BNL: Assegno Funerario INPS. Cos’è, come fare, a chi inviare domanda.

Si ricorda a tutti i colleghi che si pensionano, specialmente i molti che prossimamente lasceranno il servizio con la campagna uscite “quota 100 e opz. donna”, che se assunti entro il 24.07.1992 possono mantenere il diritto al cosiddetto “assegno funerario INPS”.
La domanda deve essere presentata dall’ex dipendente all’INPS direttamente (o per il tramite dell’Associazione Nazionale Pensionati BNL) entro un mese dalla cessazione dal servizio (pena perdita del diritto)

La domanda può essere presentata tramite CAF/Patronato o rivolgendosi al servizio di contact center dell’Inps.

Può essere altresì inoltrata in modalità telematica, secondo le indicazioni contenute nella Circolare INPS n. 42 del 2013, tramite codice PIN personale. La facoltà di presentare domanda è estesa sia ai dipendenti che cessano dal servizio per dimissioni, sia a coloro che aderiscono al Fondo di Solidarietà ABI. L’onere relativo alla prosecuzione volontaria che, in costanza di rapporto di lavoro è obbligatoriamente versato dall’Azienda, deve essere assunto a totale carico dell’ex dipendente ed è pari allo 0,12% dell’importo annuo lordo del trattamento pensionistico complessivo. Ai pensionati la quota annuale viene trattenuta annualmente sul rateo di pensione del mese di settembre; gli esodati invece devono provvedere annualmente a versare tale quota entro il 30/09 tramite F24.

Per i colleghi che volessero assistenza c’è a disposizione l’Associazione Pensionati BNL rintracciabile via mail: [email protected] oppure ai numeri 06 / 47032460 e 02 / 80249612 (lun.mer.ven mattina)

Il cosiddetto “assegno funerario”, la cui esatta denominazione è “assicurazione sociale vita” è un trattamento assistenziale gestito dall’inps (ex inpdap e enpdep) e comporta per l’azienda il versamento di un contributo complessivo pari allo 0,12% della retribuzione imponibile Inps (di cui 0,027% trattenuto al dipendente). Riguarda i soli dipendenti assunti prima della trasformazione di Bnl da ente di credito di diritto pubblico in società per azioni, avvenuta il 24/07/1992, quindi interessa tutti i dipendenti in servizio a tale data, obbligatoriamente iscritti presso l’Inps anche a tale categoria di prestazione.

A fronte del suddetto contributo, l’inps eroga:

  • in caso di morte dell’iscritto con persone di famiglia a carico, 1 mensilità lorda della retribuzione imponibile inps del deceduto per ogni persona a carico con un minimo di 2 mensilità a favore degli eredi. Il coniuge/unito civilmente, anche se separato o divorziato purché non passato a nuove nozze (o unione civile), è considerato sempre a carico anche se svolge attività lavorativa;
  • in caso di morte dell’iscritto senza persone di famiglia a carico, 1 mensilità lorda della retribuzione imponibile inps del deceduto a favore di altro familiare o della persona che ha sostenuto le spese funerarie;
  • in caso di morte del coniuge/unito civilmente, a favore del dipendente 1 mensilità lorda della sua retribuzione imponibile inps;
  • in caso di morte di altro componente della famiglia a carico dell’iscritto, a favore del dipendente mezza mensilità lorda della sua retribuzione imponibile inps.

I destinatari della prestazione sono quindi:

  • il dipendente;
  • il coniuge/unito civilmente superstite;
  • in mancanza del coniuge/unito civilmente, in parti uguali i figli a carico e, ove minorenni, il loro legale rappresentante;
  • in mancanza del coniuge/unito civilmente e dei figli, spetta ai genitori e, in mancanza di questi, ai fratelli a carico;
  • chi ha sostenuto le spese funerarie nel caso in cui l’iscritto non abbia familiari a carico al momento del decesso.

La circolare Inps n.104/2014 che regolamenta la materia stabilisce che devono considerarsi a carico e beneficiari:

  • coniuge/unito civilmente, anche se separato o divorziato, purché non passato a nuove nozze (o unione civile);
  • figli, affiliati e figliastri, celibi o nubili, minorenni o permanentemente inabili al lavoro;
  • figli maggiorenni fino al 21° anno di età se studenti di scuola media superiore e gli studenti universitari per il corso legale di studi e, comunque, non oltre il 26° anno di età;
  • fratelli e sorelle, celibi o nubili, minorenni o permanentemente inabili al lavoro;
  • genitori conviventi, inabili al lavoro ovvero con età superiore a quella pensionabile, che non posseggono redditi superiori al limite previsto ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari. Nel caso di esistenza in vita di entrambi i genitori, si tiene in considerazione il reddito di ambedue.

Modalità di erogazione

Entro dieci mesi dal verificarsi dell’evento luttuoso il dipendente o altro beneficiario deve presentare domanda di liquidazione della prestazione.
La domanda all’inps per l’erogazione dell’importo deve essere inoltrata direttamente dal richiedente in via telematica o avvalendosi di un caf/patronato.

Roma, 10/06/2019

 

Segreterie di Coordinamento Nazionale Gruppo BNL

FABI           FIRST/CISL           FISAC/CGIL           UILCA           UNISIN




34 miliardi spariti: il Tfr “espropriato” dallo Stato

“Vorrei l’ultima relazione sull’uso delle somme del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto istituito dalla legge 296/2006 (commi 755 ss.). Potreste cortesemente inviarmela?”.

La domanda dev’essere stata posta all’interlocutore sbagliato. Il ministero del Tesoro, infatti non si ritiene competente in materia: “La richiesta va fatta all’Inps e al Ministero del Lavoro”, è l’asciutta risposta di un portavoce.

Peccato che neanche al dicastero guidato da Luigi Di Maio ne sappiano nulla.
“I dati da lei richiesti sono in possesso dell’Inps”, rispondono.
Bingo? No, all’istituto di previdenza presieduto da Pasquale Tridico suggeriscono “di rivolgersi per competenza al ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione a quanto previsto dalla legge 296/2006”.

Conclusione: nessuno sa che fine abbiano fatto i quasi 35 miliardi di euro che l’Inps ha girato allo Stato dal 2007 al 2017 attingendoli dal Fondo di Tesoreria. Quello dove le imprese private con oltre 50 dipendenti sono obbligate a versare le quote di Tfr dei lavoratori che non hanno scelto di depositare il proprio trattamento di fine rapporto in fondi pensione.

Il flusso medio al lordo delle prestazioni erogate, per intenderci, è di oltre 5 miliardi l’anno. Denaro che aveva dei precisi vincoli di investimento. Sia qualitativi che quantitativi. E i ministeri interessati, così come l’Inps sono già stati messi in guardia dalla Corte dei Conti che, in una dettagliata relazione del marzo 2011, aveva espresso severi giudizi e grandi timori sui rischi di un uso sconsiderato di queste grosse quantità di soldi, parlando tra il resto di “prelievo forzoso” ai danni delle imprese private, di “tassa occulta” e di rischio di squilibri per i conti dello Stato a carico delle generazioni future e a danno dei lavoratori veri proprietari dei soldi.

Nelle intenzioni del legislatore, lo Stato avrebbe dovuto utilizzare i Tfr depositati per stimolare crescita e occupazione, finanziando infrastrutture attraverso fondi per favorire la crescita o aziende pubbliche come Anas e Ferrovie dello Stato, con precisi tetti di spesa per ogni voce. Ma cosa sia poi successo, non si sa.
Nonostante la legge prevedesse anche l’obbligo, per il ministero del Tesoro e quello del Lavoro, di presentare al Parlamento una relazione dettagliata sulla consistenza e l’utilizzo del Fondo entro il 30 settembre di ogni anno. Gli ultimi ad affrontare la questione in modo analitico sono stati appunto i magistrati contabili, che nel 2011 hanno dedicato un’intera deliberazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato proprio all’utilizzo del Tfr depositato dalle imprese presso l’Inps.

 

L’alt dei giudici contabili: “È un prelievo forzoso”

“La Corte sottolinea il pericolo derivante dall’utilizzazione del fondo per mere finalità di provvista finanziaria: detta pratica potrebbe pregiudicare i futuri equilibri di bilancio e creare problemi di equità intergenerazionale a danno dei futuri contribuenti e percettori dei servizi”, si legge nel documento, che paventa “il concreto rischio di far ricadere sulle future generazioni il possibile sbilanciamento economico del sistema, che non potrà essere colmato, se non attraverso l’inasprimento delle aliquote contributive o del prelievo fiscale”. L’anno prima, la magistratura contabile aveva rilevato come tra il 2007 e il 2009 il Ministero dell’Interno avesse utilizzato il denaro raccolto per finanziare la spesa corrente, pagando con il Tfr dei lavoratori gli oneri di ammortamenti dei mutui per i comuni dissestati, la gratuità dei libri di testo e la spesa per i lavoratori socialmente utili dei Comuni di Napoli e Palermo e della Provincia di Napoli. Voci che “non corrispondevano alle finalità delle norme in tema di utilizzazione del Tfr”.
Dall’incidente con il Viminale, poi chiuso, a questioni di rilevanza ancora maggiore, il passo è stato breve. Nella sua ricognizione la Corte dei Conti è infatti giunta presto al nocciolo: “L’Amministrazione statale non sta predisponendo alcun meccanismo di reintegrazione del fondo Tfr gestito dall’Inps, in relazione alle somme già prelevate per il triennio 2007-2009 e per quelle dell’anno in corso. Anzi, il contestato meccanismo risulta confermato almeno fino allo scadere del decennio dalla sua introduzione: a fronte delle somme ad oggi prelevate, pari a 15,86 miliardi di euro, sono previsti introiti di analoga natura fino a raggiungere, a tale scadenza, i 30 miliardi complessivi”.

 

Giulio Tremonti spende, poi cambia la norma

In pratica il dicastero all’epoca guidato da Giulio Tremonti riteneva di poter continuare, almeno fino al 2017, a finanziare i conti pubblici attingendo a fondo perduto dal denaro dei lavoratori depositato temporaneamente presso l’Inps, senza prevedere dei meccanismi di restituzione nel tempo, meno che mai con gli interessi. Anzi, in seguito alle rimostranze della magistratura contabile circa l’uso dei fondi non a norma, è stata la norma ad essere modificata, non l’usanza, con la possibilità di utilizzare il Tfr depositato presso l’Inps anche per sostenere l’equilibrio della gestione sanitaria. Da qui la pesante accusa dei magistrati contabili secondo i quali un “simile prelievo, senza il correlato onere di ricostituzione del fondo, costituisce una operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti delle categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”. Per di più basato su “dati statistici elementari”. Che al contrario, se confermati, dovrebbero “servire a garantire le categorie interessate, attraverso un migliore rendimento di quello attualmente fissato dalla legge. Non vi è nessuna norma in grado di giustificare una utilizzazione delle somme prelevate diversa dalle finalità per le quali datori di lavoro e prestatori le conferiscono”.
In altre parole, è il ragionamento, visto che il denaro non è dello Stato ma dei lavoratori o delle aziende, i suoi frutti dovrebbero andare ai lavoratori e alle aziende, non allo Stato. Che per di più se ne serve senza preoccuparsi di doverlo restituire. Purtroppo poi, “il trend economico-finanziario affermato non appare comunque attendibile e sussistono buone ragioni per prevedere esiti molto diversi rispetto a tale previsione”.

 

Nessuna rendicontazione: l’opacità della politica

Il conto rischia di essere ancora più salato: “La carenza dei dati istruttori e la sottovalutazione di importanti fattori di criticità è idonea a creare squilibri nel tempo, dei quali potrebbero fare le spese i futuri contribuenti e percettori delle prestazioni”, tuonava la Corte. I magistrati quindi fin dal 2011 contestavano “l’assenza di analitica individuazione delle partite di spesa finalizzate con il Tfr”, completando “il criticato percorso di prelievo e utilizzazione della risorsa a scopo di riequilibrio del bilancio statale”, con un “deficit di trasparenza nell’utilizzazione delle risorse”.
Non solo. “Si può fin d’ora precisare che alle suddette problematiche, sollevate da questa Corte sulla base di incontrovertibili elementi obiettivi, non è stata data adeguata risposta, anzi le risultanze della presente indagine hanno posto in luce questioni e disfunzioni ancor più complesse di quelle precedentemente accertate”. Mentre “allo stato degli atti si deve ragionevolmente dedurre che a partire dal 2010 questi fondi serviranno semplicemente a finanziare il bilancio confondendosi con le altre entrate correnti dello Stato”.

Viste le risposte ricevute, impossibile verificare come sia andata davvero. Quel che è certo è che l’Inps ha continuato a girare allo Stato gli accantonamenti per il Tfr non utilizzati per coprire le prestazioni, per un totale che a fine 2016 superava i 30 miliardi stimati dal Tesoro di Tremonti. Delle relazioni però non c’è traccia come sottolinea il professor Francesco Vallacqua, docente di Economia e gestione delle Assicurazioni vita e dei fondi pensione presso l’Università Bocconi di Milano. “Vorrei un’analitica descrizione di dove sono andati a finire ogni anno i circa 5 miliardi di euro che dovevano servire per finanziare le infrastrutture come previsto dalla legge 296/06 – spiega a Il Fatto Quotidiano – Mi andrebbe bene anche se, legittimamente, qualcuno istituzionalmente indicasse che c’erano esigenze più contingenti di spesa corrente e che i soldi sono stati utilizzati per altro. Però aboliamo quella legge che dice che vanno da un’altra parte, altrimenti rimane una norma non rispettata. Intanto sarebbe interessante leggere le relazioni dei vari ministri del Lavoro sul tema”. Peccato che al ministero non ne sappiano niente.

 

Articolo di Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani su “Il Fatto Quotidiano” del 10/6/2019




Il ruolo delle banche nella Provincia dell’Aquila

La prenderò un po’ alla larga, partendo dal Medioevo; è quello il periodo in cui nascono le prime banche.

Proviamo ad immaginare la situazione preesistente.
Da una parte c’era il mercante con i suoi sacchetti pieni di monete d’oro, che venivano rinchiusi in un forziere e giacevano lì.
Dall’altra il giovane, dotato magari di grandi capacità, che avrebbe voluto aprire una piccola bottega artigiana ma, non disponendo della modesta somma necessaria per avviare l’attività, restava condannato ad una vita di miseria. In queste condizioni il ciclo economico era totalmente bloccato.
L’idea fu quella di creare un soggetto che facesse da intermediario: raccoglieva gli incassi del mercante, impegnandosi alla restituzione e al pagamento di un interesse, e concedeva in prestito al giovane artigiano la somma di cui aveva bisogno.
Una funzione indispensabile, che però al giorno d’oggi le banche hanno sempre meno voglia di svolgere.

Proviamo a capire i motivi.

Pensiamo alla concessione di un mutuo. L’istruttoria richiede diverse ore di lavoro; la somma prestata rientrerà in almeno 20 anni, con un guadagno del 2%, ammesso che il debitore riesca ad onorare l’impegno.
E’ molto più semplice vendere una polizza assicurativa: un quarto d’ora di lavoro, incasso immediato della commissione, nessun bisogno di rischiare il proprio patrimonio.

In questo senso le normative europee non sono di grande aiuto.
Le banche oggi sono sottoposte a vincoli molto rigidi per la concessione del credito. Il più importante è di natura patrimoniale: gli Istituti di credito sono tenuti a rispettare il coefficiente di solvibilità, cioè la quantità minima di capitale necessaria per svolgere attività creditizia.
Per dirla in parole semplici: si tratta di un rapporto che ha al numeratore il patrimonio della banca e al denominatore il totale degli impieghi, ponderati a seconda della loro rischiosità. Questo significa che un prestito fatto ad un debitore in difficoltà pesa in modo maggiore rispetto ad un prestito con un andamento regolare.
È una norma studiata per impedire il default delle aziende di credito, ma che di fatto ha avuto l’effetto di estromettere dal mercato le piccole banche, che non riescono a raggiungere il livello di patrimonializzazione necessario

Nel futuro degli istituti di credito dovremo aspettarci la progressiva scomparsa anche delle banche di dimensioni medie, con l’attività creditizia concentrata tra pochi grandi Istituti, e lo spostamento sempre maggiore verso il comparto assicurativo.

Non è un caso se non esistono più banche con sede in Abruzzo, fatte salve alcune piccole BCC alle quali finora le rigide normative europee non si applicavano. La situazione cambierà a breve, visto che con la riforma le BCC sono confluite obbligatoriamente all’interno di 2 Holding: in sostanza le attuali Banche di Credito Cooperativo rischiano di diventare filiali di grandi banche, soggette alle stesse regole ed ai medesimi vincoli degli altri istituti di credito, perdendo la loro tipicità. Per scongiurare questa eventualità, l’auspicio è che siano introdotti criteri di progressività per differenziare gli obblighi organizzativi e di vigilanza a carico dei singoli istituti in base alle loro dimensioni

Altro pesante adempimento a carico delle banche è rappresentato dagli accantonamenti a copertura dei crediti, il cui ammontare va peraltro a decurtare il patrimonio considerato ai fini del calcolo del coefficiente di solvibilità. Per ogni euro prestato le Banche devono accantonare una somma per garantirsi dal rischio di insolvenza, il cui ammontare varia dallo 0,50% per i crediti più sani, fino ad arrivare alla copertura integrale per quelli più difficili da recuperare.
Le ultime normative, da poco entrate in vigore, imporranno nuovi obblighi ed investimenti: le Banche saranno tenute ad ulteriori accantonamenti, arrivando progressivamente alla copertura integrale di tutti i crediti deteriorati.

In questa situazione le Banche si trovano pressoché costrette a svendere i crediti problematici, i cosidetti Non Performing Loans (e a volte assieme ai crediti vengono svenduti anche i lavoratori addetti alle attività di recupero), pur di liberare capitale e poter continuare ad operare. La percentuale stimata di recupero di un credito a sofferenza è intorno al 30%: i prezzi di vendita sono di molto inferiori.
Decisive, in questo senso, furono le scelte fatte in occasione della risoluzione delle 4 banche liquidate nel 2015. In quell’occasione si stabilì di valutare gli NPL al 17% del valore nominale, di fatto fissando quello da allora è stato considerato il loro valore di mercato. Di recente abbiamo visto vendere gli NPL anche al 10%, tanto era forte la necessità di liberare capitale: un enorme affare per chi compra, un danno pesante per le prospettive di redditività di chi vende.

Faccio un piccolo riepilogo: nel valutare una richiesta di credito una banca sa di rischiare, nel caso il debitore non riesca ad adempiere puntualmente, di dover destinare a quel prestito una somma doppia di quella effettivamente concessa, quindi con un minor introito in termini d’interessi. Inoltre, quel maggiore accantonamento comporterà un peggioramento del coefficiente di solvibilità, con l’eventualità di dover cedere quel credito ad un prezzo irrisorio.
In queste condizioni non sorprende il fatto che una banca non se la senta di scommettere su una nuova attività e finanziare un progetto di start-up. Per assurdo, il piccolo artigiano medievale che avevo inizialmente citato come esempio aveva maggiori possibilità di essere finanziato. E su questo qualche riflessione dovremmo farla.

Veniamo al nostro territorio.
Nel settore bancario l’occupazione è in forte calo. Tra il 2010 ed il 2018 il numero degli addetti è sceso mediamente dell’1,6% annuo a livello nazionale.

In provincia dell’Aquila la perdita di posti di lavoro viaggia ad un ritmo più che doppio rispetto alla media nazionale: nel periodo evidenziato (ho scelto di partire dal 2010 in quanto andare più indietro sarebbe stato poco significativo alla luce del sisma del 2009) l’occupazione bancaria cala del 3,3% annuo, segno di un progressivo disimpegno da parte dei grandi istituti rispetto al nostro territorio. Stiamo parlando di oltre 320 posti di lavoro persi.

Più o meno di pari passo procede la chiusura delle filiali: nel periodo interessato, in Provincia ne sono state chiuse 62 su un totale di 314.
Fra le tante considerazioni possibili, mi limito a farne una: in un territorio come il nostro la scelta di chiudere “la banca” in un centro montano diventa un ulteriore incentivo allo spopolamento.

A corollario di tutto ciò che ho detto finora, vediamo i dati sugli affidamenti alle imprese, che nel periodo esaminato evidenziano un calo complessivo superiore al 24%. Le piccole imprese sono le più penalizzate, con una riduzione di circa il 28%.

Di fatto si innesca un circolo vizioso: in un territorio in cui il numero di aziende attive diminuisce si riduce il credito alle imprese, ma la riduzione del credito alle imprese riduce il numero di aziende attive.

Ultimo dato. La provincia dell’Aquila è una provincia virtuosa per quanto riguarda la capacità di risparmio. La media di depositi pro-capite ammonta a € 20.946, appena al disotto della media nazionale ma al terzo posto in tutto il centro-sud dopo Roma e Avellino.
Questo dato è importante, perché ci permette di affermare che nel nostro territorio le banche prendono più di quello che danno: sono interessate a raccogliere soldi, ma non sono altrettanto interessate a ricambiare, vista la scarsa attenzione all’occupazione ed al sostegno alle imprese.

Avviandomi alla conclusione del mio intervento, consentitemi alcune riflessioni da rappresentante CGIL.

C’è un fatto evidente: gli istituti di credito si stanno allontanando da famiglie ed imprese, sia fisicamente con la riduzione degli sportelli, sia organizzativamente attraverso la progressiva eliminazione dei rapporti interpersonali e la loro sostituzione con algoritmi.
Ricordiamoci che ridurre le filiali significa tagliare fuori – non solo dal credito ma dai servizi bancari in genere – intere fasce di popolazione che per età, cultura e barriere linguistiche (pensiamo ai tanti residenti che provengono da altri Paesi), difficilmente possono usufruire a pieno di banche digitalizzate.

Investire nel territorio dovrebbe essere un dovere di ogni imprenditore: non per beneficenza, ma perché è impensabile che un’azienda possa prosperare se il contesto in cui opera si impoverisce. D’altro canto, investire in un territorio comporta la voglia di scommettere, di rischiare, di aspettare anni per raccogliere i frutti.
Tutto questo appare difficile nella società attuale, in cui la logica che si va affermando è quella del “Prima noi!” : “America first”, “Prima gli Italiani”, “Prima le regioni più ricche”, “Prima Pescara”, “Prima L’Aquila” e così via. Un mondo che non conosce più il concetto di collettività o di interesse comune.
Per quanto riguarda le Banche il motto è “Prima gli azionisti”. I manager devono portare risultati immediati, quindi non c’è tempo né voglia di investire sul futuro. Bisogna fare utili consistenti qui e ora, utili dei quali non beneficieranno i lavoratori che hanno contribuito a produrli, sempre più considerati come una spesa da tagliare, ma esclusivamente il capitale, che nelle nuove tecnologie sta vedendo realizzarsi il sogno di riprodursi autonomamente, senza la necessità di condividere i frutti.

Dovremmo interrogarci sulle conseguenze politiche e sociali di queste scelte. Si dice spesso che non ci si può opporre alle leggi dell’economia, e chi pensa di farlo è antico.

Provo a rispondere con le parole di Franklin Roosevelt, presidente che ebbe il merito di portare gli Stati Uniti fuori dalla grande depressione degli anni ’30:

Dobbiamo comprendere che le leggi economiche non sono fatte dalla natura. Sono fatte da esseri umani.”

 

Intervento di Luca Copersini, Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila, al convegno    “L’Aquila e l’Abruzzo dentro l’Euro. Il ruolo della moneta unica e dei Trattati nella crisi economica e sociale della regione”,    svoltosi l’8 giugno 2019.




Come Salvini usa mezze verità per raccontare intere balle

Una delle caratteristiche fondamentali dell’Era della Narrazione è che il discorso politico è cambiato. Da Renzi a Di Maio si può osservare un filo conduttore inaugurato, ça va sans dire, da Silvio e portato attualmente al parossismo da Salvini.

Il filo conduttore è che i discorsi politici hanno una loro coerenza interna che però va in crisi non appena viene messa a confronto con la realtà dei fatti. Un piccolo esempio può essere costituito dal discorso con cui il Capitano ha rivendicato la vittoria alle elezioni europee. Leggiamo un brano tratto dalla pagina facebook di Salvini:

“Oggi ho riunito i responsabili economici della Lega per fare il punto sulla flat tax per le famiglie e per le imprese, con costi assolutamente inferiori della metà all’aumento del debito pubblico ogni anno figlio del non far nulla.
E quindi incontreremo domani il ministro dell’Economia per coordinare la risposta all’Europa perché l’Europa manda lettere, richiami, infrazioni, vincoli, mi sembra però che sia cambiato il mondo”. […] Gli italiani con il voto di domenica, ma non solo gli italiani, anche i francesi, gli inglesi, i tedeschi, i finlandesi, hanno chiesto di fare bene ed investire su lavoro, opere pubbliche, giovani, crescita”.

Di che parla Salvini? Notate che il Capitano divide il mondo in nero e bianco e buoni e cattivi. Da una parte ci sono i cattivi che rompono le palle con i vincoli e dall’altra quelli che con il voto di domenica vogliono il lavoro. Ma chi sono questi? Il voto del 26 maggio, a voler essere precisi, ha sancito che i sovranisti sono circa un settimo dell’europarlamento e che non sono decisivi per la formazione della maggioranza che voterà la nuova Commissione Europea.

Salvini questo non lo dice perché non gli conviene. In compenso sostiene che gli elettori europei “hanno chiesto di fare bene ed investire su lavoro, opere pubbliche, giovani, crescita”. Perché, c’è qualcuno che invece vuole distruggere le opere pubbliche, uccidere i giovani, segare la crescita? No. Però a Salvini conviene che qualcuno creda che ci sia per costruire il suo discorso insensato di buon senso. Che raggiunge vette di comicità involontaria nella frase successiva:

Quindi rispettosamente, senza fare casini, confusioni, picchiare i pugni sui tavoli come diceva Renzi che poi il tavolo non lo trovava neanche, però ricostruire un’Europa come comunità di donne e di uomini, come unione di popoli che mettono al centro il lavoro, la crescita, il benessere, il futuro, lo sviluppo, rivedendo da persone perbene e di buonsenso dei vincoli vecchi e delle regole vecchie che bloccano questa possibilità di investire, di crescere, di sperare. E quindi grazie perché cercheremo di usare al meglio il vostro consenso”.

Secondo Salvini quindi ci sono vincoli vecchi che vanno superati. Il che è un’opinione rispettabile. Ma i fatti invece cosa dicono? I fatti dicono che quando ha scritto la Manovra del Popolo Salvini ha detto sì ai vincoli UE. Il primo grande atto legislativo a cui ha partecipato il suo partito ha rispettato i vincoli europei che a parole Salvini dice di voler superare. Non è strano?

E c’è qualcosa di ancora più strano: Salvini dice che gli investimenti sono importanti, ma la Manovra del Popolo cosa ha fatto sul punto? Li ha diminuiti per il 2019 di circa un miliardo. Certo, voi direte: li ha diminuiti perché l’ha costretto l’Europa. Falso. L’Europa gli ha permesso di spendere in deficit e la sua maggioranza ha deciso di usare i soldi per quota 100 e reddito di cittadinanza. Ma allora Salvini adesso pensa di poter spendere di più in deficit dopo le elezioni europee? Falso anche questo, perché il suo gruppo, nonostante il suo grande risultato, le elezioni le ha perse. E allora cosa sta dicendo di preciso? La verità? Niente. Ma lo sta dicendo benissimo.

 

Fonte: www.michelesantoro.it

 




Assegni per il nucleo familiare (ANF) 2019

Con la Circolare numero n. 45 del 22 marzo 2019, che riportiamo in calce, l’INPS ha fornito le nuove modalità di presentazione della domanda che, per i lavoratori dipendenti di aziende attive del settore privato non agricolo, dovrà essere inoltrata esclusivamente all’INPS ed in via telematica (in precedenza veniva presentata al datore di lavoro utilizzando il modello “ANF/DIP SR16”).

Si trasmettono in allegato anche le nuove tabelle delle fasce di reddito per l’erogazione degli assegni familiari valide per il periodo 1° luglio 2019 –  30 giugno 2020.

Assegni per il nucleo familiare: 

Di cosa si tratta
L’ANF è un sostegno economico per le famiglie dei lavoratori dipendenti ed i pensionati che viene erogato su richiesta annuale del lavoratore in via telematica all’INPS
 
Chi ha diritto alla corresponsione dell’assegno ed in quale misura
NB:  si raccomanda di verificare sempre la propria situazione familiare rispetto alle tabelle e non dare per scontato che non si ha diritto alla corresponsione dell’ANF
Il diritto e la misura dell’assegno dipendono dal numero dei componenti, dalle caratteristiche e dal reddito del nucleo familiare.
Per avere diritto alla corresponsione occorre che almeno il 70% del reddito familiare derivi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente.
Il reddito da prendere a riferimento è cumulativamente quello del richiedente e quelli di tutti gli altri componenti del nucleo familiare validi ai fini IRPEF dell’anno precedente.
Alla formazione del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura, compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva se superiori ad € 1.032,92 (ad esempio gli interessi maturati su depositi, titoli ecc.).
Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e le anticipazioni sui trattamenti stessi, nonché l’assegno del nucleo familiare stesso.
L’attestazione del reddito del nucleo familiare è effettuata con autocertificazione (all’interno della procedura di presentazione della domanda)
***
Per l’erogazione dell’assegno, in presenza ovviamente dei prescritti requisiti, si dovrà fare riferimento al reddito familiare complessivo dell’anno 2018 ed alle relative tabelle INPS.
Composizione del nucleo familiare ai fini dell’ANF
  • il richiedente lavoratore o il titolare della pensione;
  • il coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, anche se non convivente, o che non abbia abbandonato la famiglia. Gli stranieri residenti in Italia, poligami nel loro paese, possono includere nel proprio nucleo familiare solo la prima moglie, se residente in Italia;
  • i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno;
  • i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati, previa autorizzazione da parte dell’INPS;
  • i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di “nuclei numerosi”, cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni, previa autorizzazione da parte dell’INPS;
  • i fratelli, le sorelle del richiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell’ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo se sono orfani di entrambi i genitori, non hanno conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non sono coniugati, previa autorizzazione da parte dell’INPS;
  • i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni e viventi a carico dell’ascendente, previa autorizzazione da parte dell’INPS.
Termini di presentazione della domanda
Dal 1° luglio di ogni anno in via telematica all’Inps a valere per il periodo 1° luglio dell’anno corrente fino al 30 giugno dell’anno successivo.
***
Nel caso in cui negli anni passati non si sia presentata domanda per l’ANF e se ne aveva diritto, è possibile recuperare fino a 5 anni di arretrati inserendo sul portale INPS le relative domande per ogni anno. Ogni domanda deve essere debitamente compilata con i dati relativi al nucleo familiare ed ai redditi conseguiti nell’anno solare precedente il 1° luglio di ogni anno di riferimento.
Chi paga l’ANF
L’assegno viene erogato in busta paga.
E’ tuttavia possibile richiederne il pagamento in favore del coniuge che non ha un rapporto di lavoro o non è titolare di pensione.
Casi particolari
  • In caso di variazione del nucleo familiare cambiano i parametri di riferimento per il calcolo e l’erogazione dell’assegno ed è necessario quindi segnalare la variazione all’INPS.
  • Per il personale a part time l’assegno spetta in misura intera se l’orario di lavoro non è inferiore alle 24 ore settimanali; in caso contrario, vengono riconosciuti tanti assegni quante sono le giornate di lavoro svolte, indipendentemente dal numero delle ore di lavoro nella giornata

La FISAC-CGIL in azienda e gli uffici del patronato INCA CGIL della tua città sono a disposizione per verificare la singola posizione e fornire consulenza e supporto per la presentazione telematica della domanda.
Contatta quindi il tuo rappresentante sindacale Fisac-CGIL in azienda o rivolgiti
ad un  PATRONATO INCA CGIL (http://www.inca.it/DoveSiamo/Italia.aspx) per
effettuare la domanda in via telematica
 
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In allegato:

Scarica il volantino: FisacInforma – ANF 2019


 




BPER: inaugurata all’Aquila la nuova sede dell’Agenzia 1

Una filiale innovativa, open space, dotata di un bancomat “intelligente”, collegata a un’app che consente di prenotare il proprio turno in banca prima di uscire di casa.

Taglio del nastro, ieri, per l’Agenzia 1 della Bper, prima del sisma ubicata all’interno del tribunale (e poi spostata in via Vicentini) che ha riaperto i battenti in via XX Settembre. Un’inaugurazione molto partecipata, a cui hanno preso parte imprenditori, politici e clienti storici dell’istituto di credito considerato da sempre “la banca del territorio”. Ruolo sottolineato dal responsabile della direzione territoriale adriatica Bper, Guido Serafini: «La nuova filiale, che torna un po’ in quella che era l’ubicazione originaria, è stata concepita con una proiezione innovativa del rapporto con la clientela. La prima, di questa tipologia, all’Aquila. Siamo orgogliosi anche di questo aspetto: aver portato il nuovo modello distributivo in città, a segnare un rinnovato interesse della nostra presenza. Ulteriore evidenza di questo interesse è la prosecuzione dei lavori sulla sede storica dell’ex Cassa di risparmio, in corso Vittorio Emanuele che verrà inaugurata a primavera 2020».

L’innovazione parte dagli spazi «che annullano la distanza tra cliente e operatore», ha detto Massimo Salutari, direttore di filiale, alla possibilità di accedere a un computer, in attesa del proprio turno, con un’accoglienza iniziale e la distribuzione di un “gettone”, un piccolo apparecchio elettronico denominato Beeper, che al momento opportuno vibra per indicare il turno. «Una fila virtuale», spiega Salutari, «con il cliente che può muoversi all’interno della filiale, chiedere informazioni, leggere il giornale, andare in rete durante l’attesa o procedere a versamenti e altre operazioni tramite il bancomat intelligente». Novità assoluta, l’app che permette di prenotare il turno da casa.

«È sempre bello quando un pezzetto di città torna a rivivere come lo era prima», il commento del vicesindaco, Raffaele Daniele.

 

Fonte: www.ilcentro.it




Questa è la parata che ci piacerebbe vedere

Prima o poi qualcuno dovrà spiegarcelo.

Qualcuno dovrà spiegarci perché la “Festa della Repubblica”,  ricordata domenica scorsa con la consueta parata, sia diventata una festa militare.

Qualcuno dovrà spiegarci perché una ricorrenza nata dopo la guerra, che dovrebbe celebrare la voglia di un intero popolo di voltare pagina dimenticando chi di quella guerra era stato corresponsabile, debba invece servire a celebrare chi di mestiere fa proprio quello: la guerra.

Qualcuno dovrà spiegarci perché una dichiarazione banale, perfino doverosa da parte del Presidente della Camera, che ricorda come questa giornata sia un’occasione per unire tutti gli Italiani a prescindere dalle loro origini, fornisca il pretesto alle “squallide figure che attraversano il Paese” (cit.) per rubarci questa giornata, appropriarsene e trasformarle nell’ennesima occasione di propaganda, sfruttando l’ignoranza e la scarsa intelligenza dei loro followers.

Nell’attesa che qualcuno si degni di fornirci le risposte, godiamoci l’utopistica reinterpretazione che Stefano Disegni ha dato della parata del 2 giugno. Questa è la parata che ci piacerebbe vedere.

 

 




BPER: un rapido ripasso per ricordare come funziona l’MBO

L’MBO è sicuramente dell’argomento che sta monopolizzando i discorsi dei lavoratori BPER in questo periodo.

Pur ribadendo che si tratta di un sistema premiante gestito in modo totalmente unilaterale dall’azienda, senza la condivisione delle OO.SS. che anzi hanno a più riprese manifestato fortissime critiche, riteniamo opportuno riproporre i post esplicativi pubblicati lo scorso anno a cura della FISAC L’Aquila e della FISAC Gruppo BPER per un rapido ripasso.

https://www.fisaccgilaq.it/banche/bper/bper-come-si-calcola-lmbo.html

https://www.fisaccgilaq.it/banche/bper/bper-facciamo-chiarezza-sullmbo.html




Unicredit: tre progetti pilota per carico e scarico ATM

In data 16 maggio 2019 si è svolto l’incontro tra le OO.SS. e l’Azienda durante il quale il responsabile del Self –Service –Banking ha illustrato il “progetto pilota”, che partirà il 27 maggio, relativo alla gestione del carico/scarico dei bancomat.

Tale progetto prevede una sperimentazione che si attuerà secondo tre modalità differenti di intervento:

a) Per tutte le filiali fino a tre unità (circa 600) verrà derogata, ma non sostituita, l’attuale normativa che prevede la necessità della presenza di due colleghi, dando la possibilità ad un solo operatore di effettuare la gestione di carico/scarico degli ATM negli orari attualmente previsti; le filiali interessate riceveranno una comunicazione formale a tal proposito.

b) Su circa 120 filiali da quattro unità in su, ove è presente il sistema di videosorveglianza SIS, si sperimenterà un’altra modalità che contempla due diverse opzioni. La prima prevede che il caricamento/scaricamento degli ATM sia effettuato da parte di due lavoratori in pausa pranzo, riprogrammando la loro pausa tra le 12 e le 14:50, previo accordo col Direttore. La seconda, invece, prevede che i colleghi possano caricare l‘ ATM in pausa pranzo (limitando la pausa a 30 minuti) e poi anticipare l’uscita, utilizzando il permesso DIV, sempre d’accordo col Direttore. L’azienda intende sperimentare entrambe le modalità, al fine di verificarne l’efficacia.

c) Nelle filiali dotate di safe box (circa 300), si potrà derogare alla normativa che impone di non caricare due ATM contemporaneamente e che debbano passare 60 minuti tra un caricamento e l’altro. Si potrà, pertanto, operare consecutivamente su tutti gli ATM, contemporaneamente su due e in qualunque momento della giornata. Poi si prevede che su altre 80 filiali delle stesse dimensioni, ma prive di safe box, si possa operare a fine giornata, a sportello chiuso, su tutti gli ATM consecutivamente e fino a due ATM contemporaneamente. Le due modalità, ove possibile, potranno coesistere nella stessa agenzia. Ulteriori 80 filiali sprovviste di safe box potranno operare in contemporanea su due ATM solamente a sportello chiuso.

La sperimentazione durerà almeno tre o quattro mesi e le filiali interessate riceveranno un vademecum snello dedicato, con istruzioni operative.

Il numero degli ATM presenti in rete attualmente è di circa 5.800. La loro età media è scesa da 3,7 a 3,4 anni. Entro il 2019 l’azienda sostituirà gli ATM operativi h24 (quelli fronte strada) “non recycling” residui, che sono circa 200, con i nuovi modelli più evoluti.

Nelle filiali piccole stanno inoltre sostituendo con una sola macchina evoluta fronte strada sia l’ATM interno (che si usa soprattutto per versamenti) che quello esterno (che si usa soprattutto per prelevamenti) eliminando un aggravio di lavoro per i colleghi.

Nel medesimo incontro ci è stato illustrato un ulteriore nuovo progetto di gestione in remoto della negoziazione degli assegni versati su ATM, che attualmente sta interessando 9 filiali. La remotizzazione farà sì che la prima parte dei controlli venga effettuata direttamente dall’ ATM, mentre la regolarità formale del titolo verrà verificata dai colleghi del back office, presso il presidio operativo. I consulenti, in filiale, dovranno soltanto prelevare gli assegni dall’ATM e consegnarli al service.

Costatiamo come finalmente, dopo anni di continue segnalazioni da parte delle Organizzazioni Sindacali, l’Azienda abbia preso atto dell’esistenza di questa importante problematica, resa ancora più seria dalle sempre più gravi carenze di personale sulla rete operativa.

Abbiamo fatto presente, però, le nostre perplessità in merito al fatto che le operazioni di carico/scarico ATM vengano effettuate da un solo collega: rimaniamo convinti del fatto che sia necessario far svolgere tali delicati compiti da due operatori, come prevede l’attuale normativa.

Poiché la tematica potrebbe avere importanti ricadute a proposito della sicurezza dei Colleghi e delle Colleghe, abbiamo ribadito all’ Azienda che nel monitoraggio delle iniziative “pilota” illustrate venga posta la massima attenzione al tema della salute e sicurezza.

Riteniamo che questo possa essere un primo passo verso la risoluzione delle annose problematiche connesse al carico/scarico ATM, ma sarà necessario un monitoraggio, tempo per tempo, al fine di verificare l’efficacia delle sperimentazioni individuate, prima di estenderle alla totalità delle Filiali. Altrimenti sarà necessario apportare i correttivi adeguati affinché le soluzioni individuate non si trasformino in problemi ulteriori.

 

Fabi First/Cisl Fisac/Cgil Uilca Unisin
Segreterie di Coordinamento UniCredit Spa

 

Scarica il volantino




AdER: premio incentivante e di produttività per il 2018

In data odierna la delegazione aziendale ha rappresentato alle Segreterie Sindacali irisultati a consuntivo del sistema incentivante relativo all’anno 2018.

Gli obiettivi generali sono stati raggiunti:

  • per il 94,7% per l’area strategica della riscossione, che incideva nella misura del 60% del totale del premio;
  • per il 100% sia per l’area strategica dell’efficienza che per quella dei servizi (entrambe incidono ciascuna nella misura del 20% rispetto al valore complessivo del premio).

Per la determinazione degli importi da erogare si terrà anche conto degli obiettivi specifici assegnati ai diversi territori. Pertanto, i risultati, nel loro insieme comporteranno:

  • l’erogazione del 91% del premio per i colleghi dell’Emilia-Romagna, che ha raggiunto il 100% dell’obiettivo regionale della riscossione;
  • un premio decurtato del 20% per le regioni Calabria, Campania e Molise, le quali non hanno conseguito il proprio obiettivo;
  • un premio proporzionato al livello di raggiungimento dell’obiettivo di riscossione assegnato per tutte le altre realtà.

Rispetto alla comunicazione della delegazione aziendale i rappresentanti sindacali hanno denunciato la negativa incidenza della mole del contenzioso, che ha determinato il mancato raggiungimento degli obiettivi di riscossione in alcune regioni penalizzando anche colleghi destinati a questa attività con sede di lavoro diversa. Al riguardo, con riferimento al sistema incentivante 2019 è stato proposto di individuare obiettivi specifici, svincolati dalla riscossione regionale, per tutti i colleghi adibiti al contenzioso. È stato inoltre chiesto che gli obiettivi assegnati alle regioni maggiormente oberate da tale attività tengano conto degli organici effettivi di tali territori al netto del personale adibito ad essa.

Il sistema incentivante sarà erogato con la mensilità di giugno. Con la stessa mensilità verrà anche posto in pagamento il premio di produttività che anche quest’anno potrà godere del trattamento fiscale agevolato previsto dalla legge.

Informiamo infine i colleghi che il bando di gara per il rinnovo della polizza sanitaria per i prossimi anni verrà pubblicato a breve.

Roma, 5 giugno 2019 ​​​

 

Le Segreterie Nazionali

FABI               FIRST/CISL               FISAC/CGIL               UILCA