Addio alle monete da 1 e 2 centesimi. Con nuovi aumenti dei prezzi.

C’è un fantasma che si aggira nei portafogli: sono le monetine da 1 e 2 centesimi. Odiate dai consumatori, rifiutate dai distributori automatici, impossibili da usare per il parcheggio delle auto e mal sopportate dai cassieri dei supermercati, dal 1° gennaio di quest’anno non vengono più coniate dall’Italia. E già questa notizia potrebbe essere una novità per i più. A cui aggiungere un’altra realtà fotografata in queste settimane: le monetine stanno cominciando a scarseggiare nei Paesi europei che già hanno deciso di mettere la parola fine alla loro produzione. Con un inevitabile conseguenza: il possibile aumento dei prezzi, anche se a tutt’oggi di statistiche ufficiali ancora non ce ne sono.

Come al solito, meglio fare un passo indietro per capirne di più. Dopo mesi di polemiche, la legge di Stabilità 2018 ha messo fine alla produzione delle monetine da 1 e 2 centesimi. Dal 1° gennaio la Zecca non conia più i ramini che continuano comunque a circolare fino ad esaurimento, mantenendo il loro valore legale. E per evitare il rischio del ritocco al rialzo dei prezzi, la norma ha già chiarito che nel caso di pagamenti in contanti i prezzi vengano arrotondati per eccesso o per difetto al multiplo di 5 più vicino. Ad esempio: 10,52 euro diventa 10,50 euro, mentre 10,58 euro diventa 10,60 euro. Del resto, è solo una questione di numeri: dall’ingresso dell’Italia nell’euro, le monetine rosse hanno raggiunto la cifra di oltre 6 miliardi di pezzi. E il cui peso è soprattutto economico: per ogni moneta da 1 centesimo i costi a carico dello Stato ammontano a 4,5 centesimi, mentre per ogni moneta da due centesimi si spendono 5,2 centesimi. Non certo un affare per lo Stato, che ha già spinto altri Paesi europei ad abolire le monetine da tempo. In Finlandia, nel gennaio 2002, si è deciso per l’arrotondamento dei prezzi ai più vicini 5 centesimi. Decisione seguita due anni dopo dall’Olanda, che risparmia in questo modo 36 milioni di euro l’anno. Nel 2010 è stato il turno dell’Irlanda e nel 2014 dal Belgio. Mentre in Italia la sospensione del conio permetterà di risparmiare circa 23 milioni di euro all’anno, un tesoro girato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, nato nel 1993 con lo scopo di rimborsare o ritirare titoli di Stato dal mercato per favorire la riduzione dello stock del debito.

Fin qui l’analisi fredda dei numeri. Il punto è che, però, in questi giorni proprio da uno dei Paesi che ha già detto addio alle monetine è arrivata una notizia: come riporta EuropaToday, il Belgio si sta scoprendo povero di ramini. Nonostante il Paese abbia coniato 860 milioni di pezzi da un centesimo e 770 milioni da 2 centesimi, questa enorme montagna di ferro si è persa tra le tasche dei pantaloni, nei barattoli delle cucine, nel fondo delle poltrone o lungo le strade smettendo così di circolare. Il Paese ha chiesto alla Banca centrale europea (Bce) di stampare nuovi pezzi per far fronte alla carenza, ma Francoforte ha spiegato chiaramente che nell’eurozona non c’è penuria delle monete da piccolo taglio. Quanto piuttosto un uso sbagliato da parte dei cittadini. Tant’è che il ministero federale delle Finanze sta pensando di varare campagne nazionali di sensibilizzazione per indurre i belgi a portare le monetine in banca. Anche perché l’alternativa, nell’impossibilità di dare resti da parte dei commercianti, è l’arrotondamento dei listini. Che solitamente si fa al rialzo, a favore del commerciante.

Un allarme che per l’Italia è stato già profetizzato dall’Aduc. “Non credo di essere estremista sostenendo che tutti i prezzi subiranno un arrotondamento ai 5 centesimi successivi”, sostiene il presidente Vincenzo Donvito. Che spiega: “Quando cominceranno a scarseggiare anche da noi le monetine sarà un’ottima occasione per ritoccare ulteriormente i prezzi perché, in un contesto di importi precisi, sarann pochi i commercianti che continueranno a tenere prezzi in cui compaiono i 5 centesimi, ovviamente andando verso il rialzo. Del resto non si è mai visto un effetto al ribasso”.

I calcoli sono presto fatti. “Se nel 2016, le famiglie italiane hanno speso quasi 11 miliardi e mezzo di euro per la spesa alimentare complessiva, partendo da un aumento medio dei prezzi dello 0,2% causato da un arrotondamento per eccesso (passando da 10,58 euro a 10,6 euro), si scopre che quella stessa spesa potrebbe aumentare di circa 23 milioni all’anno. Vale a dire il risparmio ottenuto dallo Stato non coniando i ramini. Vale allora la pena non produrre più queste monete?”, si chiede Donvito.

Tutto questo anche in attesa che la tecnologia modifichi i sistemi di pagamento saldando senza problemi di resto i prezzi che finiscono con 0,99 centesimi grazie ad app, carte di debito o credito. Ma, tutt’oggi, secondo la Bce, gli italiani continuano a pagare in contanti l’86% delle transazioni e solo il resto con carte, bonifici e assegni.

 

Articolo di Patrizia De Rubertis su “Il Fatto Quotidiano” del 15/10/2018




INPS: medici premiati se tagliano prestazioni e invalidità

Incentivi sotto forma di integrazioni del salario ai medici INPS che tagliano le prestazioni dell’Istituto: è l'”aberrante” effetto che si palesa a seguito della determinazione presidenziale n. 24 del 13/03/2018, ovvero il c.d. “Piano della Performance 20182020” (quindi già in vigore), con cui l’INPS ha individuato per i suoi dipendenti gli obiettivi da raggiungere per accedere ad alcune forme integrative/aggiuntive di salario.

 

MEDICI INPS: PIÙ TAGLI LE PRESTAZIONI, PIÙ GUADAGNI

Quanto più si revocano le prestazioni di invalidità civile e quanto più vengono annullate le prestazioni dirette per malattia che l’ente fornisce, tanto più guadagneranno i medici a fine anno“.
Sarebbe questo, in estrema sintesi, il messaggio che l’Istituto avrebbe inviato ai propri medici, ha sottolineato Vittorio Agnoletto in un post sul suo blog, ospitato da ilfattoquotidiano.it.

In pratica, a pagina 61 dell’allegato tecnico alla menzionata determinazione presidenziale firmata dal presidente INPS Tito Boeri, al paragrafo “Obiettivi produttivi ed economico finanziari dei professionisti e medici” sono ricompresi, come si legge al comma 3.1.1., “i seguenti obiettivi per il cui raggiungimento professionisti legali e medici svolgono un ruolo decisivo”.

Si tratta, per i medici in servizio presso l’INPS di:

  • Vmc (visite mediche di controllo);
  • Annullamento prestazioni dirette malattia;
  • Revoche prestazioni invalidità civile;
  • Azioni surrogatorie.

 

INCENTIVI PER LA REVOCA DELLE PRESTAZIONI: LE CONSEGUENZE

Una simile previsione potrebbe comportare conseguenze facilmente immaginabili: ad esempio, stante gli obiettivi posti al medico per ottenere incentivi o premi, il cittadino che si vede revocare o negare un beneficio (ad esempio l’invalidità civile) potrebbe legittimamente dubitare che il dottore abbia agito secondo “scienza e coscienza” come dovrebbe fare secondo il giuramento professionale, e ipotizzare, invece, che questi abbia inteso perseguire un interesse economico personale.

Alla sfiducia dei cittadini nei confronti dell’amministrazione pubblica, si contrappone anche quella dei dottori che, invece, agiscono secondo il proprio dovere professionale: anche questi si vedrebbero penalizzati nel vedersi riconoscere premi decisamente inferiori rispetto ai colleghi che agiscono per i propri interessi per ottenere guadagni accessori.

D’altronde, i circa 900 i medici che operano presso l’INPS da esterni, quindi con partita IVA, e che costituiscono la maggioranza di coloro che compongono le Commissioni e sul cui operato il dirigente medico strutturato esprime un parere a fine anno, sono consci che le loro decisioni contribuiranno a determinare il premio economico del loro diretto superiore.

 

LE POLEMICHE CONTRO GLI INCENTIVI AI MEDICI INPS

L’allarme è stato lanciato in prima battuta da ANMI (Associazione nazionale medici Inps) che nel comunicato n. 12 dello scorso 18 settembre 2018, ha contestato questi obiettivi, ritenendo che “alcuni siano incompatibili con le norme deontologiche (revoca di prestazioni di invalidità civile) e altri non ricompresi nell’ambito delle attività svolte dal medico dipendente (VMC annullamento delle prestazioni dirette di malattia) o correlati all’occorrenza di eventi traumatici che prescindono del tutto dall’impegno professionale del medico INPS (surroghe)”.

Sulla vicenda, sempre tramite le pagine del Fatto Quotidiano, è intervenuto anche il presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli: “Non siamo i medici dello Stato ma del cittadino. Questo incentivo, se confermato, è un’aberrazione per la professione medica e segna il tradimento di principi costituzionali. Chiunque debba valutare, sappia che siamo contrari”.

Dopo l’intervento dell’Ordine dei Medici e delle associazioni a tutela dei disabili, anche lo stesso ministro della Salute Giulia Grillo ha chiesto all’INPS di chiarire questa metodologia, anche a suo parere “contraria alla deontologia della professione medica”.

Secca la replica del Presidente dell’INPS, Tito Boeri, che parla di una questione “fondata sul nulla” e sostiene che si tratterebbe di un incentivo “introdotto in virtù di una sentenza del Consiglio di Stato che prevede l’introduzione di un sistema incentivante” volto alla “riduzione del debito pubblico e al risparmio”.

Inoltre, ha soggiunto Boeri, “Sono obiettivi aggregati dell’istituto a livello regionale, il singolo medico non ha effetti revocando invalidità. Il medico risponde sulla deontologia alla giustizia civile e penale, oltre che alla propria coscienza”.

 

SINDACATI CONTRO INPS: “RIVEDERE IL PIANO, LEDE I PRINCIPI A CUI L’ATTIVITA’ MEDICA DEVE ISPIRARSI”

Tuttavia, questo intervento non ha affatto placato le polemiceh: contro la delibera che ha fissato tra i criteri di valutazione per la retribuzione di risultato dei medici la riduzione delle prestazioni di malattia le revoche dell’invalidità civile, sono insorti nei giorni scorsi anche i sindacati.

Nel documento a firma congiunta, le tre sigle confederali FP CGIL, CISL FB e UILPA hanno bollato l’erogazione di simili premi di risultato ai medici come lesiva dei principi di libertà e di indipendenza della professione medica”.

Inoltre, le associazioni hanno sottolineato il rischio dell’incentivarsi di “comportamenti contrari a quei principi di rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona cui l’attività professionale medica deve costantemente ispirarsi”. Da qui la netta richiesta di rivisitare immediatamente l’Allegato Tecnico al Piano Performance.

Secondo USB (Unione Sindacale di Base), invece, i premi di risultato legati agli obiettivi di contenimento della spesa sono il frutto di “una politica odiosa attuata sulle spalle della parte più debole del paese” e, pertanto, ha richiesto l’immediata cancellazione degli obiettivi produttivi ed economici dei medici INPS elencati nel Piano della Performance.

 

Fonte: www.studiocataldi.it




La Banca sbaglia? Paga il direttore

La notizia è stata pubblicata lo scorso 13 ottobre dal quotidiano “Il Centro”, e rappresenta un preoccupante campanello d’allarme per tutti i lavoratori che ricoprono il difficile ruolo di titolari di agenzie.

Un direttore di filiale di una banca operante nel territorio abruzzese è stato denunciato con l’accusa di usura a danno di un imprenditore commerciale, e dovrà presentarsi davanti al GUP che deciderà se rinviarlo a giudizio.

Questa l’accusa:

“Nell’esercizio delle sue funzioni di direttore erogava all’imprenditore un mutuo di 230mila a condizioni usurarie in quanto veniva erogato con una pattuizione, ab origine, di interessi e vantaggi complessivamente superiori al tasso di soglia usuraria, poiché la sommatoria tra interessi corrispettivi, spese di istruttoria, spese di assicurazione incendio e costi relativi alle garanzie collaterali prestate da Fidimpresa Abruzzo determinavano un taeg sistematicamente superiore al 14 per cento tra il 30 aprile 2011 e il 29 febbraio 2012 (tsu nello stesso periodo oscillante tra il 7 e il 10 per cento).
Determinando una sproporzione tra il costo del denaro e il prestito elargito: tenuto conto della finalità del mutuo (di consolidamento precedente esposizione debitoria) e trovandosi l’imprenditore nella evidente impossibilità di onorare la rata (1.774 euro mensili, contro un reddito pari a 17.128 euro annui); dunque in evidente stato di difficoltà economica e finanziaria».

Ricapitoliamo: cos’ha fatto questo direttore?
Ha impostato un mutuo, deliberato ovviamente dei competenti organi della Banca, destinato alla rimodulazione di un precedente debito che l’imprenditore non riusciva a pagare. Si tratta di operazioni relativamente comuni, con le quali si cerca di evitare gli atti legali a carico di imprese che presentano situazioni di difficoltà, allungando la durata rispetto al finanziamento originale ed acquisendo nuove garanzie (nel caso specifico la fideiussione di Fidimpresa Abruzzo).

Il Direttore della Filiale non ha di norma alcun margine per decidere le condizioni da applicare a finanziamenti del genere, in quanto le stesse sono determinate a monte dagli accordi stipulati dalla banca con il Confidi.

Stando a quanto riportato dalla stampa, sembrerebbero esserci delle evidenti responsabilità della banca: prima di tutto per aver previsto condizioni apparentemente molto superiori rispetto ai tassi soglia oltre i quali scatta l’usura, poi per non aver predisposto nessun controllo in tal senso, né in fase di redazione della pratica, né prima della stipula e neanche a posteriori.

E invece, a finire davanti al Giudice sarà un dipendente colpevole di aver fatto il proprio lavoro, che non avrebbe potuto svolgere in modo diverso.

Ci sono già stati casi del genere, anche nel nostro territorio. Fino ad oggi, i Giudici hanno sempre prosciolto i lavoratori dalle accuse che venivano loro rivolte, per cui possiamo sperare che anche in questa occasione il buon senso prevalga.

Consigliamo comunque a tutti coloro che si occupano di finanziamenti di verificare, prima dell’erogazione, che il TAEG non superi il tasso soglia, ed in quel caso di informare i propri superiori, astenendosi dal perfezionare l’operazione se il costo complessivo del finanziamento non viene ricondotto entro i limiti di legge.




No, Banca d’Italia non si candiderà alle prossime elezioni

Secondo il Ministro del Lavoro la Banca d’Italia, non essendo stata eletta, non deve permettersi di sindacare le politiche poste in essere dal Governo. Ma è davvero così? Quali sono i compiti di Bankitalia?

Le principali funzioni della Banca d’Italia sono dirette ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, requisiti indispensabili per un duraturo sviluppo dell’economia.
La Banca concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell’area dell’euro e svolge gli altri compiti che le sono attribuiti come banca centrale componente dell’Eurosistema.
Al fine di rendere più efficace l’espletamento dei compiti di politica monetaria e delle altre funzioni istituzionali, la Banca d’Italia svolge una intensa attività di analisi e ricerca in campo economico-finanziario e giuridico.

(Fonte www.bancaditalia.it)

Se questi sono i suoi compiti istituzionali, la Banca d’Italia può esprimere il suo parere in merito alla politica economica del Governo?
Non soltanto può: ha il dovere di farlo.

Il corretto funzionamento di uno stato democratico prevede una serie di funzioni, tutte necessarie per tutelare le istituzioni e metterle al sicuro da abusi ed errori.
Esistono funzioni elettive, composte da elementi che cambiano a seguito delle varie tornate elettorali, esistono ruoli che vengono assegnati a persone che dovrebbero conoscere molto bene l’ambito nel quale dovranno operare, con mandato a termine.
Ed esistono funzioni di controllo e garanzia: a svolgere questi ruoli ci sono tecnici che dovrebbero necessariamente essere al di fuori delle logiche politiche o di partito, e che per le competenze richieste non possono avere un incarico a tempo.

La democrazia resta la migliore forma possibile per il Governo di un paese, ma negli ultimi anni ha mostrato tutti i suoi limiti, se è vero che abbiamo votato partiti capaci di scegliere un Ministro per la Pubblica Ammnistrazione che aveva copiato la sua tesi di laurea, un Ministro della Pubblica Istruzione che non era neanche diplomato, ed oggi ci ritroviamo un Ministro della Salute che alimenta dubbi sull’utilità dei vaccini o un Ministro del Lavoro che in realtà per il mondo del lavoro non è neanche passato, salvo farsene un’idea su Facebook o Twitter.

Il fatto che molte delle norme elaborate da questi soggetti si rivelino scritte in modo grossolano, e vengano poi cancellate dalla Corte Costituzionale non sorprende, ma dimostra due realtà incontrovertibili:

  1. Il voto dei cittadini non premia necessariamente i migliori (per certi versi, negli ultimi anni è successo esattamente il contrario).
  2. Proprio per questo servono organi di controllo che, pur nel rispetto dell’autonomia politica di Parlamento e Governo, vigilino per impedire provvedimenti palesemente sbagliati o in contrasto con i principi costituzionali. Per fare questo è necessario avvalersi di persone con assoluta competenza: non serve gente che ha preso i voti promettendo l’impossibile, ma qualcuno che ci capisce”.

Torniamo alla Banca d’Italia.
Nel caso specifico il suo è un ruolo puramente consultivo, senza potere di veto, ma che deve doverosamente svolgere.
Si può ovviamente discutere la legittimità nelle nomine dei vertici, il fatto che spesso le figure apicali non siano realmente autonome rispetto alla politica.
Il problema della meritocrazia è sicuramente una delle questioni più importanti per il nostro Paese: non sembra, tuttavia, che il “Governo del Cambiamento” abbia molta voglia di cambiare le cose, visto che le scelte fin qui fatte per tutti i ruoli dirigenziali continuano a seguire le vecchie logiche della lottizzazione.

Le opinioni espresse dai vertici di Banca d’Italia sono ovviamente criticabili: nessun uomo può essere infallibile e quindi qualsiasi parere è soggetto ad osservazioni. Però bisogna farlo entrando nel merito, con dati e fatti concreti: capacità che evidentemente al Ministro del Lavoro manca.

E allora ecco l’ennesimo slogan, se possibile ancor più assurdo ed insensato dei precedenti (per non parlare dell’ormai abituale congiuntivo mancante)

Se la Banca d’Italia vuole un governo che non tocca la Fornero, si presenti alle elezioni con questo programma.

Notevole anche la conclusione, da giustiziere mascherato più che da Ministro:

Giustizia è fatta. Indietro non si torna.

Questo modo di comunicare è offensivo: offensivo nei confronti di tecnici che basano la loro competenza su anni di studi ed esperienza sul campo, offensivo nei confronti dei cittadini, che si continua a trattare da bambini poco intelligenti, bombardandoli di slogan per non dover parlare di fatti concreti.

L’Italia sarà anche il Paese in cui chiunque può diventare ministro (e lui e Salvini lo dimostrano efficacemente.
Ma quando si tratta di conoscenze e capacità tecniche “Uno NON vale uno”

 

 

 




Banche piene di titoli di Stato: perché lo spread fa paura

Gli istituti, in 7 mesi, hanno aumento di 50 milardi il debito pubblico in pancia. C’è il rischio di una nuova tornata di aumenti di capitale e del taglio dei prestiti a famiglie e imprese.

 

Il timore di tornare indietro di sette anni

Di fatto con i loro acquisti le banche italiane hanno rimesso in moto il triste copione della crisi del debito sovrano del 2011. Lo spread volato sopra i 500 punti indusse infatti molti detentori esteri a liberarsi delle posizioni sull’Italia e il nostro sistema finanziario, banche e assicurazioni, finì per immolarsi sull’altare della stabilità. Senza l’apporto degli acquisiti controcorrente delle banche chissà cosa sarebbe accaduto ai destini della tenuta del nostro debito da 2.300 miliardi. Un ruolo improprio che ha fatto di necessità virtù ma con un contraccolpo feroce: appaiare sempre più il rischio sovrano a quello bancario. Come in un’osmosi perfetta. E pericolosa. Come non ricordare che al picco della crisi post 2011 il sistema bancario era arrivato a superare i 400 miliardi di titoli di Stato nei bilanci? Il doppio dei livelli abituali pre-crisi. Consegnando mani e piedi delle banche ai capricci dello spread. Un legame vizioso e perverso che se da un lato ha evitato il crac del Paese ha reso le banche vulnerabili. E ora con 50 miliardi in più acquistati negli scorsi mesi il sistema bancario è sempre più vicino a replicare lo schema del 2011.

Del resto non sembrano esserci molte alternative. Chi può sostituire i fondi d’investimento stranieri in fuga? Le famiglie forse? Ora, ogni volta che lo spread prende il volo verso l’alto le banche segnano perdite sul loro patrimonio. Gli analisti stimano che per ogni 100 punti base di rialzo del differenziale di rendimento le banche accusino svalutazioni del loro capitale di base per 30 punti base. E se il capitale viene eroso accadono due cose: le banche potrebbero essere costrette a una nuova tornata di aumenti di capitale e soprattutto si creano le premesse per un nuova stretta creditizia su imprese e famiglie.

 

I bond sono due volte il capitale degli istituti

Quel numero del controvalore dei Btp in pancia alle banche da solo dice poco. Ma se rapportato al capitale ci racconta che gli oltre 370 miliardi di titoli di Stato valgono come aggregato quasi 2 volte il patrimonio degli istituti. Un peso notevole che le espone molto ai capricci del rialzo dei rendimenti che svaluta i titoli e intacca il patrimonio. Solo le prime 5 banche italiane possedevano a fine giugno quasi la metà dello stock complessivo. Intesa la prima banca italiana per redditività e solidità ha tra portafoglio bancario e assicurativo 82 miliardi di titoli del debito italiano. UniCredit ne ha per 55 miliardi; Monte dei Paschi di Siena ne possiede 21 miliardi, in crescita sui 17,6 miliardi di fine 2017; Ubi ha 9,9 miliardi e BancoBpm ne possiede per 19 miliardi.

Le due grandi banche hanno mantenuto nel primo semestre più o meno identici i pesi, mentre Mps ha incrementato di 3,5 miliardi gli acquisti e Ubi e BancoBpm hanno alleggerito di un 10% entrambe l’esposizione. Il tema di fondo non è il peso in sé ma il suo rapporto con l’attivo di bilancio e il capitale soprattutto. Mps che non a caso è banca pubblica ha il rapporto più sbilanciato: i 21 miliardi di bond governativi italiani in portafoglio valgono il 230% del capitale e il 15% dell’intero attivo di bilancio. Ovvio che la banca di Siena finisce per essere la più esposta ai rialzi dello spread.

 

Il rischio di un nuovo credit crunch

Ma il tema del legame simbiotico con il debito pubblico non riguarda solo eventuali deprezzamenti di capitale. Riguarda anche il futuro dell’industria del credito e dei suoi rapporti con l’economia reale. Le banche, come fatto in tutte le precedenti crisi, possono a fronte di incertezze future sul capitale stringere i cordoni del credito. Fare delevereging come si dice in gergo. Un nuovo credit crunch potrebbe riapparire sulla scena. Non che quello vecchio sia passato. Tuttora mancano all’appello 70 miliardi di stock di prestiti a imprese e famiglie. Il monte crediti era nel 2013 di 1.414 miliardi. A fine 2017 siamo fermi a 1.347 miliardi. In caduta i prestiti alle imprese per almeno 100 miliardi compensati in parte dal buon andamento dei mutui alle famiglie. Solo per dare un’idea UniCredit ha ridotto dal 2013 al 2017 i crediti alla clientela per 55 miliardi; Mps per 40 miliardi su uno stock di 131 miliardi (-30% in 5 anni). Solo Intesa è andata controcorrente incrementando del 19% il suo stock di crediti passato da 344 miliardi del 2013 a 411 miliardi di fine 2017. Una nuova stretta del credito per un Paese che sta frenando sulla crescita può aprire le porte a una nuova recessione.

 

Articolo di Fabio Pavesi su “Il Fatto Quotidiano” del 10/10/2018

 




Banca Fucino: interrotte le trattative con Barents

Banca del Fucino e gruppo Barents interrompono definitivamente le trattative per la partnership.

I due gruppi, spiega una nota, annunciano la fine delle trattative iniziate ad aprile per l’ingresso del gruppo Barents Re nel capitale di Banca del Fucino.
Dopo diversi mesi di analisi ed incontri seguiti alla firma del MoU di aprile 2018, nell’ultimo periodo sono maturate divergenze sui piani futuri della Banca che hanno spinto le parti ad interrompere definitivamente le trattative.

Dopo la chiusura definitiva della trattativa con Barents RE, Banca del Fucino si è avviata verso la valutazione dei termini per l’ingresso nel capitale di nuovi investitori istituzionali “che ad oggi è in fase avanzata”.
Lo si legge in una nota dell’istituto secondo cui “in parallelo la Banca sta definendo con un altro soggetto un’operazione di deconsolidamento integrale del proprio portafoglio crediti deteriorati (Npe)”.

In tale contesto gli attuali azionisti supporteranno ancora la Banca nel suo percorso di crescita per garantire lo storico rapporto fiduciario con la clientela nelle aree dove l’Istituto opera.
Sono certo di poter costruire anche in futuro un percorso di sviluppo importante per la Banca fondata dalla mia famiglia. Questo grazie al contributo essenziale che l’intera organizzazione di Banca del Fucino ha sempre dimostrato e saputo dare, in particolare negli ultimi mesi. Il lavoro svolto sino ad oggi sarà alla base del progetto di ulteriore crescita che ci stiamo avviando ad intraprendere”,
ha dichiarato Alessandro Poma Murialdo, presidente di Banca del Fucino.

 

Fonte: www.abruzzoweb.it




V Congresso Provinciale FISAC/CGIL L’Aquila

Si è svolto in data 8 ottobre 2018, nel locali della Camera del Lavoro dell’Aquila, il quinto Congresso Provinciale della Fisac/CGIL L’Aquila.

Nel corso della giornata si è provveduto al rinnovo degli organismi dirigenti rappresentativi dei lavoratori dei settori bancari, assicurativi ed esattoriali.
Questi i componenti del Comitato Direttivo Provinciale: Quirino Masciovecchio (presidente del Direttivo), Rosaria Antoniani, Antonella Barbone, Luca Copersini, Augusto De Julis, Vittorio De Paolis, Maria Virginia De Santis, Maurizio Favaloro, Maria Loredana Laurenzi, Emanuela Marini, Marco Ottombrino, Federica Petriachi, Fabrizio Petrolini, Francesco Ponziani, Andrea Rocca, Alessandra Tollis, Pierfrancesco Tatozzi.

L’assemblea congressuale ha rivolto un pensiero particolare al Segretario Generale della Camera del Lavoro Territoriale Umberto Trasatti, in fase di ripresa dopo il malore che lo ha colto pochi giorni fa. La proposta per l’elezione del Segretario Generale è stata presentata da Francesco Trivelli, Coordinatore Regionale della Fisac/CGIL Abruzzo.
Al termine delle operazioni di voto è stato rieletto il Segretario uscente, Luca Copersini, che rappresenterà pertanto la categoria per il prossimo quadriennio.




Il direttore di banca che rubava ai ricchi per aiutare i poveri

Sta ottenendo una rilevanza nazionale la storia di Gilberto Baschiera, il direttore della filiale di Forni di Sopra della Banca di Carnia e Gemonese del Credito Cooperativo. I media nazionali (dal Corriere della Sera e La Repubblica), così come quelli locali, l’hanno definito come una sorta di ‘Robin Hood’ in salsa moderna, che rubava dai conti correnti dei più ricchi per donare ai più bisognosi. Una ‘generosità’ che in sette anni ha fatto sparire un milione di euro e che gli è costata una condanna a due anni di reclusione risoltasi con un patteggiamento con pena sospesa con la condizionale. Oltre, ovviamente, al licenziamento in tronco appena la banca si è accorta degli ammanchi e al sequestro della casa.

 

UNA RIBELLIONE AL SISTEMA

Tutto è cominciato, come ha spiegato lo stesso direttore, nel 2009 per una sorta di ribellione al sistema, per non abbandonare i pensionati con la minima e i giovani senza futuro. E così ha pensato bene di fare a modo suo, ‘distribuendo’ risorse alla ricerca di una sorta di equità sociale.
«Li avrei restituiti tutti quei soldi», assicura. Così il suo legale, Roberto Mete, spiega il gesto del suo cliente: «Lo ha fatto per aiutare correntisti in difficoltà o che non riuscivano ad accedere al credito bancario. Vive in un piccolo paese, dove tutti si conoscono, l’ha fatto per fare del bene».

 

GENEROSITA’ FUORILEGGE

E in effetti Baschiera quel denaro non l’ha tenuto per sé, ma l’ha dato a chi difficilmente avrebbe ottenuto un prestito dalla banca. Una ‘generosità’ fuorilegge, che è sta costando molto casa all’ex direttore di banca.

Fonte: udine.diariodelweb.it




Solidarietà a Mimmo Lucano e alla comunità di Riace

Riace, un piccolissimo paese quasi spopolato della profonda Calabria, è diventato un simbolo nel mondo. Il modello Riace è semplicemente la straordinaria dimostrazione che si può costruire un efficace sistema di accoglienza diffusa, che l’integrazione rappresenta una importante occasione di sviluppo per il territorio, che costruire una società inclusiva ed accogliente è un vantaggio per tutti.

Un’utopia contro la quale negli ultimi mesi aveva fatto già balenare le sue accuse il Ministro dell’Interno: la colpa di Riace sarebbe quella di aver accolto troppo, anche oltre le decisioni delle commissioni prefettizie. Sta di fatto che i finanzieri stamattina hanno arrestato, ai domiciliari, l’uomo-simbolo di quella esperienza, il sindaco Mimmo Lucano, con l’accusa – tra l’altro – di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le inchieste della magistratura si rispettano sempre, ma questa ordinanza nei fatti blocca l’esperienza più significativa che dimostra come integrazione e accoglienza siano la chiave di volta per risollevare l’intero Paese. Restiamo in attesa di conoscere i dettagli del provvedimento, ma esprimiamo solidarietà al sindaco Mimmo Lucano e ci mobiliteremo per confermare tutta la nostra vicinanza alla comunità di Riace.

Roma, 2 ottobre 2018

 

Anpi, Arci, Cgil, Articolo 21, Libera e Rete della pace

 

Dal sito www.cgil.it




Assegni privi della clausola “non trasferibile”

Negli ultimi mesi, numerosi lavoratori di banca hanno ricevuto comunicazione con la quale si contestava l’omessa segnalazione di un’operazione di versamento di un assegno d’importo superiore a 1000 euro, al quale non era stata apposta la dicitura “non trasferibile”.

Tali comunicazioni provengono dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite le Ragionerie Territoriali dello Stato competenti dal territorio.

Si tratta di comunicazioni non omogenee: in qualche caso sono state notificate al solo cassiere che ha eseguito l’operazione; in altri casi sono state notificate al cassiere ed al direttore della filiale quale legale rappresentante; in altri casi ancora sono state notificate al cassiere ed alla banca.

Tutte le comunicazioni contengono sempre due indicazioni:

  • La possibilità di estinguere il procedimento con il pagamento di un’oblazione pari a un terzo del massimo oppure al doppio del minimo;
  • La possibilità di inviare entro 30 giorni una memoria difensiva, nella quale è anche possibile richiedere di esporre a voce le proprie difese.

 

Normativa sanzionatoria.

La normativa di riferimento è il cosiddetto “decreto antiriciclaggio” – o meglio, con dizione più precisa – il decreto legislativo n. 231/2007 (art. 49 commi 4 e 5; art. 51 comma 1; art. 63 comma 5), recentemente modificato col decreto legislativo n. 90/2017.

La modifica del maggio 2017 – fra l’altro – ha inasprito pesantemente le sanzioni, che per le mancate segnalazioni di assegni trasferibili d’importo superiore a 1000 euro sono ora pari a un minimo di 3.000 euro e ad un massimo di 15.000 euro.

Prima della modifica del 2017, le sanzioni per tale irregolarità (riportate nel vecchio art. 58) non erano in cifra fissa, ma in percentuale e andavano da un minimo dell’1% ed un massimo del 40% dell’importo dell’assegno.

Facciamo ora l’esempio di un assegno irregolare di 2.000 euro:

  • con le vecchie sanzioni, l’oblazione poteva avvenire con il pagamento di 40 euro (il doppio della sanzione minima, pari al 2%);
  • con le sanzioni introdotte nel 2017, l’oblazione può avvenire con il pagamento di 5000 euro (un terzo della sanzione massima, più favorevole del doppio della sanzione minima);

Questo significa – nell’esempio di cui sopra – che le sanzioni sono aumentate di oltre 100 volte rispetto all’anno passato.

 

La scelta fra oblazione e difesa.

E’ una scelta che spetta esclusivamente al lavoratore; i casi di pagamento dell’oblazione sono stati finora in numero limitato, a causa dell’importo elevato che viene richiesto, come già evidenziato pari a euro 5.000.

La presentazione della memoria difensiva è ovviamente finalizzata ad ottenere l’annullamento della sanzione o almeno una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per l’oblazione.

Qualora si scelga di impostare una difesa, il Ministero avvia una procedura amministrativa, che si concluderà con un decreto che stabilirà la sanzione definitiva piuttosto che l’annullamento della sanzione.

Contro tale decreto sarà possibile l’impugnazione davanti al Tribunale civile.

 

Possibili linee difensive.

Occorre fare sin dall’inizio una precisazione di assoluta importanza: ogni contestazione formulata dal Ministero rappresenta un caso a sé ed ogni singolo caso ha le proprie peculiarità.

Ne consegue che le difese scritte piuttosto che orali devono essere impostate caso per caso, non può esistere un modulo standard.

Fatta questa precisazione, nei diversi casi che sono stati esaminati, si possono individuare alcuni elementi che appaiono come elementi di difesa.

Si possono formulare le seguenti difese in fatto.

  • La difesa più semplice, ma anche la prima da prospettare, è legata alle modalità con cui si sono svolti i fatti.

In diversi casi, l’assegno irregolare era inserito in un’operazione di versamento di numerosi assegni – a volte parecchie decine – effettuati da società della più diversa natura.

Il lavoratore pone sempre attenzione nel valutare la correttezza formale degli assegni presentati allo sportello, ma ovviamente l’attenzione è meno sollecitata quando il cliente è una società conosciuta e che si presenta frequentemente allo sportello per effettuare il versamento contemporaneo di molti assegni. Inoltre, in tali casi, è conseguente ritenere che ove vi fossero state irregolarità nell’assegno, lo stesso sarebbe stato bloccato in precedenza.

  • In alcuni casi, l’assegno è stato versato in un bancomat. Usualmente, dopo che il cliente ha digitato l’importo dell’assegno e se il titolo supera la cifra di 1000 euro, il bancomat ricorda al cliente stesso di verificare se vi sia la clausola “non trasferibile”.

La presenza di tutta una serie di controlli che l’apparecchiatura suggerisce al cliente in fase di versamento, ha abbassato la soglia di attenzione dell’addetto che ha poi accreditato l’assegno sul conto corrente.

  • I carnet di assegni stampati dalla generalità delle banche recano da parecchi anni – quanto meno dal 2011 – la clausola “non trasferibile” già prestampata. A distanza di anni gli assegni privi di tale clausola sono ormai estremamente rari ed anche ciò ha contribuito ad abbassare la soglia di attenzione del lavoratore.
  • In alcuni casi, l’assegno recava l’avvertenza stampata dell’obbligo della clausola “non trasferibile”. Questa dicitura è verosimilmente stata fraintesa dal correntista ed anche dal lavoratore, che hanno ritenuto che la stessa potesse essere sufficiente per adempiere agli obblighi di legge.
  • Una circostanza che è emersa in tutti i casi esaminati ed è assolutamente importante sottolineare, è che l’assegno non recava alcuna girata, era indicato solo il beneficiario, il quale a sua volta ha versato il titolo sul proprio conto corrente.

Ne consegue che il titolo non ha mai circolato, l’apposizione o meno della clausola “non trasferibile” è stata irrilevante nel caso concreto e la finalità della legge – impedire la circolazione di assegni d’importo superiore a 1000 euro – è stata rispettata.

Inoltre, si possono formulare alcune difese in diritto.

  • Il procedimento sanzionatorio è quello previsto dalla legge 689/1981, in particolare l’art. 14. In forza di tale norma, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati al massimo entro 90 giorni.

La data di versamento dell’assegno è nota ed è verosimile che la banca sulla quale era stato tratto l’assegno abbia comunicato l’irregolarità nel rispetto dei termini di legge, ossia nei termini di 30 giorni come previsto dall’art. 51 del decreto legislativo 231/2007.

Occorre accertare se da quel momento e sino al momento in cui sono state chieste informazioni alla Banca che ha accettato il versamento dell’assegno sia trascorso un termine superiore o meno ai 90 giorni concessi per la notifica dell’infrazione.

Se la notifica è avvenuta dopo tale termine, è tardiva, con la conseguente decadenza della facoltà d’imporre sanzioni.

  • Inoltre, occorre eccepire che nell’imposizione della sanzione non si è tenuto in alcun conto della tenuità del fatto oggettivo e dell’elemento soggettivo di colpa lieve.
  • Infine, si può altresì riflettere su quanto sia eccessiva la sanzione ed abnorme rispetto al fatto, tale da sollecitare una verifica della correttezza costituzionale della norma.

Nel caso in cui la comunicazione sia inviata ad un direttore di filiale, le difese in fatto sono molto più semplici.

  • E’ sufficiente evidenziare che il lavoratore svolge l’attività di direttore di filiale; l’operazione è stata effettuata da uno dei dipendenti addetti alla cassa della filiale stessa.

Ne consegue che l’interessato è del tutto estraneo all’operazione, in quanto fra le mansioni di un direttore di filiale non rientra né l’operatività di sportello – comprendente i versamenti di assegni e contanti – né la verifica delle singole operazioni eseguite allo sportello.

Per quanto ovvio, la lettera con le deduzioni difensive deve essere sempre firmata dal lavoratore interessato e non dal sindacato.

 

Questioni sindacali.

  • Spesso il lavoratore interessato e la banca sono obbligati in solido nel pagamento della sanzione.

E necessario stabilire un contatto sindacale con la banca per cercare di capire quali siano le intenzioni della stessa in ordine al pagamento dell’oblazione piuttosto che all’invio di una memoria difensiva; alla possibilità per il lavoratore di unirsi alle difese della banca; all’intenzione di avviare un procedimento disciplinare contro il lavoratore; all’intenzione di rivalersi sul lavoratore per la somma pagata a titolo di oblazione.

  • Il colloquio presso gli uffici ministeriali avviene nell’ambito di un procedimento amministrativo, non ha alcuna attinenza con il procedimento disciplinare previsto dalla legge n. 300/1970.

Ne consegue, che il sindacalista non ha diritto di presenziare al colloquio.

  • In alcuni casi, il funzionario ministeriale ha concesso al sindacalista di affiancare il lavoratore durante il colloquio. E’ necessario valutare con la massima attenzione le eventuali affermazioni del sindacalista durante il colloquio e che verranno verbalizzate. Si tratta di un colloquio con un funzionario di un’Amministrazione dello Stato, che ha una posizione assai diversa rispetto a quella di un dirigente di un’azienda privata, come sono le banche.  E le affermazioni del sindacalista entrano nell’ambito di un procedimento amministrativo.

 

Alberto Massaia e Corinna Mangogna

 

Come FISAC L’Aquila ci eravamo già occupati di questo argomento. 

https://www.fisaccgilaq.it/banche/assegni-occhio-alla-clausola.html