Ma davvero la CGIL è contro i lavoratori? Facciamo un po’ di fact checking

In questi giorni sembra che il Movimento 5 Stelle abbia finalmente trovato i suoi nemici giurati: Landini e la CGIL, colpevoli di opporsi a tutti i provvedimenti favorevoli ai lavoratori ed ai meno abbienti varati dal Governo.

Quota 100, reddito di cittadinanza, salario minimo, Decreto Dignità: la CGIL si oppone a tutto, quindi è dalla parte del potere e contro i più deboli.

Peccato che le cose stiano in modo molto diverso, e che sia estremamente facile verificarlo.

La CGIL ha infatti messo nero su bianco tutte le sue proposte per migliorare il mondo del lavoro (e non solo).
Il documento più importante è una proposta di legge che da oltre tre anni giace in Parlamento e che nessuno, tantomeno i 5 Stelle, ha voluto discuterla, salvo poi trarne ispirazione – come vedremo – per scrivere il Decreto Dignità.
Stiamo parlando della Carta dei Diritti Universali del Lavoro.

Altro documento ufficiale della CGIL è “Il Lavoro è” votato a larghissima maggioranza dal Congresso Nazionale svoltosi nel mese di gennaio di quest’anno. Anche questo rappresenta un elenco di proposte e di richieste alla politica.

A questo punto faremo un’operazione molto semplice: andiamo a vedere cosa chiede la CGIL sui singoli argomenti, cos’ha fatto (o vuole fare) il Governo, e perché Landini o la Camusso hanno criticato i provvedimenti.

 

QUOTA 100

Cosa chiede la CGIL:
Pensionamento per tutti a partire dai 62 anni, e comunque limite massimo di 41 anni di contributi per accedere alla pensione anticipata (Documento congressuale “Il Lavoro è” – pag. 4 e 5).
I soldi per pagare le pensioni arriverebbero dalla tassazione dei grandi patrimoni.
Un modo per superare davvero la Legge Fornero, in modo equo e solidale.

Cos’ha fatto il Governo:
Pensionamento anticipato solo per alcuni, cioè quelli che nel triennio 2019-2021 avranno almeno 62 anni d’età e 38 di contributi. Alla fine del 2021 Quota 100 non ci sarà più, quindi chi maturerà dopo non potrà beneficiarne.
Una piccola parte delle coperture è stata ottenuta con il taglio della rivalutazione delle pensioni: cioè le pensioni aumentano in misura inferiore all’aumento dei prezzi, quindi pur risultando aumentate hanno un potere d’acquisto minore.
Altri fondi sono stati ottenuti tagliando investimenti già programmati, e quindi penalizzando la crescita dei prossimi anni.
Gran parte del provvedimento è stato finanziato aumentando il debito pubblico: quindi prima o poi qualcuno dovrà pagarlo.
Ricapitolando: un provvedimento per pochi ma non per tutti, di breve durata e non strutturale, che alla fine sarà pagato non da chi ha di più, ma dai pensionati e dai meno abbienti, più esposti al taglio dei servizi sociali.

Cos’ha detto la CGIL
“Quota 100 ci indebita drammaticamente di 53 miliardi per i prossimi due anni. Non ha priorità né risorse per gli investimenti del 2019, anzi paralizza quelli in essere e cancella le prospettive almeno per il 2020 e il 2021”
Susanna Camusso, congresso Nazionale CGIL 23/01/2019

 

REDDITO DI CITTADINANZA

Cosa chiede la CGIL
Reddito di garanzia e continuità.  Garanzia di sostegno ai giovani in cerca di prima occupazione ed ai lavoratori che, pur avendo perso il lavoro, non beneficiano di ammortizzatori sociali, e continuità per chi lavora in modo precario in modo da avere redditi tra un contratto e l’altro. (Documento congressuale “Il Lavoro è” – pag. 4)
Perno del sistema è l’obbligo di attivare percorsi formativi o di riqualificazione che possano favorire l’occupazione. E’ fondamentale investire in politiche attive per creare posti di lavoro.
I sindacati hanno a più riprese chiesto di essere convocati dal Ministro del Lavoro per studiare insieme misure che favoriscano l’occupazione, senza ricevere risposte.
Per farla breve: un provvedimento che deve avere durata limitata, il cui scopo sia quello di restituire il lavoro in tempi brevi, tutelando nel frattempo chi non sta lavorando.

Cos’ha fatto il Governo:
Apparentemente il Reddito di Cittadinanza va nella stessa direzione auspicata dalla CGIL. Il problema è che, nel tentativo (peraltro del tutto fallito) di guadagnare voti in vista delle operazioni europee, il provvedimento è stato varato in tutta fretta senza prima provvedere alla riorganizzazione degli Uffici del Lavoro, rendendolo niente di più che un sussidio di povertà totalmente sganciato dall’occupazione.
Emblematico il fatto che per l’assunzione dei navigator, che saranno precari ed entreranno in servizio senza sapere esattamente cosa dovranno fare (e non è un caso che alcune Regioni, che dovrebbero accollarsene il costo, abbiano già dichiarato di non volerli), siano stati preventivamente mandati a casa altri precari, quelli del’ANPAL.
Ricapitolando: il Reddito di Cittadinanza, se finalizzato ad accompagnare i beneficiari a rientrare rapidamente nel mondo del lavoro, può diventare un investimento che a lungo andare si ripaga da solo. Così com’è è solo un sussidio, una spesa secca che va a gravare ulteriormente sul debito pubblico. E anche di questo qualcuno dovrà prima o poi farsi carico.

Cos’ha detto la CGIL
“Reddito di cittadinanza e quota 100 sono fatti a capocchia. Non stiamo criticando il fatto che si cerca di lottare contro la povertà. Non stiamo dicendo che non si deve fare il reddito di cittadinanza ma stiamo criticando come si sta facendo”
Maurizio Landini, “Mezz’ora in più” Rai3 27/01/2019

 

SALARIO MINIMO ORARIO

Cosa chiede la CGIL
Molti non sanno che i Contratti Collettivi firmati tra Sindacati ed Associazioni di Categoria non sono validi per tutti, ma solo per gli iscritti. Questo a causa dell’Art. 39 della Costituzione, che prevede la validità estesa a tutti i lavoratori solo dopo aver realizzato alcuni specifici provvedimenti normativi: da oltre 70 anni – non a caso – la politica si è sottratta a questo adempimento, e non ci risulta che l’attuale Ministro del Lavoro abbia mai mostrato di voler chiudere il vuoto normativo.
Per i lavoratori il problema viene ovviato al momento dell’assunzione, quando l’azienda fa firmare il contratto di lavoro individuale che prevede il rimando al CCNL di categoria. Per le aziende, la situazione si presta a comportamenti opportunistici: basta uscire dall’Associazione di Categoria e non c’è più l’obbligo di applicare il contratto. Può farsene uno ad hoc, come fece la FIAT nel 2011, o può addirittura crearsi una nuova Associazione di Categoria farlocca, con tanto di contratto firmato da sindacati fasulli costituiti per l’occasione: in quel caso si parla di contratti pirata.
La richiesta della CGIL è chiara: attuare finalmente l’articolo 39 della Costituzione in modo da estendere le tutele – e non solo il salario – previste dai Contratti Collettivi a tutti i lavoratori, eliminando le ingiuste discriminazioni attuali (Carta dei Diritti Universali del Lavoro, art. 28).

Cosa vuole fare il Governo
La proposta prevede un salario minimo orario di € 9, da riconoscere a tutti i lavoratori che lavorano in aziende che non applicano Contratti Collettivi o che prevedano retribuzioni inferiori.
Sulle criticità di un intervento così concepito ci siamo già espressi in modo approfondito in un precedente articolo; ci limitiamo a riepilogare brevemente perché potrebbe essere devastante.
Lo stipendio è un aspetto importante per un lavoratore, ma la piena tutela ne prevede molti altri: diritto alla malattia, alla formazione, agli avanzamenti di carriera, alla maternità, alle ferie, ecc….. Anche dal punto di vista economico, chi lavora sotto la copertura di un Contratto Collettivo non prende mai il minimo beneficiando di indennità, di incentivi, di retribuzione di straordinari e così via.
Ridurre la tutela dei lavoratori al pagamento di una quota oraria minima rappresenterebbe una fortissima tentazione per le aziende: potrebbero uscire dalle Associazioni di Categoria, non applicare più il Contratto Nazionale, pagare magari qualcosa di più ma liberarsi di tutte quelle “fastidiose” norme a tutela dei lavoratori. E la tentazione diventerebbe pressoché irresistibile per le aziende che attualmente applicano un contratto che prevede un salario orario superiore ai 9 euro: uscendo dall’Associazione di Categoria avrebbero tutto da guadagnare.
Ricordiamoci che il sistema di salario minimo esiste quasi in tutta Europa, ma all’estero la diffusione della Contrattazione collettiva è molto minore che in Italia.
Ricapitolando: eliminare le disparità di trattamento tra i lavoratori è un obiettivo prioritario della CGIL. Esiste lo strumento per farlo, ed è il completamento di un percorso avviato nel 1948 con la Costituzione. Uno strumento che darebbe davvero piena tutela a tutti i lavoratori.
Una legge fatta in modo superficiale, come quella proposta dai 5 Stelle, rischia di avere come risultato l’aumento di stipendio per un numero limitato di lavoratori, ma anche una drastica riduzione di diritti (e di retribuzione) per milioni di lavoratori che ad oggi sono maggiormente tutelati.

Cosa dice la CGIL
“Il salario minimo in Italia già oggi è coperto dai contratti nazionali, il tema è coprire i lavoratori che non lo sono ma dandogli tutti i diritti che sono sanciti dai contratti nazionali. Si recepiscano gli accordi fatti da Cgil, Cisl e Uil con le controparti, perché bisogna dare validità erga omnes ai contratti nazionali di lavoro, così da rendere ‘minimi’ tutti i diritti come le ferie, la malattia, gli infortuni e non solo il salario orario di un lavoratore.
Noi lanciamo una proposta concreta al governo, perché se si facesse un semplice salario orario che fosse medio ed inferiore ai contratti nazionali, si farebbe non una cosa utile, ma un danno”
Maurizio Landini, intervista a “Il Fatto Quotidiano” 11/03/2019

 

DECRETO DIGNITA’

Cosa chiede la CGIL
– Per i contratti a tempo determinato, fermo restando il limite di durata di 36 mesi, è possibile rinnovare il contratto un numero imprecisato di volte. Ogni rinnovo deve essere giustificato con una causale (Carta dei Diritti Universali del Lavoro, art. 52).
– In caso di licenziamento dichiarato illegittimo dal Giudice, l’azienda sarà tenuta a reintegrare il lavoratore, anche se presenta un numero di dipendenti inferiori a 15. (Carta dei Diritti Universali del Lavoro, art. 83).

Cos’ha fatto il Governo
– Per i contratti a tempo determinato la durata massima viene ridotta a 24 mesi, con un massimo di 4 rinnovi (In questo caso il Governo è andato anche oltre le richieste della CGIL).
I rinnovi devono essere giustificati da una causale (richiesta CGIL accolta).
In caso di licenziamento illegittimo, e solo per le aziende con oltre 15 dipendenti, gli indennizzi previsti dal Jobs Act vengono maggiorati del 50% (provvedimento molto blando, peraltro in contraddizione con la promessa elettorale di ripristinare il reintegro)
Ricapitolando: il Decreto dignità, pur se in modo insufficiente, va nella direzione indicata dalla CGIL. Che infatti ha sempre espresso giudizi moderatamente positivi.

Che cosa dice la CGIL
“Il decreto dignità dà un primo segnale positivo. Naturalmente non sufficienti perché  la precarietà si combatte riscrivendo tutte le leggi sbagliate che sono state fatte in questi anni sia nel Job Act sia prima. Allo stesso tempo il precariato si combatte anche attraverso una politica industriale che faccia ripartire gli investimenti e crei lavoro. Mancano segnali sia sugli ammortizzatori sociali sia per quanto riguarda la reintegra in caso di licenziamento illegittimo. E poi c’è un problema di arrivare a un nuovo statuto che tuteli sia i lavoratori dipendenti classici che le nuove forme di lavoro autonomo.”

Maurizio Landini, intervista del 9/07/2018

 

Il Movimento 5 Stelle ha basato la sua ascesa sulla capacità di accreditarsi come “nuovo“. Scelte come una perenne campagna elettorale con lancio di insulti ed accuse infondate a chi viene individuato come “nemico”, o come il varo di leggi frettolose ed incomplete pur di guadagnare consenso, o la ricerca del nemico da dare in pasto agli elettori, o l’attacco a testa bassa ai Sindacati, di nuovo non hanno proprio nulla.

La sensazione è che quella che avrebbe potuto davvero rappresentare una boccata d’aria fresca per la politica italiana si stia rivelando la più grossa delusione degli ultimi decenni.

 




Banca d’Italia: rallenta la crescita in Abruzzo

Lunedì scorso è stato presentato il rapporto della Banca d’Italia sull’andamento dell’economia abruzzese.

Dipinge uno scenario di luci e ombre: se il Pil dell’Abruzzo, nel 2018, è stimato in crescita, sebbene di mezzo punto percentuale, è vero anche che c’è stato un rallentamento di circa un terzo dell’espansione rispetto all’anno precedente. L’attività produttiva si è indebolita, in particolare, nell’industria e nel terziario. Il fatturato delle imprese industriali è lievemente diminuito in termini reali; risultati migliori sono stati conseguiti dalle aziende con maggiore propensione all’export, grazie alla crescita degli scambi con l’estero. Le esportazioni sono aumentate del 3.9%, trainate principalmente dall’aumento delle vendite di mezzi di trasporto. La spesa per investimenti ha registrato un contenuto incremento.

Ad illustrare il rapporto sono stati Dealma Fronzi, da qualche settimana a capo della filiale regionale dell’Aquila della Banca d’Italia, Valter Di Giacinto e Alessandro Tosoni, che si sono occupati dell’analisi sull’economia territoriale. Hanno spiegato che il settore delle costruzioni, in particolare, ha beneficiato della ripresa delle compravendite immobiliari e dei bandi per l’esecuzione di lavori pubblici. Nell’ultimo decennio, è stato significativo il contributo all’attività edilizia fornito dai lavori di ricostruzione post sisma nell’aquilano, che hanno avuto ricadute positive sull’intera economia dell’area.

Ad uno specifico approfondimento sulla situazione economia dell’Aquila e dei comuni del circondario, si registra dal 2008 un aumento del 30% in edilizia che fa contraltare al – 30% del resto della Regione; d’altra parte, nel cratere la ricostruzione ha trainato anche i settori della ristorazione e degli alloggi oltre che le attività terziarie direttamente collegate, si pensi agli studi tecnici di ingegneri, architetti e così via. Al contrario, non si è registrata una inversione di tendenza nel settore industriale, che già viveva una lunga fase regressiva nel pre-terremoto. Sta di fatto che il settore, sebbene non quantitavimente esteso, è qualitativamente eccellente in ambiti innovativi e trainanti: non è un caso che si contino nel territorio il 30% delle start up innovative dell’intera regione, merito anche del GSSI e dell’Università che ha dato vita ad un numero interessante di spin off produttivi.

Tornando al panorama regionale, l’attività produttiva si è indebolita nel commercio e nei trasporti, mentre l’andamento del settore turistico è stato moderatamente positivo.

I prestiti delle banche alle imprese sono rimasti pressoché sugli stessi livelli dell’anno precedente ( – 0.3% a dicembre ). La domanda di credito è scesa nella seconda metà dell’anno: nel secondo semestre, inoltre, sono emersi segnali di ulteriore irrigidimento delle condizioni; l’orientamento delle banche rimane maggiormente selettivo nei confronti delle imprese più rischiose.

La redditività delle imprese ha confermato il recupero conseguito negli ultimi anni, attestandosi su livelli in linea con quelli pre-crisi; ne beneficiano la capacità di autofinanziamento e la liquidità.

Buone notizie per l’occupazione che è ulteriormente aumentata ( + 1.6% ) sebbene si sia registrata una flessione nella seconda parte del 2018. L’incremento ha riguardato eslusivamente i lavori alle dipendenze. Tra i dipendenti, sono tornare a crescere le assunzioni a tempo indeterminato e le stabilizzazioni di contratti a termine. E’ proseguita la lenta ripresa dell’occupazione giovanile, che rimane tuttavia ancora inferiore ai livelli pre-crisi mentre il tasso di occupazione complessivo è tornato ai tassi del 2007.

Un dato va tenuto in considerazione: se l’occupazione è ai livelli precedenti alla grande crisi, in Abruzzo il prodotto interno lordo è ancora 3 o 4 punti sotto i livelli del 2007.

Scende la disoccupazione – dall’11.7% al 10.8% in media d’anno – anche tra i lavoratori più giovani e diminuiscono i così detti ‘neet’.

Nel 2018, il reddito e i consumi delle famiglie abruzzesi sono stimati in contenuto aumento.  Alla crescita del reddito hanno contribuito soprattutto i redditi da lavoro e, in particolare, quelli da lavoro dipendente. In Abruzzo, l’incidenza del numero di famiglie in condizioni di povertà relativa, però, resta più alta della media nazionale, sebbene tenga l’indice di fiducia dei nuclei familiari. D’altra parte, la ricchezza netta delle famiglie si colloca al di sopra dei livelli del 2008.

Nell’ultimo decennio è aumentato il peso delle attività finanziarie, sebbene la componente reale della ricchezza continui a rappresentarne la parte più rilevante. Nel 2018, a fronte dei bassi livelli dei tassi d’interesse, le famiglie hanno continuato a favorire l’investimento in strumenti finanziari prontamente liquidabili. I prestiti erogati alle famiglie residenti in Abruzzo da banche e società finanziarie sono aumentati del 3.5%, riflettendo la ripresa della erogazione di mutui e la crescita del credito al consumo.

Stando al mercato del credito, è proseguito il processo di razionalizzazione della rete territoriale delle banche, in particolare da parte degli intermediari di maggiore dimensione: anche nel 2018 è diminuito il numero degli sportelli bancari presenti in regione, mentre è ulteriormente aumentata la fornitura di servizi bancari per il tramite dei canali telematici. La qualità del credito è migliorata. L’incidenza dei nuovi crediti deteriorati è diminuita, sia per le imperse che per le famiglie. La quota di prestiti in sofferenza sul totale dei prestiti si è ugualmente ridotta, anche per effetto delle operazioni di cessione e di cancellazione dal bilancio realizzate dagli intermediari.

 

Fonte: www.newstown.it




Unicredit: la formazione è un valore

Da lunedì 17 Giugno il codice PFO (Formazione) inibisce la possibilità di accedere alle procedure operative.

Si tratta di un codice di presenza che va inserito quando si è impegnati in un corso di formazione, ed è pensato per favorire la fruizione dei corsi impedendo che le persone debbano interrompere in continuazione il flusso dei contenuti per rispondere alle richieste di un superiore, o di un cliente.

La Formazione è un valore. Un valore importante. Per noi lavoratrici e lavoratori, perché garantisce lo sviluppo e il mantenimento della nostra professionalità, e in questo modo ci rende utili per il nostro datore di lavoro e, se lo riteniamo utile, aumenta la nostra capacità di entrare nel mercato di lavoro, per trovare nuove opportunità professionali, nella nostra Azienda o in altre; per il nostro datore di lavoro, perché lavoratrici e lavoratori più professionali riducono i rischi operativi, giuridici, economici, di reputazione, e, in definitiva, rendono l’azienda più competitiva.

Negli ultimi anni, al contrario, la Formazione si è trasformata in un fattore di aumento dello Stress lavoro-correlato: è diventato, infatti, sempre più frequente e accettato il fatto che fosse normale seguire i corsi on-line dal proprio posto di lavoro distrattamente, mentre serviamo un cliente, o rispondiamo alle richieste del nostro diretto superiore, salvo poi ricevere costantemente solleciti per il completamento dei molti corsi obbligatori, senza i quali, a volte, diventa impossibile svolgere parte delle nostre mansioni.

Questa situazione è stata alla base della nostra richiesta di introdurre, tra altri strumenti, il codice PFO, per garantire alle lavoratrici e ai lavoratori di UniCredit la possibilità di seguire i corsi di formazione senza distrazioni. In altri termini, per aiutarci ad abbandonare la situazione che vede la Formazione come una fonte di Stress e possa invece rappresentare un’opportunità di crescita.

Oggi, questo obiettivo è condiviso da UniCredit.

Veniamo informati, in questi giorni, del fatto che alcuni responsabili stanno esercitando pressioni per fare in modo che le colleghe e i colleghi svolgano i corsi di formazione senza inserire il codice PFO. L’idea è che “dobbiamo produrre, non perdere tempo con i corsi di Formazione”.

Si tratta di un’idea stupida e profondamente sbagliata: queste pressioni vanno contro le dichiarazioni dei vertici aziendali, vanno contro l’interesse delle lavoratrici e dei lavoratori, e servono esclusivamente agli interessi privati (di obiettivi, di premi, di carriera) di chi le esercita.

É molto importante che la formazione venga fatta inserendo il codice PFO, perché solo così può diventare un reale momento di crescita e perché possiamo, nel tempo, dimostrare a UniCredit che svolgere correttamente le attività di formazione è utile e conveniente.

Chi cerca di impedire che questo avvenga attua un comportamento disonesto e va combattuto. Per consentirci di intervenire vi chiediamo di segnalare simili scorretti comportamenti al vostro Rappresentante Sindacale.

20 giugno 2019

Fabi First/Cisl Fisac/Cgil Uilca Unisin
Segreterie di Coordinamento UniCredit Spa