Trasferimento, trasferta, distacco

Il datore di lavoro può spostare il lavoratore dal luogo di lavoro originario solo in presenza di precise condizioni di legge; ecco tutta la disciplina prevista dalla legge in questi casi.

Il luogo in cui il dipendente deve eseguire la propria prestazione lavorativa viene stabilito all’atto dell’assunzione e può essere individuato in un punto fisso (come la sede dell’azienda o dell’unità produttiva cui il lavoratore è assegnato) oppure essere identificato con un ambito territoriale (come la zona assegnata nel caso del venditore o piazzista) o ancora non essere predeterminabile per particolari tipi di attività (come nel caso dei trasfertisti tenuti per contratto ad espletare la propria attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi).

Durante lo svolgimento del rapporto, il luogo di lavoro inizialmente stabilito può essere variato dal datore di lavoro, con le limitazioni stabilite dalla legge e dai contratti collettivi.
Ciò avviene in caso di:

  • trasferimento
  • trasferta
  • distacco.

Vediamo singolarmente tali ipotesi.


IL TRASFERIMENTO INDIVIDUALE

La legge stabilisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva a un’altra se non per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive.
Si deve trattare di un trasferimento tra unità produttive della stessa azienda.

Pertanto, i trasferimenti all’interno della medesima unità produttiva non dovrebbero necessariamente essere giustificati da esigenze tecniche, organizzative e produttive. Ma, in alcune sentenze, la giurisprudenza ha sottolineato che, per tutelare il lavoratore dai disagi personali e professionali conseguenti a modifiche del luogo di lavoro senza ragioni valide, la tutela predetta si applica anche nel caso di spostamento della sede di lavoro all’interno della stessa unità produttiva.

Forma e motivazione

Il trasferimento potrebbe essere disposto anche oralmente, ma i contratti collettivi prevedono di norma la forma scritta (proprio per provare le ragioni tecniche, organizzative e produttive sottese al trasferimento e alla scelta del lavoratore da trasferire).

Ad ogni buon conto, salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non deve necessariamente indicare, nell’atto di trasferimento, le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento del trasferimento stesso.

L’obbligo di indicare tali ragioni, infatti, scatta solo se il lavoratore ne faccia richiesta. Il datore, in tal caso, deve fornire tali chiarimenti entro 5 giorni dalla richiesta: se non lo fa, il trasferimento diventa inefficace.
La mancata richiesta dei motivi da parte del lavoratore, peraltro, non equivale ad acquiescenza al trasferimento e non impedisce, dunque, a questi di contestare in giudizio l’illegittimità del trasferimento stesso, fermo restando che nell’un caso come nell’altro, spetterà al datore di lavoro l’onere di provare in giudizio le ragioni giustificatrici del trasferimento.

Limiti previsti dalla legge

La legge prevede dei limiti al potere del datore di trasferimento:

  1. Il lavoratore handicappato maggiorenne ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di sevizio più vicina al proprio domicilio.
  2. Il lavoratore che assiste un soggetto handicappato in situazione di gravità non ricoverato a tempo pieno (coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti) ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere.
    In entrambi i casi i lavoratori in questione non possono essere trasferiti ad altra sede senza il loro consenso.
  3. Il trasferimento dei dirigenti delle Rappresentanze sindacali aziendali da un’unità produttiva a un’altra non può essere disposto senza il preventivo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza. Il divieto perdura sino alla fine dell’anno in cui è cessato il mandato.
    L’intento del legislatore è evidentemente quello di tutelare il rappresentante sindacale dalla eventualità che il datore di lavoro possa, a scopo discriminatorio, allontanarlo dalla unità produttiva che lo ha espresso.
  4. Il lavoratore eletto amministratore di un ente locale non può essere trasferito se non con il suo consenso.
    Il lavoratore può chiedere di essere avvicinato al luogo in cui il mandato viene svolto: in tal caso il datore di lavoro deve esaminare la domanda di trasferimento con criteri di priorità.

Decadenza per l’impugnazione del trasferimento

Per quanto riguarda la decadenza per l’impugnazione del trasferimento, si applicano le  stesse norme previste per l’impugnazione del licenziamento.

Trasferimento collettivo

Il trasferimento collettivo coinvolge interessi più generali rispetto a quelli implicati in un trasferimento individuale. In particolare il trasferimento collettivo si distingue da quello individuale in quanto esso riguarda una collettività di lavoratori considerati non in modo individuale, ma quali componenti di una unità produttiva o di una parte di essa.
Per i singoli lavoratori trasferiti resta ferma la possibilità, anche dopo l’effettuazione dell’esame in sede sindacale in ordine alla ricorrenza delle ragioni giustificatrici del trasferimento, di impugnare il provvedimento di trasferimento al fine di ottenere una verifica giudiziale circa la sussistenza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive richieste dalla legge.


TRASFERTA E “TRASFERTISTI”

Anche la trasferta implica un mutamento del luogo in cui il lavoratore è tenuto a prestare l’attività dedotta nel contratto di lavoro.
Tuttavia, mentre nel caso di trasferimento il mutamento del luogo di lavoro è definitivo, nel caso della trasferta tale mutamento è provvisorio.
In sostanza il datore di lavoro, nell’ambito dei poteri di organizzazione dei fattori della produzione che gli competono, a fronte di sopravvenute esigenze di carattere transitorio e contingente, può modificare temporaneamente e provvisoriamente il luogo di lavoro.
Venute meno le esigenze che avevano determinato l’invio in trasferta del lavoratore questi rientrerà al precedente luogo di lavoro.

Lavoratori “trasfertisti”

I cosiddetti “trasfertisti” sono invece quei lavoratori tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi.
Le indennità e le maggiorazioni retributive spettanti a questi lavoratori concorrono a formare il reddito nella misura del 50%, anche se vengono corrisposte con carattere di continuità.
Per la qualificazione della fattispecie è necessario che la normale attività lavorativa si svolga contrattualmente al di fuori di una sede di lavoro.

IL DISTACCO

Nel caso di distacco (o comando), invece, non si ha un mutamento del luogo di lavoro, ma piuttosto si ha che il titolare del rapporto distacca il suo dipendente presso un’altra azienda che lo inserisce nella propria organizzazione e ne utilizza le prestazioni lavorative.
Si ha quindi distacco quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone in via temporanea uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa (il distacco può riguardare anche dipendenti assunti a termine).
L’originario datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore e a suo carico permangono gli obblighi relativi alle assicurazioni sociali.
Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore.
Quando il distacco comporti un trasferimento a un’unità produttiva sita a più di 50 Km di distanza da quella cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
L’interesse alla base del distacco può coincidere con qualsiasi interesse produttivo dell’imprenditore distaccante diverso, ovviamente, da quello della mera somministrazione di manodopera.

Distacco in situazione di crisi aziendale

Al fine di evitare riduzioni di personale in situazioni di crisi aziendale, gli accordi sindacali possono regolamentare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa in crisi a un’altra per una durata temporanea.
Secondo il Ministero del lavoro, il distacco può essere applicato al fine di evitare il ricorso sia alla cassa integrazione straordinaria che a licenziamenti collettivi.

 

Fonte: La legge per tutti

 

 

 

 




Assicurazioni Generali: fioccano i provvedimenti per scarso rendimento

LECCE- Il rendimento è definito scarso e la conseguenza è che per molti dipendenti sono giunti i provvedimenti disciplinari.

È la denuncia che arriva dalla Fisac Cgil Lecce nei confronti delle Assicurazioni Generali per le difficoltà in cui molti dipendenti, soprattutto produttori, si trovano ad operare a causa delle condizioni ritenute “penalizzanti” e imposte dalla compagnia relativamente alla vendita di prodotti assicurativi.

Per il sindacato, infatti, “l’imposizione di obiettivi di vendita non sempre compatibili con il contesto socioeconomico e le continue pressioni commerciali rappresentano causa di stress e di forte demotivazione per le lavoratrici ed i lavoratori Generali, sottoposti non di rado a procedimenti disciplinari per scarso rendimento e per produttività inferiore ai prefissati obiettivi aziendali”.

In questo modo, si scaricherebbe su di loro il rischio di impresa, “anche in virtù di una normativa interna sul conflitto di interessi, i cui effetti anziché ricadere sulla compagnia, si ripercuotono negativamente sui lavoratori, in termini di mancato recupero provvigionale”.
Il riferimento è al caso in cui, a fronte di un disinvestimento di un prodotto da parte di un cliente (prima della decorrenza prevista) con contestuale sottoscrizione di un altro prodotto, vengono ridotte anche le provvigioni al lavoratore, mentre il nuovo contratto si considera pienamente valido ed efficace per l’azienda.
“Ci si chiede – continuano ancora dalla Cgil – se l’IVASS, cui è affidata la sorveglianza sul rispetto di tale normativa, sia a conoscenza di queste dinamiche”.

Fonte: TeleRama News

Scarica il volantino della FISAC/CGIL Lecce 




#NOvoucher – Firma la petizione.

Nel dibattito parlamentare sul “decreto Dignità” il Governo sta presentando un emendamento per estendere l’utilizzo dei voucher!

Non c’è nessuna dignità in questo. Come si fa a dire che si combatte la precarietà mentre la si ripropone?

Il lavoro occasionale esiste già, non abbiamo bisogno di altri voucher, ma di lavoro di qualità.

Per questa ragione chiediamo ai parlamentari di avere il coraggio di scegliere di stare dalla parte giusta: dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Dalla parte di quel milione e mezzo di italiani che un anno fa si è già espresso con chiarezza su questo tema.

Chiediamo ai parlamentari di dire di NO ai voucher.

 

PER FIRMARE LA PETIZIONE CLICCA QUI

 

Perché non servono i nuovi vouchers

 

 

 




ABI: Automatismi, questi sconosciuti

Verifica la tua busta paga: dopo 7 anni di anzianità hai diritto ad un automatismo economico.

Riteniamo opportuno portare all’attenzione una tematica – quella degli automatismi economici – spesso poco conosciuta dalle Colleghe e dai Colleghi più giovani che hanno anzianità di servizio superiori ai sette anni ed a volte (per problemi di gestione dei programmi paghe), disattesa anche dalle aziende.

La Normativa (art.110 CCNL ed all.2 tabelle economiche)

Per “automatismi” si intende la progressione economica e di carriera prodotta unicamente dall’anzianità maturata in Azienda: per la determinazione dell’anzianità utile sono esclusi i periodi di assenza volontaria senza diritto all’intero trattamento economico (congedi non retribuiti, maternità facoltativa, aspettative, ecc.) e le anzianità convenzionali. I periodi di apprendistato vengono conteggiati al 50%.

Assegno mensile per gli ASSUNTI DOPO IL 19/12/1994.

Gli assunti dopo il 19 dicembre 1994, beneficiano di UN UNICO AUTOMATISMO SOLO ECONOMICO (“ASSEGNO MENSILE di equiparazione economica ”) come descritto dalla tabella che riportiamo:

Consigliamo a tutti i lavoratori che si trovassero nelle condizioni previste dalla normativa di verificare la propria posizione individuale.

I Rappresentanti Sindacali della FISAC CGIL sono a disposizione per LE NECESSARIE VERIFICHE.

 

Fonte: Fisac Unicredit

 

 




BCC: attuazione della riforma e rinnovo del CCNL

Il futuro del Credito Cooperativo e della sua biodiversità

Sono trascorsi circa quattro anni dal primo tentativo del legislatore di riformare il Credito Cooperativo e dall’ultimo sciopero della categoria per rivendicare il rinnovo dei patti di lavoro.

Nel gennaio del 2015 il Governo, con un decreto legislativo, tracciava le linee programmatiche dell’intervento di riforma del TUB per il Credito Cooperativo che poi si sarebbe trasformato nel percorso di “autoriforma” completatosi con la Legge 8 aprile 2016 n. 49.

Nel marzo del 2015 le lavoratrici ed i lavoratori incrociavano le braccia in quello che era lo sciopero della consapevolezza: riappropriarsi di Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (dai quali Federcasse in maniera unilaterale aveva dato il recesso) e salvaguardare la specificità della cooperazione di credito ed il valore della democrazia economica.

Oggi, nonostante le dichiarazioni datoriali di soddisfazione per gli esiti della riforma del 2016, e nonostante le nostre continue sollecitazioni, constatiamo che nulla sembrerebbe essere cambiato:
riforma e contratto restano al palo!

L’incapacità, nei fatti, di fare sintesi tra le diverse componenti di questo sistema, unita al perseguimento, poco lungimirante, di evocate “autonomie” ha determinato una riforma arrivata tardi, disegnata da altri, che ancora oggi non si concretizza e resta in balia dei diversi governi che si succedono e delle diverse sollecitazioni che ad essi pervengono.
E’ auspicabile rivedere alcuni aspetti riguardanti ad esempio le regole del patto di coesione, il ruolo della parte associativa, così come i criteri di progressività e proporzionalità della valutazione del rischio in ciascuna BCC per affermare un modello bancario vicino al territorio e aderente alle sue esigenze, sarebbe invece dannoso, a questo punto, allungare eccessivamente i tempi di avvio della riforma.

Come FISAC CGIL abbiamo cercato di affrontare con grande senso di responsabilità il travagliato periodo di definizione della riforma e l’applicazione della nuova normativa europea (BAIL IN) in materia di fallimenti delle banche, comprese le BCC, incalzando continuamente Federcasse per un rinnovo necessario e non più rinviabile dei patti di lavoro e di adeguamento delle norme dell’ammortizzatore di settore.

In ciascuna azienda ed in ogni territorio, dove si sono verificate situazioni di crisi la FISAC CGIL ha sempre ricercato, coerentemente e senza speculazioni, le soluzioni previste dalla contrattazione nazionale e dalla legge, a difesa dell’occupazione e del reddito, evitando processi di mobilità territoriali e soprattutto difendendo la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

Ancora oggi le criticità in molte aziende del Credito Cooperativo sono ben lontane dall’essere risolte ed il rinvio dell’attuazione della riforma rischia di aggravarle e di ritardarne la soluzione.

Avevamo proposto con forza, e siamo ancora convinti della sua utilità, l’apertura di un tavolo permanente di confronto fra le parti sociali che avesse come tema sia il percorso di riforma, che il rinnovo dei CCNL e la revisione del regolamento del Fondo di settore.
Invece la mancata informativa dei piani industriali da parte, prima di Federcasse e poi delle capogruppo, le ingiustificate dichiarazioni di fantasiosi numeri di esubero di lavoratori nella categoria, i tentativi di smantellare i contratti collettivi di categoria ed i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, hanno reso impossibile qualsiasi confronto utile al rinnovo dei contratti ed alla gestione condivisa ed omogenea delle criticità.

Rivendichiamo con forza quello che abbiamo sempre affermato:

“La riforma si fa con le lavoratrici ed i lavoratori del Credito Cooperativo NON contro di loro”

Riforma e Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, rilancio di relazioni industriali improntate alla partecipazione, alla responsabilità ed al fattivo confronto sono dunque oggi una priorità inderogabile.
E’ ora il momento di abbandonare qualsivoglia strumentalizzazione per affrontare finalmente:

  • la salvaguardia occupazionale;
  • la valorizzazione del lavoro, del reddito e dello sviluppo delle professionalità;
  • lo sviluppo del sistema Credito Cooperativo;
  • la salvaguardia di un modello di democrazia economica.

Ci aspettiamo che Federcasse riapra al più presto il confronto per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, insieme alla rivisitazione dell’ammortizzatore sociale di settore (Fondo di Sostegno al Reddito) che va reso rispondente alle esigenze della categoria, efficace ed effettivo, abbandonando qualsivoglia tentativo di trovare soluzioni originali che gravino sui lavoratori. Come pure è indispensabile affrontare e risolvere le ripercussioni che la riforma potrebbe implicare in tema di previdenza ed assistenza sanitaria integrative a carattere di solidarietà nazionale.

Non permetteremo che il mancato rinnovo dei CCNL fornisca alibi a chiunque. Ribadiamo che la contrattazione collettiva di categoria ha contribuito a tenere insieme fino ad oggi questo variegato ed originale sistema creditizio che, con tutti i suoi limiti, ha svolto e svolge ancora un ruolo importante a supporto dell’economia reale del nostro paese, con l’apporto indispensabile delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

Se sarà necessario, insieme alle altre organizzazioni sindacali, valuteremo opportune iniziative di mobilitazione.

Roma luglio 2018

Il Coordinamento Nazionale FISAC CGIL Credito Cooperativo
Michele CERVONE – Fabrizio PETROLINI

Scarica il volantino




Intesa Sanpaolo trasforma i tabaccai in bancomat

Il servizio lanciato da Banca5, l’ex Banca dei tabaccai, per i possessori di bancomat in 15mila esercizi convenzionati. Per il prelievo serve anche la tessera sanitaria, prevista una commissione di 2 euro dal 2020.

Mentre le reti di filiali delle banche italiane dimagriscono per evidenti ragioni di risparmio, e i sindacati denunciano che ben 383 Comuni sono rimasti senza sportelli, i banchieri studiano altri canali per mantenere la vicinanza con la clientela. Un esempio arriva da Intesa Sanpaolo, che trasforma le tabaccherie italiane in piccoli bancomat grazie a Banca5, l’istituto di credito di prossimità del gruppo guidato da Carlo Messina ex Banca Itb, la cosiddetta “banca dei tabaccai” acquistata integralmente alla fine del 2016. L’accordo prevede la possibilità di prelevare denaro contante in oltre 15 mila punti convenzionati.

I clienti di Intesa Sanpaolo, spiega il gruppo, con le carte di debito del circuito Maestro, MasterCard, Visa o Visa Electron, potranno prelevare denaro contante fino ad un massimo di 150 euro giornalieri, secondo quanto è stato concordato con la Banca d’Italia, esibendo anche la tessera sanitaria nazionale per la lettura elettronica del codice fiscale. Il servizio, partito in questi giorni, sarà pienamente a regime entro il 20 luglio in tutti i 15 mila punti convenzionati che esporranno un adesivo ed il cui elenco sarà disponibile su app e sito web di Banca5 e Intesa Sanpaolo.

Le operazioni di prelievo saranno gratuite fino al 31 dicembre 2019. A partire dal 2020, secondo la comunicazione che hanno già ricevuto i clienti del gruppo Intesa Sanpaolo, potrà essere applicata una commissione fino ad un massimo di 2 euro.
Sul nuovo servizio offerto da Banca5 esprimono grande soddisfazione i tabaccai. L’amministratore delegato di Banca5, Silvio Fraternali, ricorda che si tratta una ulteriore rete territoriale del gruppo che “ci permette di offrire servizi semplici ma importanti per le necessità quotidiane anche in comuni spesso piccoli e meno serviti”.

Il servizio di prelievo contante nelle tabaccherie avrà anche un “forte impatto sociale – afferma Salvatore Borgese, Chief Business Officer Banca5 – e rappresenta una svolta nel percorso professionale che la rete dei nostri collaboratori potrà intraprendere, attraverso l’erogazione di servizi transazionali tradizionalmente forniti da reti bancarie”.

 

Fonte: www.repubblica.it




BCC, sulla riforma solo ritocchi

La riforma delle banche di credito cooperativo non sarà sospesa: subirà solo alcuni “ritocchi”, dando più tempo agli istituti per aderire ai gruppi bancari. Lo ha spiegato ieri in Senato, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Una decisione non in linea con Lega e M5S, che chiedevano di fermare l’iter con una moratoria ad ampio raggio. “Significa eliminare la riforma, ma non sembra che questa richiesta provenga dalla maggioranza del credito cooperativo”, ha tagliato corto il ministro, che punta a evitare interventi drastici per far poi pesare a Bruxelles il suo no al pacchetto sull’unione bancaria.

Nel 2016 il governo Renzi ha approvato la riforma che impone alle 300 e dispari Bcc di aderire a una capogruppo. Il testo è stato scritto da Bankitalia pensando che tutte le banche avrebbero aderito a Iccrea holding, braccio operativo della Federcasse, storico feudo romano che ha dettato legge nel sistema cooperativo. Molte Bcc, le più sane, hanno invece aderito alla trentina Cassa Centrale Banca, mentre quelle altoatesine hanno creato, grazie a un’apposita deroga (tornata utile per candidare Maria Elena Boschi a Bolzano) al gruppo provinciale Raiffeisen. Il guaio è che finiranno sotto la vigilanza della Banca centrale europea, le cui rigide regole sulla valutazione della clientela renderebbero complicata la vita a molti istituti. Per questo Lega e M5S hanno chiesto una moratoria, trovando favorevoli soprattutto le Bcc altoatesine (che rischiano anche loro di finire sotto la vigilanza della Bce).

Secondo Tria non si può più tornare indietro. Anche perché Francoforte e Bankitalia, per mettere pressione al governo hanno accolto nei giorni scorsi la candidatura delle tre capogruppo. Probabile invece che venga solo allungato – via decreto – il tempo a disposizione degli istituti per aderire ai gruppi. Nel mentre sarebbero possibili, secondo il ministro, almeno due modifiche: la prima è rivedere la soglia di capitale delle capogruppo in mano alle Bcc aderenti, fissato al 51% da Bankitalia, alzandolo al 60-70%, cifra inizialmente prevista ma fermata da Via Nazionale, preoccupata di rendere appetibili i gruppi agli investitori esteri; la seconda è alleggerire per le sole Bcc i nuovi requisiti professionali per gli amministratori delle banche previsti dalla direttiva Ue Crd IV, che però l’Italia non ha mai applicato visto che il Tesoro tiene chiuso nel cassetto il decreto attuativo da oltre due anni.

Nelle scorse settimane, Bankitalia ha ammesso che la vigilanza della Bce sarebbe un problema non da poco. Da mesi il sistema del credito cooperativo è scosso da tensioni interne: chi ha voluto la riforma oggi tentenna e viceversa. Il problema più urgente, però, è che diverse Bcc se la passano male. Secondo una mozione della Lega un terzo sono “ad alto rischio” e un quarto “mediamente a rischio”. Anche i sassi sanno che la spinta di Bankitalia alla riforma, più che da un progetto sistemico, nasce dalle tante situazioni di crisi lasciate incancrenire a lungo.

Secondo i dati di Via Nazionale, a dicembre 2017 il credito cooperativo vantava 22,6 miliardi di crediti deteriorati su 131 totali erogati alla clientela, il 17,2%, sopra la media del sistema bancario scesa al 14,1%, anche se i numeri sono in miglioramento. Il numero di Bcc si è notevolmente ridotto dalle quasi 400 di qualche anno fa. Si stima che entro un anno scenderà a poco più di 200. Solo Cassa Centrale Banca, per dire, dalle iniziali 115 Bcc aderenti è scesa a 95 e calerà entro l’anno a 90 per effetto delle fusioni messe in atto per salvare quelle in difficoltà. Iccrea affronta una situazione anche più complessa. Secondo i dati comunicati in un incontro di ottobre con Bankitalia e Bce, a giugno 2017 le circa 160 Bcc aderenti al suo gruppo avevano nel complesso 18 miliardi di crediti deteriorati, il 19,8% del totale, coperti con accantonamenti più bassi rispetto alla media del sistema cooperativo. I giudizi ispettivi di Bankitalia sul 2016 e il primo quadrimestre 2017 si sono chiusi nel 43,9% dei casi mettendo la banca nell’“Area di attenzione” (rischiano di essere commissariate dalla capogruppo) e nel 10% con esito “sfavorevole”, condizione che di norma porta alla richiesta di fondersi con un istituto più solido.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 18/7/2018

 

leggi anche:

https://www.fisaccgilaq.it/bcc/credito-cooperativo-pronti-ad-attuare-la-riforma.html

 

https://www.fisaccgilaq.it/bcc/bcc-la-riforma-deve-fermarsi-governo-pronto-al-decreto.html

 




Riscossione: rinnovata la polizza rischi professionali

Rinnovata la convenzione polizza professionale per danni erariali per gli iscritti Fisac/CGIL del Settore della Riscossione dal 1/7/2018 al 30/6/2019. OTTENUTA ANCHE LA RETROATTIVITÀ ILLIMITATA.

Per accedere al portale della compagnia, clicca qui e seleziona la sezione “E”, dove potrai trovare le proposte studiate esclusivamente per le lavoratrici ed i lavoratori del nostro settore.




La “Prestazione lavorativa” dei quadri direttivi

“Sono un quadro direttivo. Io non ho orari: posso autogestirmi liberamente”

Parlando con i lavoratori ci imbattiamo, a volte, in colleghi inquadrati nella categoria dei quadri direttivi che, partendo da questo ragionamento, arrivano alla conclusione di poter decidere, in totale autonomia, quando entrare ed uscire dal lavoro, senza preoccuparsi del numero di ore effettivamente trascorse in ufficio o in filiale.

Ma è davvero così? Vediamo cosa dice a tal proposito la normativa.

Per i quadri direttivi non si parla di orario di lavoro, ma di prestazione lavorativa.
I contratti collettivi applicati ai lavoratori bancari (art. 87 CCNL ABI), delle BCC (art. 98 CCNL Federcasse) ed esattoriali (art. 87 CCNL ex Equitalia) prevedono:

La prestazione lavorativa si effettua, di massima, in correlazione temporale con l’orario normale applicabile al personale inquadrato nella 3a area professionale addetto all’unità di appartenenza, con le caratteristiche di flessibilità temporale proprie di tale categoria e criteri di “autogestione” individuale che tengano conto delle esigenze operative.

Qualche considerazione su questo articolo. Il QD non ha effettivamente un orario rigido, potendo beneficiare di “flessibilità temporale”. Quindi per lui non sono previste un’ora di entrata e un’ora d’uscita, anche se deve tener conto delle esigenze operative.
Quindi, a titolo di esempio, un QD direttore di filiale deve comunque assicurare l’apertura dello sportello all’orario previsto: eventuali aperture ritardate non sarebbero giustificabili con la flessibilità d’orario.
Il QD è tenuto ad una prestazione lavorativa correlata all’orario normale applicabile agli impiegati dell’unità di appartenenza.
Quindi se nella sua filiale si applica l’orario standard, dovrà assicurare una prestazione lavorativa di 7 ore e mezzo giornaliere. Se si applicano orari diversi (6×6, orari estesi, turnazioni ecc.…) la sua prestazione sarà commisurata a quella dei colleghi.
Se il quadro direttivo si ferma in ufficio più a lungo avrà diritto al riposo compensativo. Se invece la sua prestazione lavorativa fosse inferiore a quella richiesta, sarebbe tenuto al recupero nei giorni successivi.

La norma sembrerebbe lasciare spazio a margini di interpretazione a causa dell’inciso “di massima”, dando l’impressione che anche il concetto di prestazione lavorativa possa essere letto in modo elastico. Come va interpretata questa postilla?

Di recente abbiamo avuto modo di confrontarci su questo argomento con l’Ufficio Consulenze del Lavoro dell’ABI, ottenendo una sorta di “interpretazione autentica”.
Per quanto superfluo, è bene ricordare che i QD sono comunque lavoratori dipendenti, soggetti pertanto al potere direttivo del datore di lavoro: questa semplice considerazione basta ad escludere la possibilità di decidere in autonomia la misura della prestazione lavorativa individuale.
Deroghe relative alla quantificazione ed alle modalità di esecuzione della prestazione lavorative sono consentite dal contratto, ma solo se concordate ed espressamente autorizzate dall’Azienda.

 

RICAPITOLANDO:

Un quadro direttivo è tenuto ad entrare e uscire dal lavoro agli stessi orari dei suo colleghi inquadrati nella categoria impiegatizia?
No, a patto che questo sia compatibile con le esigenze operative dell’Unità alla quale è assegnato.

Un quadro direttivo può decidere in autonomia la quantificazione della sua prestazione lavorativa?
No. La sua prestazione lavorativa dev’essere equiparabile a quella dei colleghi che operano nella stessa Unità Operativa.
E’ importante sottolineare che una prestazione lavorativa significativamente inferiore rappresenterebbe a tutti gli effetti un’inadempienza contrattuale, tale da giustificare provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento.

 




Unicredit: nuova verifica del “Piano Giovani”

Le scriventi OO.SS hanno effettuato alcuni incontri di verifica relativi all’ accordo 1 febbraio 2018 (Piano Giovani).

Sono stati confermati i dati illustrati nell’incontro di giugno: le adesioni relative alla prima fase, conclusasi nel mese di marzo, sono state 243.
Sono stati presentati in seguito i dati relativi alla seconda fase, quella che ha visto interessati i Lavoratori con finestra pensionistica compresa tra il 1° gennaio e il giugno 2024.
Su 920 potenziali aventi diritto le adesioni sono state 677.
(A seguito dell’aggiornamento dei requisiti pensionistici inerenti l’aspettativa di vita da parte dell’INPS, le finestre di pensione scontano l’anticipo di 1 mese; sono pertanto ora comprese tra il 1° dicembre 2023 ed il 1° giugno 2024).
Di queste, 491 riguardano la Rete, 65 le “Competence Lines Local “ su tutto il territorio nazionale, 121 altri perimetri (C00 Services, Competence line globali, Cib, Fineco).
Pertanto, le adesioni complessive sono risultate 920, con la differenza che quelle relative alla prima fase, 243, saranno tutte accolte, mentre le restanti saranno selezionate sulla base dei criteri di precedenza previsti dall’accordo 1 febbraio 2018 che ha fissato a circa 550 il tetto delle adesioni destinatarie di accoglimento.

Applicando pertanto i criteri di precedenza :

  • per i Lavoratori che operano in Regioni che, secondo l’azienda, registrano disallineamenti di organico rispetto alle necessità operative;
  • maggior prossimità alla decorrenza della pensione/età anagrafica;
  • gestione delle eccedenze di organico che l’azienda ritiene esistano nelle aree Coo (UniCredit Services, B.t., Aree di Governo).

le richieste di esodo che saranno accolte risultano le seguenti:

  • Tutte le domande rientranti nella prima fase;
  • Tutti i lavoratori delle Competence Line Centrali, di COO Services (UCS, BT, RE, Sourcing), Fineco, CIB con finestra pensionistica da 1/12/2023 a 1/6/2024;
  • Tutti i lavoratori della rete, delle Competence Line Local e delle società prodotto (Leasing, Factoring, Cordusio…) che hanno finestra pensionistica da 1/12/2023 a 1/2/2024, ad esclusione di quelli operanti nelle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna;
  • I 21 aderenti all’offerta di incentivazione senza diritto a pensione e ad esodo;
  • I 15 lavoratori passati al Pegno, sulla base dell’accordo sottoscritto lo scorso 12 giugno.

Ne consegue che 370 lavoratori, al momento, non vedranno accolta la loro richiesta di esodo.
Abbiamo chiesto all’azienda la disponibilità ad incontrarci quanto prima per valutare la situazione derivante da questa massiccia adesione al Piano ed individuare eventuali nuove iniziative. In ogni caso deve essere chiaro che a nuove uscite dovranno corrispondere altrettante assunzioni.

L’azienda ha dichiarato che ai lavoratori interessati (550, escludendo i 15 del Pegno) la mail di conferma dell’avvenuta accettazione della domanda verrà inviata nel mese di settembre.
Assunzioni 1 a 1, pari quindi a 550 ingressi di giovani.
Le prime 243 assunzioni, corrispondenti alle adesioni della prima fase, saranno effettuate tutte nel secondo semestre 2018, anticipando pertanto all’anno in corso le assunzioni che, in base all’accordo 1 febbraio, si sarebbero dovute effettuare nel 2019. Il 75% di tali assunzioni sarà destinato alle tre regioni valutate in maggiore difficoltà in termini di organico, mentre il restante 25% andrà nelle altre zone del paese.

Nel complesso saranno così distribuite:

  • Nord Ovest 64
  • Lombardia 63
  • Nord Est 21
  • Centro Nord 51
  • Centro 18
  • Sud 18
  • Sicilia 8

Il dato positivo, frutto della nostra incessante azione di denuncia, sta nel fatto che le 243 assunzioni siano tutte in rete, ma soprattutto che, per stessa ammissione aziendale è scalfito il “moloch” secondo il quale, a parte le regioni da tempo individuate in carenza di organico, non si dovessero fare assunzioni in rete nelle altre aree del paese. Nei fatti l’azienda ha ammesso un forte appesantimento della situazione di tutta la rete fisica degli sportelli su tutto il territorio nazionale.

Terminata l’illustrazione dei dati, le OO.SS. hanno dichiarato come anche questo Piano, sia nei numeri complessivi che nella ripartizione territoriale e di ambiti professionali, sia molto lontano dall’identificare la Banca come il miglior posto in cui lavorare. Adesioni così massicce testimoniano come e quanto sia vissuto il “clima aziendale “.

La gestione e l’organizzazione di UniCredit paiono realmente sorde dinanzi a quanto i lavoratori e le OO.SS chiedono in tema di :

  • rafforzamento degli organici;
  • equilibrata gestione degli stessi sul territorio ( un’attenta analisi declina quanto la situazione sia composita ed a “ macchia di leopardo “);
  • rispetto del protocollo sulle vendite responsabili;
  • investimenti sul fronte tecnologico/informatico;
  • interventi di efficientamento e semplificazione dell’organizzazione del lavoro;
  • formazione realmente fruibile sia per chi cambia ruolo sia per chi entra in Banca;
  • conciliazione dei tempi di vita-lavoro.

Tanti, davvero troppi lavoratori sono lasciati soli dall’azienda dinanzi all’emergenza; sempre più ci si affida all’abnegazione ed alla responsabilità dei nostri colleghi; preoccupante “cartina al tornasole“ è l’emorragia di nuovi assunti (stagionali, tempi determinato e non solo) che lasciano l’azienda dopo poche settimane.
Le OO.SS hanno responsabilmente sostenuto ed accettato il confronto, avanzato concrete proposte di intervento, supportate da solide argomentazioni. Ora il management di UniCredit si assuma le proprie responsabilità e lavori concretamente per realizzare quanto, ad oggi, sembra palesarsi solo come uno slogan:

“UniCredit, il posto migliore per lavorare “ !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Milano, 11 luglio 2018

 

Segreterie di Coordinamento
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – UniSin
Gruppo UniCredit

 

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Sullo stesso argomento:

https://www.fisaccgilaq.it/banche/gruppo-unicredit-accordo-raggiunto-assunzioni-subito.html