ha subito il terremoto, e che quindi è di per sé fonte di incertezze, fa sì che i nostri operatori economici partano spesso con un “debito formativo”, volendo restare  nella metafora scolastica. E questo è un primo elemento che vi prego di voler ricordare.
Si può rimediare ad un cattivo rating fornendo garanzie adeguate.

Abbiamo detto che gli accantonamenti sono differenziati a seconda del rating: rappresentano una percentuale irrisoria per aziende con rating buono, aumentando progressivamente fino ad arrivare al 100% del credito concesso ad aziende in difficoltà.
Quindi volendo affidare per € 1.000 un’impresa con andamento incerto, la banca corre il rischio di bloccarne altri 1.000: questo maggior impegno viene compensato dall’applicazione di un tasso più alto, ma il dover tenere delle somme bloccate rappresenta per la banca un disagio tale da spingerla ad evitare del tutto di affidare un’azienda che presenti forti incertezze.

Questo anche in virtù di un altro adempimento, relativo ai vincoli patrimoniali delle banche. Per concedere credito, gli Istituti devono rispettare un coefficiente di solvibilità, cioè una quantità minima di capitale. Si tratta di un rapporto che ha al numeratore il patrimonio della banca (in effetti si tratta di un patrimonio rettificato, come vedremo) e al denominatore il totale dei crediti concessi, ponderati a seconda del rating.
Il patrimonio al numeratore è il cosidetto patrimonio di vigilanza, quindi calcolato secondo norme precise. Una di queste prevede che gli accantonamenti vengano scalcolati dal patrimonio.

Ricapitolando: una banca che concede 1.000 euro ad un’azienda, qualora quest’ultima andasse in difficoltà sI troverà a doverne vincolare altrettanti, vedendo nel frattempo ridursi il coefficiente di solvibilità, col rischio di trovarsi – qualora l’ammontare dei crediti incagliati aumentasse troppo – a non poter più operare. A quel punto la banca avrà più convenienza a svendere quel credito, magari ad un valore nominale del 20-25%, piuttosto che sforzarsi di recuperarlo, in modo da svincolare l’accantonamento effettuato a copertura e migliorare il coefficiente di solvibilità.
In 
queste condizioni le banche non hanno nessuna voglia di finanziare aziende che presentino situazioni di incertezza, operino in territori difficili o non dispongano di garanzie adeguate. Da qui si spiega ciò che sta succedendo: sempre meno impieghi nel Mezzogiorno, con finanziamenti che si concentrano nelle zone più solide economicamente. Ed in futuro la tendenza non potrà che accentuarsi: meno finanziamenti significa meno imprese, meno imprese significa meno investimenti, meno investimenti significa meno richieste di finanziamento. Il paradosso è che mentre scendono i finanziamenti alle imprese aumentano i depositi bancari: sono le somme che le famiglie avrebbero investito in attività economiche e che restano sui conti, finendo per costituire la provvista per finanziare investimenti che avvengono altrove. Un preoccupante trasferimento di ricchezza.

Fin qui l’aspetto tecnico. Volendo essere onesti, dobbiamo però dire che che la storia dei recenti dissesti bancari c’insegna che a mandare in crisi la banca non è l’artigiano con un finanziamento di € 20/mila , ma la grande azienda finanziata per € 20/milioni. La scelta di abbandonare le piccole e medie imprese, trincerandosi anche dietro i nuovi algoritmi che di fatto decidono del destino di un operatore in modo asettico, risponde sicuramente alla logica del risultato immediato, ma finisce col desertificare intere aree del Paese, scelta che a lungo andare causerà agli Istituti bancari perdite ancor maggiori. Avere il coraggio di investire sui territori, favorirne la crescita invece del declino, è a mio parere l’unica scelta logica e lungimirante, ma ha il torto di portare benefici solo nel periodo medio-lungo.

Tra gli effetti collaterali di queste scelte, anche l’aumento della criminalità. Un recente studio del Sole 24Ore pone la nostra Provincia al 3° posto in Italia per i reati di usura e questo è inevitabile: dove manca il credito ufficiale subentrano altri finanziatori. Le stesse infiltrazioni della criminalità organizzata sono facilitate dalle difficoltà delle aziende di ottenere credito: laddove un’impresa è costretta a ritirarsi per mancanza di liquidità ne subentra un’altra che invece la liquidità ce l’ha, ed ha il problema di ripulirla.

Altro tema importante è quello dell’abbandono del territorio da parte delle banche.

Tempo fa, parlavo con una persona che ricopre un ruolo importante in un istituto di rilevanza nazione, e lei mi raccontava con entusiasmo dell’avanzata sperimentazione di centralinisti robot, cioè voci generate da una procedura, capace di capire le domande poste dai clienti della banche e fornire risposte adeguate. L’idea è sostituire i centralinisti in carne ed ossa non appena le voci sintetiche diventeranno difficilmente distinguibili da quelle umane. A un certo punto l’ho interrotta chiedendole: “Perché?” “Come perché? Così si risparmia sul personale”. “Si, ma se tutti fanno in modo di far lavorare meno gente possibile, alla fine chi dovrebbe venirci ad aprire un conto da voi?” Lei mi  ha guardato, dicendo: “Sai che non avevo considerato questo aspetto?”

Le banche chiudono uffici e filiali. Colpisce l’indifferenza di fronte alla perdita di centinaia di posti di lavoro in Provincia ed alla riduzione del numero degli sportelli, dati che Roberto illustrerà in modo approfondito. C’è quasi l’idea che la chiusura di una filiale rappresenti un problema solo per chi ci lavora, ma che sia irrilevante per il territorio. E’ quello che affermano le banche, che ci raccontano anche che le loro scelte vanno incontro alle esigenze della clientela: ora, è vero che molte operazioni si fanno online, ma c’è qualcuno di voi che ha l’esigenza di far chiudere la filiale presso al quale ha il conto corrente?
Pensiamo ad un paese di montagna con un solo sportello bancario. A quale esigenza risponde la chiusura di quella filiale? A quella di accelerare lo spopolamento del paesino? O alla logica di cui parlavo all’inizio, cioè un’economia che pensa di prosperare impoverendo il territorio?

Le banche ci raccontano che nell’era del digitale la presenza fisica non è necessaria, che questo non impatta in nessun modo con la qualità dei servizi offerti.
Il nostro secondo relatore, prof. Alberto Zazzaro, docente di Economia presso l’Università degli Studi di Napoli, ci mostrerà che questo non è vero. Il professore ci illustrerà uno studio che dimostra in modo scientifico che quando chi deve decidere è lontano dall’azienda da affidare, è portato a concedere credito con più difficoltà. E più la distanza aumenta, più questo effetto si acuisce. Anche il suo sarà un intervento imperdibile.

Sarà poi il turno di Francesco Marrelli, Segretario Generale della CGIL per la Provincia dell’Aquila, nonché primo promotore di questa giornata, che farà il punto sull’economia e l’andamento demografico del territorio, evidenziando il costante calo delle aziende attive, fatto che non stupisce e che potremmo considerare consequenziale rispetto ai temi trattati.

Sarebbe comunque ingeneroso dare la colpa alle sole banche.
Dal terremoto in poi la politica ha fatto indubbiamente molto meno di quello che avrebbe dovuto.
A distanza di 10  anni non ha senso parlare di colpe di gialli, verdi rossi o blu: ci sono troppe cose che non hanno funzionato. Il simbolo delle mancanze della politica è rappresentato dalle scuole: in 10 anni non è stata ricostruita una sola scuola pubblica, ed ovunque la ricostruzione pubblica procede in modo lentissimo.

A differenza di quanto avvenuto in occasione di altre calamità naturali, all’Aquila non ci sono stati investimenti pubblici, vero motore della ripartenza. Eppure di modi per investire  in modo intelligente e creare sviluppo ce ne sarebbero: pensiamo ad un collegamento ferroviario diretto con Roma, ad esempio, che trasformerebbe totalmente la città. Pensiamo ad opere di messa in sicurezza , sia dal rischio sismico che dal rischio idrogeologico, che renderebbero il nostro territorio più vivibile creando nel contempo posti di lavoro.

La chiusura sarà affidata a Carmine Ranieri, Segretario CGIL Abruzzo e Molise, che tirerà le somme della giornata e proverà anche a lanciare un messaggio in qualche modo propositivo.

 

Luca Copersini, Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila

 

Leggi anche

https://www.fisaccgilaq.it/banche/convegno-fisac-e-cgil-aq-sulle-problematiche-del-credito-bancario-in-provincia.html




BCC: 31/12, ultima data per comunicare i contributi versati al Fondo Pensione non dedotti dal reddito del 2018

Entro il 31 dicembre 2019

vanno comunicati al Fondo Pensione Nazionale:

⇒ i contributi non dedotti per l’anno 2018;

⇒ il valore del Premio di Risultato eventualmente convertito, nel corso dell’anno 2018, in versamento alla previdenza complementare.

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Contributi non dedotti anno 2018

Ricordiamo che il 31 dicembre p.v. è il termine ultimo per la comunicazione dei contributi versati al Fondo Pensione che non sono stati dedotti dal reddito dell’anno 2018.

Non dedotti sono i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore, con esclusione delle quote TFR, che hanno superato la soglia di deducibilità di € 5164,57[1] e per i quali il datore di lavoro non ha proceduto alla deduzione dal reddito. Tale dato, per i redditi relativi al 2018 è riportato nella casella 413 del modello CU 2019. Vanno inoltre considerati i versamenti eventualmente effettuati in forma diretta ad altre posizioni di previdenza complementare.

[1] L’importo del plafond previsto per la deducibilità fiscale, nella generalità dei casi, è pari a € 5.164,57 annui. La normativa in vigore prevede, inoltre, che “ai lavoratori di prima occupazione successiva al 1° gennaio 2007 e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, di dedurre dal reddito complessivo i contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche e, comunque, per un importo annuo non superiore a 2.582,29 euro”.

 

N.B.: Se la casella 413 della CU 2019 non è avvalorata e l’iscritto al Fondo Pensione non ha un’altra posizione di previdenza complementare, non dovrà inviare la comunicazione in argomento.

Come fare la comunicazione dei contributi non dedotti:

Una volta accertata l’esistenza di contributi non dedotti per i quali occorre fare la dichiarazione, la stessa può essere effettuata compilando il modello cartaceo Allegato H , allegato alla presente comunicazione o reperibile sul sito web del Fondo; in tal caso la comunicazione va inviata al Fondo Pensione Nazionale esclusivamente a mezzo posta o posta elettronica certificata, allegando copia di un documento di identità in corso di validità.

In alternativa la stessa comunicazione può essere effettuata on line con le seguenti modalità:

1.       accedere con le proprie credenziali alla area iscritti del sito web del Fondo Pensione Nazionale ( http://www.fondopensione.bcc.it/home/home.asp )


2.     
selezionare l’opzione “CONTRIBUZIONE”

3.       inserire l’importo rilevato dalla casella 413 del modello CU2019

4.   confermare il dato inserito cliccando sul pulsante “MODIFICA CONTRIBUTO NON DEDOTTO”


5.  confermare l’operazione cliccando sul pulsante “SALVA

Nota di approfondimento in merito ai versamenti effettuati per i familiari fiscalmente a carico.Va ricordato che la deduzione, nel massimale complessivo di euro 5.164,57, spetta in tutto, in parte o per nulla, a seconda delle condizioni di reddito del familiare a carico (a), al soggetto nel confronto del quale i familiari sono a carico oppure a questi ultimi in casi particolari.

Nel caso in cui non sia possibile, in tutto o in parte, usufruire della deduzione, l’importo “Non Dedotto” dovrà essere comunicato al Fondo Pensione, entro il 31 dicembre 2019, imputando l’importo “non dedotto” sulla posizione del soggetto fiscalmente a carico (riguardo le modalità di comunicazione vi invitiamo a contattare direttamente il Fondo Pensione).

(a) 1- Familiari Fiscalmente a Carico senza disponibilità di reddito; 2- Familiari Fiscalmente a Carico con disponibilità di un reddito complessivo non superiore ad € 2.840,51, al lordo degli oneri deducibili; 3- Familiari con disponibilità di un reddito complessivo superiore a € 2.840,51, al lordo degli oneri deducibili (e quindi da non considerare “fiscalmente a carico”).

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La segnalazione del Premio di risultato anno 2018

ATTENZIONE AVVISO IMPORTANTE!!!!

Se nel corso dell’anno 2018 hai convertito, attraverso la formula welfare aziendale, in tutto o in parte, il Premio di Risultato (PDR) in contribuzione al Fondo Pensione leggi con attenzione la nota che segue perché dovrai fare una ulteriore diversa comunicazione al Fondo Pensione Nazionale per “Contributi non dedotti”

 

La normativa:

La Legge di Bilancio 2017 ha stabilito che in presenza di un accordo sindacale riguardante l’erogazione del Premio di Risultato che preveda la possibilità far confluire al conto Welfare il premio stesso sono previste particolari misure di incentivazione fiscale, nel limite massimo di € 3.000,00 annui (€ 4.000,00 in casi particolari).

Quindi nel caso gli importi del Premio di risultato siano destinati a previdenza complementare la Legge prevede che gli stessi:

  • non concorrono alla determinazione/computo del, precedentemente citato, limite di deducibilità massimo di € 5.164,57 annui;
  •  possono, essere esclusi dalla formazione del reddito complessivo del lavoratore per un importo massimo di € 3.000,00;
  • non saranno fiscalmente imponibili all’atto dell’erogazione della prestazione pensionistica complementare (al momento dell’erogazione della pensione complementare ed in caso di anticipazione o di riscatto della prestazione stessa vedi circ. Agenzia Entrate 5/E 29 marzo 2018);

Di conseguenza, per fare sì che tali previsioni possano essere tutte correttamente conosciute ed applicate dal Fondo Pensione al quale si è conferito il valore del Premio di Risultato, la circolare Agenzia delle Entrate 5/E del marzo 2018 prevede che:

“entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui i contributi sono stati versati alla forma di previdenza complementare, il contribuente è tenuto a comunicare a questa ultima sia l’eventuale ammontare di contributi non dedotti, che l’importo dei contributi sostitutivi del Premio di risultato che, seppur non assoggettati ad imposizione, non dovranno concorrere alla formazione della base imponibile della prestazione previdenziale.”

Ulteriore infoIl valore del Premio di Risultato eventualmente convertito in contribuzione a previdenza complementare è verificabile controllando il valore riportato nella casella 574 della CU 2019 (redditi 2018)

Quindi:

se nel corso dell’anno 2018 hai versato, attraverso la formula del Welfare aziendale, quote del Premio di Risultato al Fondo Pensione, entro il 31 dicembre 2019 dovrai comunicare, compilando l’apposito modulo predisposto dal Fondo Pensione Nazionale Allegato PDR (allegato anche alla presente comunicazione o reperibile sul sito del Fondo Pensione) il valore del Premio di Risultato versato al Fondo stesso.

N.B: La comunicazione va inviata al Fondo Pensione Nazionale esclusivamente a mezzo posta o posta elettronica certificata, allegando copia di un documento di identità in corso di validità.

 

Da questo anno, in alternativa, la stessa comunicazione può essere effettuata on line con le seguenti modalità:

 1 . accedere con le proprie credenziali alla area iscritti del sito web del Fondo Pensione Nazionale

2 . selezionare l’opzione “PREMIO DI RISULTATO”

 3 . selezionare il pulsante “2018”


4
la procedura dovrebbe proporre in automatico l’importo del Premio di risultato versato al Fondo Pensione

  5 . verificare che l’importo proposto automaticamente corrisponda a quello riportato nella casella 514 del modello CU2019. In caso contrario occorre modificarlo riportando il valore indicato nella CU 2019.

 
6
. Confermare la scelta cliccando sul pulsante “CONFERMA PREMIO DI RISULTATO”

Ti invitiamo a contattare gli uffici del Fondo Pensione Nazionale qualora sia per te necessario.Ovviamente, come sempre, i rappresentanti sindacali e le strutture territoriali della FISAC CGIL sono a tua disposizione per ogni eventuale necessità di consulenza o assistenza.

Un fraterno saluto

FISAC-CGIL Coordinamento Nazionale Credito Cooperativo


ALLEGATI:

  1. Allegato H – Contributi non dedotti
  2. Allegato PDR

 

 

 

 




Alleanza deve tornare a motivare i lavoratori

La scorsa settimana l’azienda ha incontrato le Organizzazioni Sindacali per un’informativa sull’andamento delle incentivazioni e dei risultati a tutto ottobre e per gli obiettivi 2020.

I dati forniti hanno confermato che, grazie ad un eccezionale risultato in ottobre produttivo, Alleanza è al 100% del budget 2019 con un incremento del 20% sui Premi Unici ed un decremento del 10% sui Premi Annui. Secondo i vertici aziendali anche le incentivazioni sono in incremento come taglio medio dei premi, benché il numero di coloro che le percepiscono sia sempre lo stesso, circa il 40% dei TS, e non ci hanno fornito la distribuzione tra nord e sud. Viste le differenze a livello economico nazionale, certamente le incentivazioni arrivano in modo inferiore al centro-sud.

Non comprendiamo come sia possibile che Alleanza dichiari, ad ogni incontro sull’andamento aziendale, che i dati siano sempre migliori del passato, ma le percentuali restano praticamente le stesse nell’ultimo quinquennio!

Come se Alleanza fingesse di non vedere che la propria organizzazione è sempre più demotivata, oberata di carichi di lavoro, senza più prospettiva di crescita professionale, spesso vessata,demansionata, indebolita psicologicamente (sono aumentati gli episodi di violenze verbali e fisiche, oltre anche ai tentativi di suicidio), controllata ai limiti delle violazioni di legge, fino al punto che decine di dipendenti ogni mese lasciano l’azienda per andare alla concorrenza, parzialmente sostituiti da neo-assunti a metà prezzo (circa 10.000 €. lordi annui e la permanenza nel ruolo di 1° ASA per 4 anni ed almeno 18 mesi dal 2023) grazie all’ultimo rinnovo contrattuale che la Fisac aziendale non ha firmato.

In questo clima di assoluta indifferenza e cecità da parte dei vertici aziendali, si comunica che il budget 2020 aumenterà tra il 2,8 ed il 3%, con la ridicola motivazione che arriveranno a scadenza 400 milioni di €. in più di polizze ventennali e che verranno pagati 130 milioni in più di quote da incasso per le polizze Semplici acquisite quest’anno.

Senza dimenticare che solo il 60% dei TS raggiunge gli obiettivi mensili, mentre resta invariata la percentuale di coloro che non riescono ad arrivare al traguardo del budget e pari ben al 40%.

L’incremento richiesto dall’azienda per il 2020 rischia di aumentare ulteriormente la fascia di coloro che non arrivano all’obiettivo. Senza sottovalutare la situazione macroeconomica di indiscutibile difficoltà in cui versa il nostro paese.

Nel frattempo, ricordiamo a tutti che sono state chiuse 8 Agenzie Generali nell’ultimo anno (solo 2 riaperte), insieme a centinaia di uffici periferici, e demansionati 4 agenti generali. Altri 75 agenti sono stati convocati in Direzione Generale ed aumentano rumor e timori che nuove agenzie verranno chiuse nei prossimi mesi.

Non possiamo più credere a vertici direzionali che decine di volte ci avevano rassicurato sulla loro volontà di non chiudere le agenzie, poi smentiti dai fatti.

L’azienda ha dichiarato che le convocazioni a Milano avevano lo scopo <<di dimostrare che Alleanza è al fianco dei lavoratori e la disponibilità ad ascoltarli con l’intento di aiutare le agenzie in difficoltà>>. Allora invitiamo tutte le agenzie in difficoltà a chiedere aiuto ai vertici territoriali e direzionali, attraverso ad esempio supporti economici per motivare la rete ed inserire nuovi collaboratori.

Abbiamo protestato fermamente sulla pretesa di programmazione dell’attività che si sta trasformando in controllo a distanza, proibito dalla legge. Alleanza ha dichiarato che interverrà, consapevole che il controllo a distanza è illegittimo ed illegale.

L’azienda ha ribadito che l’adesione al progetto smile, che prevede l’utilizzo del proprio profilo personale sui social, non è obbligatoria per i lavoratori.
Vi invitiamo a segnalarci qualsiasi violazione in tal senso.

Abbiamo anche protestato perché Alleanza obbliga i TS a superare l’esame per Consulente Finanziario, ma a spese dei lavoratori. L’azienda dovrebbe almeno farsi carico della formazione all’esame e dei costi per sostenerlo.

Abbiamo, inoltre, fatto nuovamente notare che non è possibile che la formazione sia tutta on-line ed i lavoratori siano obbligati a farla durante il loro tempo libero. L’azienda deve rispettare il Contratto di Lavoro, che prevede per i produttori 40 ore settimanali ed il sabato non lavorativo.

L’azienda ha dichiarato che le incentivazioni per il 2020 resteranno le stesse di quest’anno, anche se vorrebbero rimodulare qualcosa soprattutto per i Mix. La Fisac ha chiesto che le incentivazioni vengano semplificate e rese accessibili ad un numero molto più elevato di collaboratori, visto che risultano indispensabili per realizzare guadagni “decenti” soprattutto per i livelli più bassi.

Alleanza deve tornare a motivare la propria organizzazione, sia come crescita professionale che economicamente per essere di nuovo “appetibile”, per arginare le fuoriuscite di dipendenti (al momento, la concorrenza è l’unica ad essere soddisfatta di questo managment) ed inserire nuove risorse da far crescere (visti anche i limiti, vicini al fallimento, di “Generazione Alleanza”). I vertici direzionali non possono continuare col taglio dei costi e con la destrutturazione dell’azienda, mettendo avanti solo ed esclusivamente l’interesse dell’azionista Generali, senza prendere in considerazione i lavoratori e la clientela, nonostante le belle parole dichiarate ai media o durante le convention.

Un nuovo incontro è previsto per il prossimo 12 dicembre, sempre a tavoli separati come richiesto dalle altre sigle, così l’azienda può continuare a “giocare su più tavoli”.

Roma, 2 dicembre 2019

                                                     

                                                                                Coord. Naz. Fisac/Cgil di Alleanza




Unicredit: Landini, irresponsabile annunciare 8mila esuberi

Diciamo no e diciamo basta. Il lavoro non può più essere considerato una merce che si prende quando serve e si butta quando fa comodo. Unicredit annuncia 8mila esuberi e intanto distribuisce dividendi e chiude i primi nove mesi dell’anno con un utile di 4,3 miliardi. Questo non è fare impresa, è essere irresponsabili. Non lo possiamo accettare. Il governo non può accettarlo. Prima di aprire un gravissimo conflitto Unicredit riveda tutto. Ritiri quanto ha improvvidamente annunciato e, se mai ci dovessero essere problemi, prima di compiere azioni gravi e irreparabili discuta con il sindacato”.
Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.

Come Unicredit – aggiunge il leader della Cgil – ci sono decine di imprese sane che licenziano senza giustificazione. Come ci sono centinaia di imprese che hanno necessità di una politica industriale che le aiuti a uscire dalle secche di una crisi che non passa, anzi che si aggrava. Ilva, Alitalia, i lavoratori LSU, Auchan, Mercatone Uno, Bekart, Whirlpool, e potrei continuare a citare una a una le oltre 160 situazioni di crisi all’attenzione del governo e parlare anche delle centinaia di aziende piccole e medie in grave difficoltà, nelle quali il sindacato sta dando l’anima per salvare posti di lavoro, capacità produttiva, intelligenze e saper fare. Va data una svolta e va data in fretta”.

Chi lavora, chi rischia di perderlo, chi è sfruttato, chi lo cerca e riceve solo risposte inaccettabili o illecite – conclude Landini – non ha più pazienza. Il governo agisca e faccia in fretta. Cambi le leggi sbagliate, a cominciare dal jobs act e dalle norme sugli appalti. Faccia politica industriale, sblocchi gli investimenti, istituisca un organismo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Le forze politiche la smettano con la propaganda e si occupino del Paese e di chi lavora, delle loro difficoltà e dei loro problemi”.

 

Fonte: www.rassegna.it

 




Polizza dipendenti banche, esattorie e finanziarie per l’anno 2020

La FISAC CGIL Nazionale ha rinnovato, anche per l’anno 2020, la convezione con la società AMINTA Srl, con sede in Torino, per la copertura dei rischi connessi all’attività lavorativa nel settore banche ed esattorie.
Le ipotesi sotto elencate hanno delle combinazioni preordinate; Vi invitiamo ad una attenta lettura delle condizioni di polizza al fine di valutare l’opzione più rispondente alle Vostre necessità.
Le condizioni di polizza sono allegate alla presente comunicazione e sono inoltre reperibili sul sito www.amintafisaccgil.com al quale sarà necessario accedere per la sottoscrizione della polizza.

In sintesi elenchiamo le principali novità che introdotte nella convenzione 2020 in base alle specifiche esigenze e proposte segnalate dai lavoratori:

  • Tutte le polizze prevedono in caso di ammanco di cassa l’eliminazione della franchigia fissa sul primo sinistro
  • premi sono stati ridotti fino al 20% rispetto allo scorso anno
  • Retroattività di 10 anni dalla prima adesione alla Convenzione
  • Le polizze RC Professionale comprendono le violazioni della normativa sulla privacy e  le sanzioni per la violazione di banconote false e la negoziazione di assegni sprovvisti della clausola “non trasferibili” nel caso di azione di rivalsa da parte dell’Istituto di credito
  • La polizza è estesa agli errori formali e/o documentali nella stipula di assicurazioni in conformità al Regolamento IVASS 40, comprendendo tutti coloro che all’interno dell’istituto di credito si occupano di assicurazioni.
  • Anche quest’anno per coloro che sottoscriveranno la Polizza RC Professionale 2020 e nel corso dell’anno andranno in pensione o accederanno al Fondo Esuberi (cd. Esodati) rimanendo iscritti al sindacato, è prevista GRATUITAMENTE la copertura RC Professionale fino al 31/12/2021
  • Ricordiamo che sulle polizze è prevista l’estensione GRATUITA alla Responsabilità Civile del Capofamiglia
  • E’ stato ridotto il massimo scoperto a carico degli assicurati sulla polizza RC Ammanchi+RC Professionale passando da € 5.000,00 a 3.000,00

Riteniamo utile consigliare i cassieri ad una attenta valutazione dell’opportunità di aderire alla polizza ammanchi + r.c. professionale anche in considerazione delle nuove coperture che la polizza prevede per l’anno 2019.
Da quest’anno la polizza include infatti la garanzia relativa a sanzioni per banconote false e per la negoziazione di assegni sprovvisti della clausola “NON TRASFERIBILE” in caso di rivalsa dell’istituto.

Quale che sia la polizza – o combinazione di polizze – sottoscritta è prevista GRATUITAMENTE la copertura assicurativa RC del Capofamiglia (limite massimale annuo € 250.000,00, € 50.000,00 per sinistro, scoperto 10% con franchigia fissa € 500,00 ).

RISCHIO DI CASSA

  • Massimale €. 6.000,00 (per sinistro e per anno assicurativo),
    premio annuo: €. 85,00,
    franchigia per evento: €. 0,00 per il primo sinistro, 80 per il secondo, elevata a €. 155,00 a partire dal terzo sinistro denunciato.
  • Il massimale è aumentabile ad € 10.000,00 o 15.000,00, con premio annuo che sale rispettivamente ad € 105 e € 120
    (vedi allegato FISAC convenzione ammanchi 2020)

Entrambe le polizze rischio cassa possono essere sottoscritte anche in combinazione con la polizza RC per perdite patrimoniali.

 

RESPONSABILITA’ CIVILE PER PERDITE PATRIMONIALI IN COMBINAZIONE CON IL RISCHIO DI CASSA

Di seguito riassumiamo brevemente le caratteristiche salienti e le condizioni di premio; Vi preghiamo comunque di verificare nel dettaglio l’allegato:
FISAC Convenzione ammanchi + RC professionale 2020

  1. Massimali: differenziati (come da tabella di combinazioni riportata nelle condizioni di polizza e nella scheda di adesione) tra € 75.000,00 (limite per sinistro 25.000,00) e € 120.000,00 (limite per sinistro € 60.000,00), oppure € 100.000,00 (limite per sinistro € 100.000,00).
  2. Premio annuo compreso tra € 114,00 ed € 170,00 a seconda della tipologia e delle combinazioni con altre coperture rischio cassa scelte.
  3. Franchigia per assicurato: 10% del sinistro con un minimo di € 150,00 ed un massimo di € 5.000,00

 

RESPONSABILITA’ CIVILE PER PERDITE PATRIMONIALI SENZA RISCHIO DI CASSA

  1. Massimale da € 120.000,00 (con il limite di € 60.000,00 per sinistro) a € 2.000.000,00 per anno e per sinistro;
  2. Premio compreso tra € 51,00 e € 370,00 in base al massimale;
  3. Franchigia per assicurato: 10% del sinistro con un minimo di € 150,00 ed un massimo di € 5.000,00
    (vedi allegato FISAC convenzione RC professionale 2020)

 

CONVENZIONE RC PROFESSIONALE DANNI ERARIALI – Sezione E

La convenzione è riservata ai dipendenti dei settori Riscossioni e Tributi.
Le polizze RC Professionale danni erariali sono rivolte sia agli impiegati che ai quadri e funzionari del settore riscossione tributi, di seguito riassumiamo brevemente le caratteristiche salienti e le condizioni di premio:

 

OPZIONI MASSIMALI PER SINISTRO E PER ANNO ASSICURATIVO PREMIO BASE 2019 PREMIO COMPRENSIVO CONDIZIONI SPECIALI (1) FRANCHIGIA
1E  € 3.000.000
impiegati
 € 71,00  € 82
opzione 1ES
 € 500
2E  € 3.000.000
funzionari e quadri
 € 150,00  € 180
opzione 2ES
 € 500

(1) condizioni speciali:
a. Estensione D.Lgs. 81/2008;
b. Perdite Patrimoniali derivanti dall’attività di cui al D.Lgs. 196/2003 La garanzia copre i danni cagionati in violazione dell’art. 11 del D.Lgs 196/2003 e comportanti un danno patrimoniale, anche ai sensi dell’art. 2050 c.c., e un danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 Codice Civile.
Vi preghiamo di verificare nel dettaglio le condizioni di polizza nell’allegato:
Convenzione FISAC RC danni erariali

 

INFORMAZIONI UTILI

La sottoscrizione delle polizze potrà essere effettuata direttamente dal sito www.amintafisaccgil.com autenticandosi con il proprio account e seguendo le istruzioni proposte. Chi non fosse già registrato dovrà provvedere anche alla creazione di un account personale. La conferma della sottoscrizione della polizza si concluderà con la assegnazione di un codice individuale che dovrà essere riportato nella causale del bonifico che verrà successivamente effettuato.
Per ottenere la copertura assicurativa dal 31/12/2018 iscriviti il prima possibile effettuando il relativo bonifico.
L’iscrizione effettuata dopo il 31/12/2018 avrà invece efficacia dalle ore 24 del giorno di valuta del bonifico al beneficiario.
Nell’area riservata potrai trovare tutte le informazioni relative allo storico dei tuoi ordini ed allo stato di avanzamento della tua posizione.

Se hai difficoltà nell’iscrizione puoi scrivere all’indirizzo mail:[email protected] oppure contattare telefonicamente Aminta dal lunedì al giovedì dalle ore 15.00 alle ore 17.30 al numero riservato agli iscritti FISAC: 011/390738.

Chi fosse impossibilitato ad effettuare l’adesione online, dopo aver verificato dal cartaceo la condizione di polizza ed aver effettuato il relativo bonifico, può inviare copia del bonifico stesso direttamente al broker al fax n° 011/3299805 indicando nella descrizione la polizza sottoscritta e la mail dove ricevere modulistica ed istruzioni da parte del broker stesso.

In caso di denuncia di sinistro, che va effettuata on line nella sezione dedicata del sito
www.amintafisaccgil.com, è OBBLIGATORIO inviare comunque la documentazione cartacea ad Aminta S.r.l. Corso Correnti 58/A 10136 Torino, indicando sulla busta “Convenzione FISAC”.

Documentazione cartacea da inviare obbligatoriamente:

  • Fotocopia della carta di identità dell’assicurato;
  • Fotocopia del codice fiscale dell’assicurato;

Inoltre solo per i sinistri di RC AMMANCHI è necessario inviare:

  1. Dichiarazione in originale che confermi la mancanza di cassa e l’avvenuta refusione dell’assicurato, su carta intestata dell’Azienda di appartenenza, sottoscritta da un responsabile;
  2. Copia della nota d’addebito interno operata dall’istituto di Credito nei confronti del dipendente;
  3. Foglio cassa del giorno dell’ammanco
  4. Per gli ammanchi superiori ad euro 1.000,00 è obbligatorio indicare i presunti motivi che hanno determinato l’ammanco compilando un apposito modulo che verrà inviato all’assicurato.

Le nostre strutture aziendali o territoriali sono a disposizione per ogni necessità per eventuali richieste di chiarimenti