Una Auschwitz a 120 miglia dalle coste italiane

Quello che segue è un filmato duro da vedere, ma necessario perché rende difficile ignorare la realtà.

Si tratta di un estratto da un’intervista al prof. Massimo Del Bene, che all’Ospedale San Gerardo di Monza ricostruisce le mani distrutte dagli aguzzini dei lager libici ad esseri umani colpevoli solo di inseguire la speranza di una vita dignitosa.

Lo scopo di tutto questo? Costringere i familiari a privarsi dei loro esigui risparmi per pagare un riscatto che faccia finire le torture e consenta agli sventurati di imbarcarsi verso il miraggio di un futuro migliore.

E tutto questo avviene con il sostegno economico del nostro Governo, che si preoccupa solo di limitare le partenze, ma poi non vuole vedere quello che succede. Insomma, è il nostro modo di aiutarli a casa loro.

Agghiaccianti le dichiarazioni del dott. Del Bene (un destino nel nome):

Abbiamo una Aushwitz a 120 miglia dalle coste italiane. E quando si dice “Li riportiamo indietro” è come se uno che scappa da Aushwitz tu lo prendi e lo riporti indietro”.

E’ il Medioevo che entra nella nostra civiltà”




Invecchiamento e lavoro nel settore bancario

L’aumento dell’aspettativa di vita e il tasso di fertilità ridotto, con conseguente calo delle nascite, sono fra le cause che hanno indotto l’Italia, a fronte di una richiesta europea, ad attuare la riforma pensionistica del 2012, comportando un invecchiamento della forza lavoro senza precedenti.

Nel settore bancario si è verificata una situazione anomala rispetto alla maggior parte del mondo del lavoro, poiché l’innalzamento dell’età pensionistica derivante dalla riforma Fornero ha coinciso con i cambiamenti prodotti dalla digitalizzazione che hanno generato una riduzione della dimensione fisica del settore, con conseguente chiusura di sportelli, accorpamenti societari e forte riduzione del numero dei dipendenti: negli ultimi dieci anni si è registrata una diminuzione di oltre il 20% dei posti di lavoro, e attualmente gli addetti del comparto sono abbondantemente inferiori a 300.000 unità.

In Toscana, ad esempio, di 2.500 agenzie ne sono state chiuse 500, e da 31.500 lavoratori si è scesi sotto i 22.000 con una perdita, quindi, del 30% dei posti di lavoro.

Questi dati, frutto di tagli del costo del personale da parte delle aziende, non corrispondono all’effettivo calo delle richieste di servizi: il lavoro è stato ridistribuito sugli addetti con un carico pro capite eccessivo in termini di ritmi ed orari.

Il “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito” ha compensato solo in minima parte l’uscita dal mondo del lavoro del personale delle aziende chi vi hanno fatto ricorso con l’assunzione di giovani: un numero non superiore alle 20.000 unità, tutte avvenute col contributo del fondo bilaterale per l’occupazione (FOC), alimentato per giunta da tutti i lavoratori del comparto. Perciò, nonostante con l’accesso al fondo di cui sopra si sia di fatto anticipata di tre/cinque anni l’uscita dal settore, l’età dei bancari rimane molto elevata (47 anni di media ma con una percentuale molto alta di over 55).

Con l’età crescono esperienza e competenze ma diminuiscono le capacità funzionali, principalmente fisiche e sensoriali.

Fattori fondamentali di prevenzione sono un ambiente e un contesto lavorativo che possano garantire la giusta valorizzazione del patrimonio professionale e umano del lavoratore: occorre che l’invecchiamento attivo diventi per le banche un investimento primario, come d’altronde previsto dal decreto 81/08.

Nel settore bancario la forte spinta commerciale impressa dalle aziende – spesso a scapito della professionalità – ha generato fenomeni di elevato stress lavoro-correlato. Condizione, questa, emersa in modo molto piuttosto chiaro da una ricerca scientifica effettuata in Toscana su un campione significativo di lavoratori.

Le pressioni commerciali, la mobilità dovuta alla chiusura delle filiali, la digitalizzazione, gli eccessivi carichi di lavoro connessi all’invecchiamento espongono il lavoratore a determinati rischi psicosociali; come è stato rilevato tanto dalla ricerca scientifica di cui sopra quanto dall’analisi delle spese mediche detratte dalla dichiarazione dei redditi, l’uso di psicofarmaci presso gli addetti del settore è fenomeno ormai fortemente diffuso.

L’organizzazione mondiale della sanità ha recentemente incluso tra le sindromi da disagio lavorativo il burnout, i cui tre sintomi caratterizzanti sono:

– l’esaurimento fisico e mentale;
– il disamoramento crescente dal proprio lavoro;
– la ridotta efficienza.

A tale sindrome il lavoratore di età avanzata risulta essere maggiormente esposto, ma merita attenzione anche la questione di genere, poiché nelle donne il rischio di soffrirne è maggiore che negli uomini.

In Italia, per condizionamento culturale e/o per mancanza di servizi di supporto in tal senso, le lavoratrici sono coloro che, all’interno del proprio nucleo, avvertono più pesante il carico del lavoro familiare. Sarebbero necessari un riconoscimento del doppio lavoro e una politica di welfare sociale e aziendale che consentissero una flessibilità oraria, un lavoro agile, un riequilibrio dei tempi di vita e di lavoro, un part time con contribuzione piena ai fini pensionistici.

Gli Rls possono far inserire il parametro “età” nel documento di valutazione dei rischi e discutere dei processi organizzativi che potrebbero mettere in difficoltà il lavoratore anziano; a questo proposito è opportuno che gli RLS operino di concerto con le RSA e i coordinamenti aziendali al fine di stimolare una contrattazione che favorisca un invecchiamento lavorativo soddisfacente.

Le aziende bancarie devono intervenire sull’organizzazione affinché l’ambiente di lavoro consenta la giusta valorizzazione del patrimonio professionale e umano dei lavoratori e si crei sinergia tra l’efficienza dei lavoratori più giovani e l’esperienza dei più anziani, con l’obbiettivo di ridurre le patologie che, come già sottolineato, sono in costante incremento e sempre a carico della collettività.

 

Contributo di Patrizia Pieri del dipartimento nazionale
ad un seminario tenuto in Toscana con ASL Toscana Centro




Buoni pasto sempre meno accettati. Ecco perché

Nella guerra dei buoni pasto, alla fine vincono sempre gli stessi. E non è detto che sia sempre una cosa positiva. Almeno questo vale per il mercato dei ticket restaurant (che sostituiscono la mensa aziendale) dove, a spartirsi una torta da 3 miliardi di euro, tra pochissimi controlli, sono un paio di giganti stranieri e uno sparuto grappolo di aziende italiane che, almeno secondo i pubblici esercizi rappresentati dalla Fipe, sarebbero proprio i “cattivi”. Quelli che anno dopo anno continuano a proporre delle condizioni capestro che gli consentono di aumentare il giro d’affari obbligando, così, bar e ristoranti a sottostare a sconti sul valore del ticket sempre meno sostenibili per gli esercenti.

In altre parole – spiega la Fipe che rappresenta 80mila esercenti sui 300mila in tutta Italia – pochissimi gruppi si contendono i contratti migliori, quelli da milioni di clienti, battendosi fino all’ultimo con il maggior sconto al committente. Tanto poi possono rifarsi sugli esercenti, “ormai esasperati dalle commissioni passate dal 10% di due anni fa all’attuale 15%”, sottolinea la Fipe.

Non solo. I tempi di incasso sono lunghi. I titolari di locali, supermercati e ristoranti devono aspettare un mese per raccogliere un numero significativo di tagliandi, per poi spedirli al centro raccolta, fatturandoli. Ed attendere non meno di tre mesi per il pagamento di quanto incassato, che per alcuni buoni va ben oltre i tempi previsti. Con una conseguenza diretta: negozi e pubblici esercizi hanno deciso di non accettano più i buoni pasto, così come denuncia la Fipe che è tornata a farsi sentire forte in questi giorni, con la pubblicazione del nuovo bando Consip (la centrale acquisti della Pa) da 1,25 miliardi di euro, Iva esclusa, per l’aggiudicazione dei buoni pasto per 900mila dipendenti del pubblico impiego (compresi i poliziotti) per il 2020. Si tratta di 15 lotti che coprono tutte e 20 le Regioni italiane, con Lombardia (125 milioni di euro), Lazio (256 milioni) e Campania (188 milioni) a farla da padrone. “Chi vince i lotti regionali fa il colpo – spiega un esperto del settore – perché le amministrazioni centrali sono obbligate a utilizzare i suoi buoni pasto, mentre gli enti locali possono scegliere se aderire, e di solito lo fanno perché nessuno offre di meglio: si diventa monopolisti, con un potere enorme”.

Dall’estate del 2015, grazie alla legge di Stabilità, è stato ritoccato verso l’alto il tetto di esenzione (l’ultima modifica risale al 1998) con i buoni pasto concessi a dipendenti e collaboratori portati da 5,29 a 7 euro, ma soltanto per i ticket elettronici. “Ancora una volta il criterio di aggiudicazione è l’offerta economicamente più vantaggiosa. E, visto che l’ultimo bando, quello relativo all’anno in corso, è stato assegnato con uno sconto tra il 20 e il 21%, possiamo già anticipare che – spiega il vicepresidente di Fipe Aldo Cursano – questo meccanismo del massimo ribasso metterà a serio rischio la tenuta del sistema che non può reggere più, perché alla fine questi sconti sono scaricati sull’ultimo anello della catena, cioè i pubblici esercizi”. Insomma – tuona Cursano – “se si continueranno a imporre sconti insostenibili, siamo pronti a non riconoscere il valore dei buoni”.

È dal 2012 che i bandi vengono assegnati in base all’offerta economica più vantaggiosa, anche se Consip spiega che “la nuova gara è stata progettata nel pieno rispetto delle indicazioni previste dal Codice degli appalti” e che “la suddivisione in un ampio numero di lotti, coerentemente con le indicazioni del Garante per la Concorrenza e il Mercato, amplierà la partecipazione” delle società. Ma quali sono questi gruppi?

In un mercato dominato dai francesi (Accor, Sodexo, etc..) fino allo scorso anno è spiccato Qui! Group di Gregorio Fogliani che è riuscito in poco tempo a conquistare quasi tutti i colossi pubblici, dalle Ferrovie a Poste, passando per Eni, Enel, Bankitalia, Corte dei Conti, ministeri vari e la stessa Consip. Fino al crac dell’estate 2018. La sentenza di fallimento del tribunale di Genova, risalente allo scorso settembre, ha rilevato debiti da parte di Qui! Group per 326 milioni di euro. Debiti che hanno messo a rischio anche decine di aziende satellite che vivevano intorno al gruppo; alcune in questi mesi hanno già chiuso portando al licenziamento di centinaia di dipendenti oltre alla vendita di immobili.

Fogliani, che il mese scorso è stato arrestato nell’ambito del fallimento Qui! Group, nel 2016 si era aggiudicato per 388 milioni di euro i due lotti principali (su 7) del bando Consip da un miliardo di euro per la fornitura dei buoni pasto in 5 Regioni con un’offerta inferiore del quasi 20 per cento.

 

Articolo di Patrizia De Rubertis sul Fatto Quotidiano del 26/8/2019




È così che si difende la città?

Sulla pagina facebook del giornalista aquilano Gianfranco Cocciolone, noto volto delle reti televisive locali, è apparso ieri il post che riportiamo di seguito. Riteniamo opportuno parlarne, perché ci dà lo spunto per qualche importante riflessione di carattere generale.

Prima di tutto entriamo nel merito del post, che appare un attacco ai lavoratori totalmente privo di ragioni sensate. Esaminiamolo punto per punto.

  • Negli sportelli bancomat i soldi finiscono. E’ un dato di fatto. Finivano anche quando esistevano la Carispaq, la Tercas, la Banca Popolare della Marsica o tutte le altre banche che nel frattempo sono state incorporate. Trovare un bancomat vuoto è molto più probabile di lunedì mattina o nei periodi di festa (Ferragosto, tanto per fare un esempio).
  • Il caricamento del bancomat non può avvenire in orario di sportello, come può comprendere qualsiasi persona dotata di buon senso. Tenere aperte le casseforti, maneggiare decine di migliaia di euro durante il normale flusso di clientela sarebbe una follia, oltre ad essere severamente vietato dalle norme interne. L’alternativa sarebbe chiudere la filiale per una mezz’oretta per ricaricare il bancomat, ma in quel modo il disservizio creato sarebbe molto maggiore.
  • Esistono giorni in cui in banca c’è più fila. Il lunedì mattina, a esempio, oppure i giorni a ridosso di un ponte festivo. Si può trovare più fila nei periodi di ferie, visto che gli organici sono comprensibilmente ridotti. Lunedì 19 agosto è una data che presenta tutte le caratteristiche per giustificare un maggior affollamento: caratteristiche che accomunano tutte le banche, passate e presenti.
  • Alla Carispaq ci sarebbe stata meno fila? La filiale di cui si parla è preesistente all’arrivo di BPER. Quando era una filiale Carispaq aveva due casse; ora che è una filiale BPER ha due casse. Però alla Carispaq ci sarebbe stata probabilmente più fila per un motivo oggettivo: il numero di operazioni allo sportello nel corso degli anni si è notevolmente ridotto a seguito della crescente diffusione delle piattaforme home banking.

Un attacco del genere appare del tutto scollegato dalla realtà come ampiamente dimostrato: quindi perché farlo?
Per superficialità? Per guadagnare popolarità? Per la sindrome di “Sant’Agnese” che affligge in modo cronico la nostra città?

La BPER, aldilà delle comprensibili nostalgie per la Carispaq e per i bei tempi andati, resta una delle aziende private più grandi della nostra Provincia e della nostra Regione: una realtà occupazionale che dovrebbe essere tutelata. Attacchi del genere producono immancabilmente la stessa reazione: arriva qualcuno che dice“Allora chiudiamo tutto”.
Evidentemente anche un post su Facebook può contribuire alla perdita di posti di lavoro.

E da qui partiamo per una riflessione di portata più ampia, purtroppo molto amara.

Come FISAC L’Aquila stiamo denunciando da tempo il rischio di un abbandono della città da parte dei principali gruppi bancari, con conseguenze gravissime in termini di occupazione, ma soprattutto relativamente al sostegno alle imprese ed alle famiglie. Di seguito riportiamo i link ad alcuni degli articoli scritti riguardo a queste problematiche:

I grandi gruppi bancari se ne stanno andando via
Il ruolo delle banche nella Provincia dell’Aquila
Banche: in Abruzzo persi 736 posti in tre anni, male la Provincia dell’Aquila

La scomparsa delle piccole banche e il loro accorpamento da parte di Istituti di Credito di dimensioni medio-grandi rappresentano per il nostro settore una realtà alla quale non è possibile opporsi. Ciò per cui ci battiamo, giornalmente, è cercare di limitare le conseguenze di questi processi, impegnandoci a difesa di ogni singolo posto di lavoro, ogni singola filiale sul territorio.
Se le banche se ne vanno le conseguenze sono pesantissime: non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche perché l’economia locale, privata di un adeguato sostegno, è destinata ad impoverirsi pesantemente.

Si tratta di una questione che dovrebbe essere al centro dell’agenda politica, al centro del dibattito sui mezzi d’informazione; invece notiamo la totale indifferenza da parte della città, della cosiddetta società civile, delle istituzioni.

In altri territori abbiamo visto come i politici si mobilitino, come tutti facciano quadrato per impedire la chiusura di sportelli. Da noi si chiudono filiali, si smantellano uffici, si “razionalizzano” strutture presenti da anni in città, nella più totale indifferenza delle istituzioni, seppur ripetutamente sollecitate da noi e dalle altre Organizzazioni Sindacali.
La politica locale non sa, non vede, non capisce. In questo rappresenta adeguatamente una comunità che non sa, non vede e non capisce, convinta magari che l’allontanamento delle banche sia un problema che riguarda solo chi ci lavora. Si coglie anzi un certo compiacimento di fronte alle difficoltà di una categoria che continua ad essere vista come privilegiata, anche questo in virtù di convinzioni ormai lontane dalla realtà: provate a chiedere ad un neo-assunto quanto prende di stipendio, e quali pressioni deve subire come contropartita.

Per questo, un post come quello di Gianfranco Cocciolone sconcerta: perché arriva da chi, per il mestiere che fa, avrebbe il dovere di sapere, di vedere, di capire. Non è la prima volta che qualcuno cerca facile consenso in città attaccando in modo strumentale l’istituto bancario maggiormente presente, e già in passato la FISAC dell’Aquila ha ritenuto suo dovere intervenire a tutela dei lavoratori.

Ovviamente il signor Cocciolone, al pari di chiunque altro, è libero di manifestare le sue opinioni e le sue critiche: deve però essere consapevole che esprimendosi in modo così superficiale appare poco credibile quando si erge a paladino del territorio, diventando egli stesso una parte del problema.

Come scrive lo stesso Cocciolone in un altro post: “Quindi quando si dice L’Aquila dimenticata da TUTTI è vero? Che tristezza…!”

 




Dal Tribunale di Milano nuova bocciatura per il Jobs Act

“Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 5 agosto, ha rinviato alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la disciplina dei licenziamenti collettivi contenuta nell’articolo 10 del decreto legislativo n.23 del 2015, meglio conosciuto come Jobs Act. Il Tribunale di Milano, in particolare, evidenzia il sospetto di legittimità sul  regime sanzionatorio, cioè sull’esclusione della reintegra in caso di licenziamento collettivo. Con questo rinvio un  nuovo e importante pezzo della controriforma sui licenziamenti viene messo in discussione in un giudizio che vede in prima persona la presenza della Cgil intervenuta ad adiuvandum a sostegno di una lavoratrice”.

E’ quanto si legge in una nota congiunta della Cgil e Filcams nazionale.

“Il giudice milanese, in una controversia in cui sono parti costituite sia la Filcams che la Cgil, – sottolinea la nota – dovendo riconoscere in una medesima procedura di licenziamento collettivo la reintegra nel posto di lavoro solo ad alcuni lavoratori, escludendo una lavoratrice  che pure era stata licenziata illegittimamente, sospetta infatti la contrarietà del contratto a  tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act, rispetto ai principi fondamentali dell’unione europea che impongono una sanzione effettiva, adeguata e con carattere deterrente”.

“La vertenza – a parere della Cgil e della Filcams – è emblematica in quanto la lavoratrice, rispetto ai suoi colleghi tutti reintegrati, era l’unica a cui si applicava il Jobs Act, perché stabilizzata da tempo determinato a indeterminato dopo il 7 marzo. Con effetto paradossale evidentissimo. In particolare, secondo la richiesta di rinvio, sarebbero violati sia i principi di parità di trattamento e di non discriminazione contenuti nella direttiva europea 99/70, sia la tutela contro i licenziamenti illegittimi stabilita dagli artt. 20 e 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.

“L’ordinanza del Tribunale di Milano – aggiungono Cgil e Filcams – rappresenta la conferma della negatività di un provvedimento che esclude la reintegra anche per i licenziamenti collettivi. Un provvedimento contrario  oltre che ai principi costituzionali (già sancita dalla corte costituzionale nella sentenza n. 194/2018), anche a quelli stabiliti da norme sovranazionali. Siamo quindi di fronte ad un ulteriore passo in avanti nella messa in discussione del sistema di protezione contro i licenziamenti illegittimi costruito dal Governo Renzi nel 2015”.

“Esprimiamo quindi viva soddisfazione – concludono Cgil e Filcams– per questo pronunciamento che rafforza quanto da sempre sostenuto dalla nostra organizzazione”.

 

Fonte: CGIL




Consigli utili per filiali con organici ridotti (ma anche per le altre)

Una volta il problema si presentava solo durante i periodi di ferie. Oggi lavorare in condizioni di emergenza rappresenta la normalità, soprattutto a causa della “lungimiranza” dei grandi manager del settore che, incapaci di introdurre cambiamenti che portino ad un reale aumento della redditività, vedono da anni nel taglio degli organici e nei conseguenti sacrifici per chi resta in filiale la ricetta da riproporre all’infinito.

Le carenze di organico non devono portarci a lavorare in condizioni di scarsa sicurezza, o costringerci a rinunciare a diritti basilari.

Ricordiamoci che ogni qualvolta si verificano dei problemi, l’unico a pagare – a volte con la perdita del posto di lavoro – è l’operatore. 

Per questo riteniamo utile un breve ripasso delle normative, raccomandando di evitare quelle piccole violazioni che possono sembrare insignificanti, ma che portano chi le commette a correre dei rischi inutili ed ingiustificati.

  • PAUSA PRANZO
    Eʼ tassativamente vietato intrattenersi allʼinterno delle filiali durante la pausa pranzo, e quindi anche lavorare in questa fascia oraria.
    Si tratta di una norma spesso disattesa, ma è un comportamento che può avere conseguenze gravissime: in caso di contestazioni disciplinari le aziende considerano il fatto di aver lavorato durante la pausa pranzo, magari restando in filiale da soli, una prova della malafede dell’operatore che – a loro modo di vedere – voleva evidentemente porre in essere operazioni scorrette senza nessuno che lo controllasse.
    Diventa estremamente difficile, in queste circostanze, riuscire a difendersi da contestazioni disciplinari, anche se ingiuste o sproporzionate.
  • QUADRATURE DI CASSA
    I lavoratore che a seguito di un contratto contratto part-time o per permessi di varia natura (es. allattamento) svolge un servizio di sportello limitato all’orario mattutino, ha diritto, come previsto dal CCNL, a 30 minuti per la quadratura. Di conseguenza, se l’orario di uscita è previsto ad esempio alle ore 13,25, le operazioni di quadratura dovranno iniziare alle 12,55.
  • SOSTITUZIONE CASSIERI
    In caso di sostituzione – anche temporanea – dell’operatore di cassa, l’addetto subentrante deve verificare tutti i valori, comprese le monete e le mazzette già affascettate, insieme all’operatore cedente. In caso di assenza di quest’ultimo, la verifica va fatta con il responsabile o altro collega incaricato, con firma congiunta dello statino.
  • CARICAMENTO BANCOMAT
    Il bancomat va caricato esclusivamente a sportello chiuso. Il caricamento va effettuato di norma in due, a meno che non venga effettuato dallo stesso operatore che lo aveva fatto l’ultima volta.
    Qualora non ci fossero le condizioni per effettuare l’operazione in sicurezza, ad esempio a causa di un forte afflusso di clientela che impegna gli addetti anche oltre l’orario di chiusura, raccomandiamo di non effettuare il caricamento, segnalando tale impossibilità ai diretti superiori.
    Per nessun motivo il caricamento dovrà essere effettuato durante la pausa pranzo.
  • CHIAVI DEI MEZZI FORTI
    Le chiavi dei mezzi forti vanno custodite con la massima cura e trattenute personalmente al termine della giornata lavorativa.
    Non vanno lasciate in filiale
  • TEMPO DI PERCORRENZA
    Qualora venga richiesto di spostarsi in un’altra filiale nel corso della giornata, bisogna sempre segnalare l’assenza corrispondente con il tempo di percorrenza nelle procedure di Gestione Risorse.
    Il trasferimento non dovrà avvenire durante la pausa per il pranzo, che resta comunque un diritto irrinunciabile.

 

Rielaborazione di un comunicato della Fisac Banco BPM

 

 

 




Maggiore flessibilità per genitori e per chi assiste disabili

Maggiore flessibilità sul lavoro per genitori e chi assiste i disabili. Più tutele soprattutto per i padri in occasione della nascita di un figlio e modalità flessibili di lavoro per chi presta assistenza nei confronti di congiunti disabili. La direttiva Ue 2019/1158 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, in vigore da oggi, fissa un minimo comune denominatore per assicurare parità sul lavoro tra uomini e donne e per la conciliazione tra lavoro e vita familiare in tutti gli stati membri dell’Ue.

Il provvedimento abroga la precedente direttiva 2010/18/UE del Consiglio. Con l’obiettivo di contribuire al raggiungimento della parità di genere, promuovendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. E all’equa ripartizione delle responsabilità di assistenza familiare tra uomini e donne. I parlamenti nazionali, avranno, tre anni di tempo per allineare il corpo normativo nazionale ai nuovi principi (cioè entro il 2 agosto 2022).

Congedo di paternità

Il nostro paese ha già sviluppato un ampio tessuto normativo per equilibrare l’attività lavorativa con la tutela della maternità/paternità. E dell’assistenza ai congiunti in condizione di disabilità – anche in esito alla recente riforma del Jobs Act – per cui gran parte delle prescrizioni sono già rispettate dalla legislazione interna. Ciò nonostante ci sono, comunque, almeno un paio di aspetti che dovranno essere recepiti dal nostro legislatore.

In particolare la direttiva fissa il diritto per i padri ad un congedo di paternità di almeno dieci giorni. Sempre e comunque, in occasione della nascita di un figlio. Agli stati è data facoltà di stabilire se il congedo possa essere fruito parzialmente anche prima della nascita del figlio. O se soltanto dopo la nascita e se possa essere fruito anche con modalità flessibili e prescinde dall’entità o dalla presenza di anzianità contributiva.

Nel nostro paese il congedo di paternità – da fruire a prescindere dal periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alla madre – è un istituto che si è sviluppato recentemente. E, quindi, la sua durata risulta attualmente ancora inferiore a quella “minima” fissata dalla direttiva Ue. Vale a dire cinque giorni di congedo obbligatori per i figli nati nell’anno 2019 più uno facoltativo.

La direttiva, inoltre, fissa il principio che il congedo di paternità sia retribuito (nel nostro paese già lo sono) garantendo un reddito almeno equivalente a quello che il lavoratore interessato otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo suo stato di salute, entro i limiti di un eventuale massimale stabilito dal diritto nazionale.

Gli Stati membri possono subordinare il diritto a un pagamento o un’indennità a periodi di occupazione precedente. Che non devono essere superiori a sei mesi immediatamente prima della data prevista per la nascita del figlio.

Esteso il lavoro flessibile

Altra misura obbligatoria richiesta dalla direttiva è riconoscimento del diritto, ai lavoratori con figli di età non inferiore a otto anni. E dei prestatori di assistenza di chiedere orari di lavoro flessibili per motivi di assistenza. Per «modalità di lavoro flessibili» si intende l’adattamento dell’organizzazione della vita professionale, anche mediante l’uso del lavoro a distanza, di calendari di lavoro flessibili o di una riduzione dell’orario di lavoro. Il nuovo diritto può essere subordinato a una determinata anzianità lavorativa o di servizio non superiore a sei mesi.

I datori di lavoro dovranno prendere in considerazione le richieste di modalità di lavoro flessibili. E rispondere entro un periodo di tempo ragionevole alla luce sia delle proprie esigenze. Sia di quelle del lavoratore motivando l’eventuale rifiuto di una tale richiesta o l’eventuale richiesta di rinvio. Anche in questo caso all’Italia sarà richiesto un intervento di adeguamento della normativa interna che solo recentemente, con la legge 81/2017 poi modificata dalla legge 145/2018, ha visto l’introduzione del cd. lavoro agile riservando una corsia preferenziale alle lavoratrici madri e a chi presta attività di assistenza ai disabili.

La direttiva, inoltre, impone agli Stati membri di adottare misure necessarie per vietare licenziamenti discriminatori. Cioè causati dalla domanda o dalla fruizione del congedo di maternità/paternità, del congedo parentale, del congedo per assistere disabili. O dall’esercizio del diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili ribaltando, tra l’altro, l’onere della prova delle ragioni del licenziamento dal lato del datore di lavoro.

 

Fonte: www.lentepubblica.it

 

 




MPS: filiali cash light

Si è concluso lo scorso 6 agosto il confronto sull’estensione del cosiddetto modello “Cash Light”. Per ulteriori 220 Filiali l’operatività del servizio di cassa si svolgerà solo in orario mattutino a decorrere dal prossimo 2 settembre.

Abbiamo chiesto ed ottenuto che, per queste e per le precedenti 232 filiali già operanti in modalità cash light, la chiusura al pubblico della cassa e della Filiale avvenga 45 minuti prima della fine dell’orario di lavoro antimeridiano, in luogo dei trenta minuti attualmente previsti, per consentire l’attenta e puntuale effettuazione delle quadrature di cassa, ATM evoluti e Bancomat. Il tutto a beneficio di adempimenti che – lo ricordiamo – devono essere svolti nella totale sicurezza e nel rispetto delle regole aziendali.
La chiusura al pubblico pomeridiana sarà posticipata come per le precedenti Filiali Cash Light, con l’impegno aziendale di prevedere un lasso tempo di almeno 15 minuti intercorrente tra la chiusura al pubblico (orario di sportello) e il termine dell’orario di lavoro.

Abbiamo altresì condiviso che gli operatori di sportello, nel pomeriggio, svolgano attività a supporto della programmazione commerciale della Filiale purché accompagnati da idonei percorsi formativi.

Siena, 7 agosto 2019

Le Segreterie

 




MPS: accordo per la chiusura di 100 sportelli

Nei giorni scorsi è stato firmato unitariamente l’accordo sulla “Razionalizzazione della Rete Filiali”, così come previsto dal Piano di Ristrutturazione 2017-2021, per la chiusura di ulteriori 100 sportelli.

I Dipartimenti Risorse Umane di Area Territoriale effettueranno i colloqui individuali con tutti i Colleghi delle filiali in chiusura, che saranno riallocati prioritariamente nelle filiali incorporanti.
Nell’ipotesi di mobilità territoriale, come previsto anche per le precedenti chiusure, l’Azienda terrà in considerazione le domande di trasferimento in essere e le esigenze dei Colleghi coinvolti; per i casi in cui si dovesse verificare mobilità professionale – e nei processi di riqualificazione che potranno esserci a seguito del recupero di 185 risorse stimato dalle funzioni aziendali – saranno tenute in considerazione professionalità acquisite e competenze possedute.

Come OO.SS. abbiamo richiesto all’Azienda di tenere in dovuta considerazione le eventuali posizioni di particolare disagio che dovessero verificarsi a seguito delle chiusure previste così come fatto nelle precedenti operazioni della stessa natura.
La data dello spin off è prevista dalla Banca nel week-end del 19 e 20 ottobre p.v. e la chiusura, eventualmente previa trasformazione in sportelli avanzati senza autonomia contabile, avverrà in date da stabilire secondo le esigenze operative e commerciali della singola filiale.

L’Azienda effettuerà gli incontri, preventivi e specifici, con le RSA competenti, mentre a livello centrale, a richiesta di una delle parti, potrà avvenire la verifica dell’andamento del progetto, con particolare riferimento alle Risorse coinvolte.

Siena, 08 agosto 2018

LE SEGRETERIE

 




ISP: pressioni commerciali persino sulla beneficenza!

Purtroppo, a breve distanza dal precedente volantino, dobbiamo ritornare sull’argomento delle pressioni commerciali, per stigmatizzare l’ennesimo comportamento dei capi area riguardo al cosiddetto “for funding”.

Questi geni sono riusciti a trasformare l’occasione di fare beneficienza in una gara a chi versa di più, perché “Barrese e Monceri ci hanno messo la faccia, hanno preso l’impegno” e quindi dovete contribuire.
In pratica hanno stabilito un budget anche per la beneficienza (si parla di 20.000 euro), fanno a gara a chi raccoglie di più, immaginiamo per fare bella figura, e, ripetutamente e con insistenza, fanno pressioni per raccogliere fondi attraverso i direttori di filiale.
A noi sembra un comportamento surreale: da sempre, come OO.SS e come privati cittadini, abbiamo sostenuto volontariamente varie associazioni ma farlo in questi termini ci sembra assurdo.
Come un re Mida al contrario, riescono a rovinare ogni cosa che toccano…

Vorremmo tornare un attimo su alcuni argomenti affrontati l’ultima volta.
Vogliamo ricordare a tutti i colleghi che le normative vanno seguite e che, a forza di correre dietro i Pifferai di Hamelin che ci promettono mari e monti laddove riuscissimo ad ottenere certi risultati, i rischi possono essere alti.
Ribadiamo che nessuno è mai stato punito per non aver raggiunto il budget mentre molti hanno perso il lavoro per non aver seguito le regole.

Comunque, la cosa che ha fatto più notizia è il fatto che una sigla sindacale non ha voluto sottoscrivere la circolare. Noi l’abbiamo contattata in fase di scrittura del volantino ma il diniego ci è pervenuto con un messaggio WhatsApp che non ammetteva repliche.
La cosa in effetti ci ha sorpreso e ci ha ricordato un loro comunicato di qualche tempo indietro sui comportamenti da tenere durante la giornata lavorativa che a molti era sembrato un po’ troppo filo-aziendale. Ma si tratta di sensibilità personali, può accadere che in certi posti si possano percepiresensazioni diverse da quelle che hanno i colleghi in filiale. Riguardo ai tanto decantati premi, c’è da dire che i risultati alla fine sono stati molto deludenti.

Molte filiali quest’anno hanno ottenuto ottimi risultati raggiungendo il budget quindi superando il fatidico 100 del PVR ma non hanno ottenuto riconoscimenti economici in quanto la banca non ha raggiunto il risultato previsto.
Stendiamo un velo pietoso sulle “mancette” erogate dai capi area ad alcuni fortunati; l’arbitrarietà, la mancanza di trasparenza e anche l’esiguità dei premi, se possibile hanno reso la delusione ancora più forte sia per chi li ha ricevute sia per quelli rimasti esclusi.
Per cui, ancora una volta, pochi hanno preso poco e tanti niente.

Comunque, per chi ancora non avesse capito noi abbiamo iniziato adesso ma non abbiamo finito e non abbiamo intenzione di finire.

Viterbo 06/08/2019

R.S.A aree Viterbo e Cimina
Fabi – Fisac Cgil – Unisin