Intesa Sanpaolo: pressioni, pressioni e ancora….. pressioni

Come Organizzazioni Sindacali già in sede di presentazione del nuovo Piano d’Impresa avevamo espresso le nostre preoccupazioni circa le possibili conseguenze, in termini di pressioni commerciali, che i nuovi e sempre più ambiziosi obiettivi avrebbero prodotto.

Purtroppo siamo stati ancora una volta facili profeti e, puntualmente, le nostre preoccupazioni stanno trovando conferma, con il riacutizzarsi di fenomeni di pressioni e politiche commerciali indebite, continue, fuori norma e sempre più fuori controllo.

Rileviamo che, in questa prima metà dell’anno, non solo è il mercato Retail ad essere sempre più sotto tiro, ma le pressioni commerciali sono notevolmente aumentate anche nel settore Personal e nel settore Imprese. I solleciti a vendere prodotti tramite mail e lync, le richieste reiterate di reportistica, ormai non sono più ridondanti: sono OSSESSIVE e sottraggono tempo, concentrazione, energie e serenità al quotidiano lavoro concreto, costante e professionale dei colleghi. I gestori sempre di più vengono messi sotto accusa se, nonostante la corretta e puntuale applicazione del metodo e la tenuta delle agende, non riescono, per mille motivi (primi tra tutti le reali esigenze del cliente e la normativa sempre più stringente) ad ottenere il numero di successi ed a vendere il numero “consigliato” di “pezzi” del prodotto oggetto di proposizione. Secondo l’azienda, se le vendite non sono in linea con i budget sempre più ambiziosi (in alcuni casi diremmo assurdi) la colpa è dell’inefficacia commerciale del gestore, che non riesce a convincere i clienti a sottoscrivere i nuovi prodotti. I colleghi dovrebbero diventare anche maghi o veggenti, dal momento che si chiede loro di fare previsioni circa i risultati che otterranno settimanalmente, richiedendo addirittura, in alcuni casi, di firmare il relativo prospetto excel (si arriverà alla firma apposta col sangue?) per consolidare l’impegno assunto!!

Il risultato di questi atteggiamenti è che i tutti i gestori, anche quelli più esperti e professionali che svolgono questa mansione da anni, vengono fatti sentire inadeguati, ed è in preoccupante aumento lo stress da lavoro, che si ripercuote sempre più spesso sulla vita privata e familiare e sulle condizioni psico-fisiche. Vengono sistematicamente lese la professionalità e la dignità dei lavoratori e delle persone – perché i lavoratori sono ancora PERSONE e non automi – arrivando a dire, da parte di qualche capo area fuori controllo (e forse fuori ruolo) che ”non solo non vi state guadagnando il premio, ma non vi state guadagnando neanche lo stipendio”.

Ricordiamo a questi “esperti dei mercati” che lo stipendio è ben guadagnato, poiché il lavoratore assolve il proprio obbligo contrattuale, che è quello della prestazione (qualitativa) e non del risultato (quantitativo) individuale.

Ci sono ancora, per fortuna, persone capaci di dirigere e coordinare valorizzando, coinvolgendo ed affiancando i propri collaboratori ma, purtroppo, non vengono portati ad esempio. Sono, invece, sempre di più i capi e capetti (mutuando il linguaggio militar/aziendale) che si scagliano contro i colleghi con pressioni e richieste asfissianti, spesso accompagnate da offese e minacce di trasferimenti e rimozioni dall’incarico e che talvolta arrivano anche al punto di rinviare ferie e negare permessi o giorni di SVL se non si è in linea con gli obiettivi!!

Ricordiamo che, nell’incontro annuale di Direzione Ermam, il Direttore Nocentini e il Responsabile del Personale Zingaretti hanno letteralmente definito stupidi inefficaci e controproducenti questi atteggiamenti. Ma allora qualcosa non torna se taluni soggetti, nonostante le ripetute segnalazioni, continuano a ricoprire certi ruoli. La tanto decantata “scuola dei capi” cosa insegna? E a chi? A nostro avviso dovrebbe insegnare le differenze tra autorità e autorevolezza, tra capo e leader (il famoso decalogo), tra briefing terroristico (fuori orario) e riunione di lavoro (in orario), tra oppressione e pianificazione, tra motivazione e mortificazione e così via. A giudicare dai risultati ci sentiamo di dire che questa scuola non sta funzionando per nulla ed il senso di appartenenza all’azienda sta andando a… farsi benedire.

Ribadiamo ancora una volta che:

i continui report, consuntivi e previsionali, al di fuori di quelli previsti dalle procedure aziendali, non devono essere chiesti perché non dovuti e facciamo presente che, qualora qualcuno si ostini, in violazione agli accordi nazionali ed aziendali, a pretenderli, i gestori non sono tenuti né a svolgerli né tantomeno a firmare alcunché riguardo ad impegni preventivi sui risultati da raggiungere. Invitiamo tutti i colleghi a segnalarci ogni richiesta di questo tipo. Sarà nostra cura
inoltrare le istanze alle funzioni competenti, come gli Uffici del Personale e la casella IO SEGNALO.

Infine ricordiamo sempre a tutti di agire nel pieno rispetto della normativa, senza forzature di nessun tipo poiché, in caso di inadempienza della stessa, i provvedimenti disciplinari colpiranno implacabili e a nulla varrà essere in linea con il budget, in quanto per la legge non vale il detto di Machiavelli “il fine giustifica i mezzi”.

Qualora dovesse perseverare questo assurdo modo di fare, ci riserviamo di agire nei modi che riterremo più opportuni, per tutelare tutti i colleghi, che sono ormai stanchi di affrontare ogni giorno un’ attività lavorativa che è diventata una guerra all’ultima vendita.

7 giugno 2018.

FABI FIRST/CISL FISAC/CGIL UILCA UNISIN
AREE MARCHE ABRUZZO MOLISE

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Agenzia Riscossione: il TAR rinvia a maggio 2019

Se ne riparlerà tra undici mesi.
La decisione sulla riforma che ha portato alla chiusura di Equitalia e alla creazione di agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) sarà di nuovo all’esame dei giudici amministrativi l’8 maggio 2019.

A stabilirlo è stato ieri la prima sezione del Tar del Lazio a cui aveva rinviato la palla il Consiglio di Stato con l’ordinanza 3213/2017 (si veda Il Sole 24 Ore del 29 luglio scorso).

Un’ordinanza in cui nel parlare di «sollecita definizione della controversia nel merito» aveva chiesto al Tar di fissare l’udienza pubblica con «priorità». Alla fine l’udienza era stata fissata per ieri 6 giugno, solo che poche settimane prima si sono aggiunte nuove “carte”. In particolare a fine aprile è stata depositata la delibera del comitato di gestione di Ader con cui sono stati confermati gli atti assunti durante la gestione commissariale di Equitalia, ossia il periodo-ponte che ha portato alla chiusura della vecchia società per azioni (51% agenzia delle Entrate e 49% Inps) concessionaria della riscossione e al debutto dell’ente pubblico economico a partire dal 1° luglio 2017. Delibera contro cui Dirpubblica (il sindacato che ha promosso l’azione davanti ai giudici amministrativi contestando il passaggio del personale ad Ader fosse avvenuto senza concorso) ha presentato ricorso per motivi aggiuntivi. Iniziativa al cospetto della quale l’Avvocatura dello Stato ha ora ottenuto più tempo per poter presentare le controdeduzioni difensive.

La contesa, che vede tutte le principali sigle sindacali dei lavoratori della riscossione contrapposte all’iniziativa di Dirpubblica, è quindi rinviata all’8 maggio 2019: data in cui è stata convocata la nuova udienza del Tar del Lazio per decidere.

Dal canto suo, il segretario di Dirpubblica, Giancarlo Barra, chiede al nuovo Governo di «fare un passo indietro» in modo da consentire alla propria associazione di «ritirare il contenzioso».

Nel frattempo, spazio anche agli altri ricorsi al Tar promossi sempre da Dirpubblica contro stavolta agenzia delle Entrate. Il 27 giugno ci sarà l’udienza sulla richiesta di provvedimento cautelare contro l’istituzione delle nuove Poer (le posizioni organizzative a elevata responsabilità) mentre il 6 luglio si discuterà della vicenda del concorso per dirigenti.

Articolo di Giovanni Parente pubblicato su Il Sole 24 Ore del 7/6/2016




Soumayla Sacko era pericoloso perché sapeva di essere uno schiavo

Una fucilata alla testa. Così è stato ammazzato, trucidato, eliminato Soumayla Sacko, 29 anni, originario del Mali e sindacalista dell’Usb.

Soumayla non si rassegnava. Combatteva, lottava per la dignità dei braccianti della piana di Gioa Tauro e in particolare di San Ferdinando. Solo e sempre schiavi, pochi euro per dodici ore di lavoro, baracche, stenti, sofferenza e abusi. L’arroganza dei caporali, il controllo delle milizie e poi loro: i padroni ndranghetisti delle terre.

Soumayla Sacko come Placido Rizzotto e Pio La Torre. Un gigante, schiena dritta – senza se e senza ma – e lotta per i diritti. Restiamo umani.

E’ stato un agguato. Solo mafiosi infami e vigliacchi potevano compiere un atto di così vasta crudeltà. Neppure il coraggio di mostrarsi, affrontarlo. Niente. Ucciso a tradimento.

Avevano il terrore di incrociare quello sguardo. Occhi iniettati di sangue e quella rabbia antica. Soumayla Sacko era nel mirino. Lo aspettavano davanti a quella maledetta fabbrica abbandonata.

Quattro colpi esplosi contro tre inermi. Quel sindacalista di merda bisognava eliminarlo. Sempre e solo dalla parte degli ultimi. Rompeva il cazzo. Il fiato sul collo. Eccepiva, chiedeva e rilanciava: Soumayla Sacko lottava a denti stretti, era pericoloso. Sì, perché gli schiavi sono schiavi e non devono sapere di essere schiavi.

E Soumayla Sacko era instancabile e non si fermava. Era regolare, aveva un permesso di soggiorno, le carte erano a posto. In Italia da otto anni e sempre quel grande senso di giustizia tatuato nell’anima. Soumayla Sacko è Kunta Kinte del romanzo Radici.

Un sindacalista vero, un eroe, un giusto. Mentre si consumava – sabato sera – l’abominevole tragedia, immediatamente a tavolino veniva costruita l’infame menzogna: Soumayla Sacko con due complici stava rubando e chi ha sparato l’ha fatto legittimamente.

E mentre s’infiammava la protesta nei campi di San Ferdinando con lo sciopero dei braccianti e la rabbia di Aboubakar Soumahoro, dirigente nazionale dell’Usb, e una storia personale di resistenza cominciata a Napoli, nessun rappresentante del governo fasciopentaleghista si è sentito in dovere d’intervenire. Equilibri, mediazioni e ipocrisia a chili.

Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, era impegnato a difendere la dignità di altri lavoratori, i rider perchè : “Simbolo di una generazione senza tutele”. Stranamente, il loquace leader del Movimento 5 Stelle, suoi accolti e codazzo, su Soumayla Sacko non hanno trovato il tempo né di twittare, né di postare, neppure di un video, un hashtag, una dichiarazione di maniera, una nota. Nulla. Il silenzio assoluto.

Forse nel contratto non c’è scritto di dare la solidarietà ai neri oppure la ragion d’equilibrio di Stato con lo scomodo e ingombrante alleato consiglia di girare la faccia d’altra parte. E solo ieri il premier Giuseppe Conte nel suo discorso alle Camere ha dedicato un paio di frasi al giovane sindacalista rivolgendo il suo pensiero ai familiari. Alla fine il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha ragione da vendere. E’ finita davvero la “pacchia” illusoria: una buona parte di italiani, finalmente liberi, si vedranno così come sono sempre stati allo specchio, scoprendo che in fondo restano solo dei fascisti.

 

Articolo di Arnaldo Capezzuto pubblicato su www.ilfattoquotidiano.it




Pensione anticipata di 5 anni grazie alla RITA

Nel 2018 ci sono diverse misure per andare in pensione in anticipo: una di queste è la RITA, la Rendita Integrativa Temporanea Agevolata con la quale si può anticipare la pensione di ben 5 anni.

La RITA è un anticipo pensionistico simile all’APe, dal quale si differenzia per determinati aspetti; infatti, mentre l’assegno dell’Ape Sociale e Volontaria è finanziato tramite un anticipo bancario, per la RITA si attinge dal fondo di previdenza complementare o eventualmente dal TFR (Trattamento di Fine Rapporto).

Quindi, coloro che negli anni scorsi hanno aperto un fondo di previdenza complementare con l’obiettivo di aumentare l’importo dell’assegno pensionistico futuro potrebbero decidere di utilizzarlo per un altro scopo, ossia per anticipare il ritiro dal lavoro.

Anche la RITA è stata introdotta con la Legge di Bilancio 2017 – così come l’APe – con l’obiettivo di rendere più flessibile la riforma Fornero; come anticipato, infatti, grazie alla rendita integrativa agevolata si può andare in pensione con 5 anni di anticipo rispetto all’attuale requisito anagrafico (66 e 7 mesi, 67 anni dal 2019). E in alcuni casi la pensione può essere goduta con ben 10 anni di anticipo.

Se siete iscritti ad un fondo di previdenza complementare – o anche se non lo avete – e siete interessati ad andare in pensione con largo anticipo vi consigliamo di informarvi in maniera approfondita su come utilizzare la RITA per le vostre esigenze; potete farlo di seguito, in questa guida dedicata alla rendita integrativa temporanea anticipata.
Requisiti

La RITA – acronimo di Rendita Integrativa Temporanea Anticipata – garantisce ai beneficiari di percepire un assegno ponte per smettere prima di lavorare. Il costo della pensione integrativa viene scaricato sui fondi di previdenza complementare, che possono essere sfruttati totalmente o in parte.

A chi si chiede come funziona la RITA è necessario indicare come esistano dei requisiti definiti per richiederla. Nel dettaglio, possono ricorrere alla RITA tutti i lavoratori dipendenti – sia pubblici che privati – che soddisfano i seguenti requisiti:

  • 61 anni e 7 mesi di età (5 anni al pensionamento) e 20 anni di contributi. Dal 2019 – qualora la RITA venisse confermata – vi si potrà ricorrere al compimento dei 62 anni, poiché a causa dell’adeguamento con le aspettative di vita l’età pensionabile è stata aumentata a 67 anni.
  • Se inoccupati da almeno 2 anni sono sufficienti 56 e 7 mesi di età (10 anni dalla pensione), più almeno 5 anni di partecipazione al fondo di previdenza complementare. Dal 2019 l’età anagrafica per gli inoccupati sarà aumentata a 57 anni.

Dai requisiti per RITA sono esclusi gli appartenenti alle casse professionali. A seconda della volontà del richiedente inoltre sarà data la possibilità di utilizzare i suddetti fondi pensione solo in parte o in misura integrale.

 

COME FUNZIONA?

L’assegno pensionistico percepito negli anni precedenti alla pensione grazie alla RITA è finanziato dal fondo di previdenza complementare al quale è iscritto il lavoratore. A differenza dell’Ape Volontario, quindi, andare in pensione con la RITA è più conveniente dal momento che non bisogna restituire il prestito ottenuto da un istituto di credito.
Inoltre la RITA gode di un regime fiscale agevolato; chi la richiede, infatti, subisce una ritenuta del 15% oltre alla riduzione dello 0,30% per ogni anno successivo al quindicesimo di partecipazione al fondo. L’aliquota minima comunque non può scendere al di sotto del 9%.

 

DA QUANTO BISOGNA ESSERE ISCRITTI AL FONDO PREVIDENZIALE COMPLEMENTARE?

Apparentemente quindi la RITA può sembrare una misura molto conveniente per anticipare l’accesso alla pensione di qualche anno, ed effettivamente lo è. Tuttavia questo strumento ha un limite: solo pochi lavoratori possono avere la possibilità di ricorrere al loro fondo previdenziale complementare per finanziare la rendita integrativa.

Secondo quanto stimato dalla fondazione dei consulenti del lavoro e dal MEFOP, infatti, per ricorrere alla RITA sarà necessario un montante contributivo di almeno 100mila euro. Quindi solamente chi per anni ha avuto un lavoro sicuro e ben pagato – così da avere abbastanza liquidità per iscriversi ad un fondo previdenziale integrativo – potrà ricorrere a questa misura.

Tuttavia c’è una possibilità anche per coloro che in questi anni hanno deciso di non iscriversi ad un fondo previdenziale per integrare il futuro assegno pensionistico; infatti non è mai troppo tardi dal momento che potete farlo anche oggi destinando al fondo l’intero importo del TFR accantonato in questi anni, aumentando così il montante contributivo ed utilizzando la cosiddetta liquidazione (trattamento di fine rapporto) per anticipare la vostra uscita dal lavoro.

Fonte: www.money.it




Poste Italiane, così il Governo Monti ha venduto i dati degli studenti

La carta IoStudio Postepay, che dovrebbe avere funzione primaria di carta dello studente, è una prepagata che viene rilasciata senza alcuna informativa sui costi (che pure ci sono) e con un esplicito invito agli studenti ad attivarla, caricarla e iniziare a utilizzarla negli esercizi convenzionati, negli store online e anche a contribuire attivamente a estendere la rete degli esercenti.

Gli studenti e i loro dati? Sono stati venduti dal Ministero dell’Istruzione a Poste Italiane.

E non si tratta di un modo di dire: dal 2014 tutti i ragazzi e le ragazze che frequentano il primo anno delle scuole superiori ricevono in automatico la cosiddetta Carta dello Studente, denominata IoStudio Postepay con funzionalità incorporata di carta prepagata utilizzabile anche sul circuito Visa. La carta, che viene emessa dal gruppo Poste Italiane, viene consegnata in automatico agli studenti dalle segreterie scolastiche senza una lettera di accompagnamento ai genitori e senza spiegazione alcuna: l’unica cosa – molto evidente – è che si tratta di uno strumento di pagamento. La sua funzionalità di Carta dello Studente, ossia di carta di riconoscimento da utilizzare per usufruire di gratuità o sconti per l’ingresso ai musei e alle iniziative culturali è – per usare un eufemismo – messa in secondo piano.

Come si è arrivati a tutto questo?
Bisogna tornare al 2013 e al governo Monti: fu l’allora ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, a decidere di vendere i dati degli studenti a un operatore finanziario in cambio dell’emissione delle carte e di una quota delle commissioni da versare a un apposito fondo “per l’accesso al diritto allo studio”. In questo modo il Ministero risparmia i soldi per la stampa dei tesserini che attestano la qualifica di studente in Italia e all’estero e incamera anche qualche “spicciolo”.

L’operatore finanziario in questione – Poste Italiane che si è aggiudicata la “gara di sponsorizzazione gratuita” indetta dal Miur (ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) nel 2013 – guadagna un parco di alcune centinaia di migliaia di potenziali nuovi clienti ogni anno. Ma un’operazione che a prima vista potrebbe parere vantaggiosa per tutti – e che viene addirittura spacciata dal ministero come “una opportunità ulteriore a sostegno della mobilità dello studente ed in linea con i programmi di sensibilizzazione dei giovani cittadini e delle famiglie verso i temi dell’educazione finanziaria e dell’utilizzo responsabile e consapevole della moneta elettronica e dei sistemi digitali di pagamento” – è in realtà solo e soltanto una scandalosa operazione di marketing di Stato a danno dei ragazzi e delle famiglie.
Una “pesca a strascico” che porta moltissime famiglie ad attivare anche su pressione dei figli proprio quella carta, peraltro non richiesta. Come se i comuni distribuissero ai cittadini carte d’identità “sponsorizzate” da questo o quell’altro istituto di credito e utilizzabili come strumento di pagamento e le Regioni facessero altrettanto con le tessere sanitarie (forse, dati i tempi che corrono, ci arriveremo).

Altro che educazione finanziaria e utilizzo responsabile della moneta elettronica: la carta IoStudio Postepay viene rilasciata senza alcuna informativa sui costi (che pure ci sono) e con un esplicito invito agli studenti ad attivarla, caricarla e iniziare a utilizzarla negli esercizi convenzionati, negli store online e anche a contribuire attivamente a estendere la rete degli esercenti segnalandoli all’emittente affinché possa stipulare apposite convenzioni. Delle attività culturali e degli utilizzi a fini di istruzione della Carta dello Studente non si trova traccia nel foglio che viene rilasciato agli studenti con attaccata la loro personale IoStudio Postepay. Per contro, compare una dicitura sinistramente simile a quella del “gioco responsabile” che accompagna tutte le pubblicità di lotterie, gratta e vinci, scommesse e giochi d’azzardo: “Per usare responsabilmente la tua carta IoStudio Postepay visita la sezione IoApprendo>Educazione Finanziaria sul Portale dello Studente”.

Come sottolinea Poste Italiane, “Tutta l’attività di consegna e comunicazione è a cura del Ministero che è il soggetto emittente della carta e che ha predisposto il materiale di comunicazione per gli studenti e le stesse famiglie”, dunque anche i testi del foglio con cui viene consegnata la carta. Poste Italiane, poi, tiene a precisare che “la funzionalità di pagamento è facoltativa e non è attiva al momento della consegna delle Carte. Per le carte emesse fino allo scorso anno la funzionalità di pagamento poteva essere attivata direttamente on line, tramite il sito dello stesso Miur.
A seguito del cambiamento della normativa, in particolare con l’introduzione della IV Direttiva anti riciclaggio, per le carte di nuova emissione sarà possibile procedere all’attivazione delle stesse solo in Ufficio Postale a seguito dell’identificazione dello studente e di un genitore, nel caso di studente minorenne”.

Dal canto suo, il Ministero dell’Istruzione ribadisce che l’attivazione della funzionalità di carta prepagata rappresenta “esclusivamente un servizio aggiuntivo la cui attivazione non è obbligatoria ai fini dell’accesso alle offerte IoStudio” e che l’emissione della carta “è automatica ai soli fini di attestare lo status di studente e accedere a sconti e agevolazioni relativi a beni e servizi di natura culturale, a servizi per la mobilità nazionale e internazionale, ad ausili di natura tecnologica per lo studio e per l’acquisto di materiale scolastico”.

Belle parole, peccato che le cose stiano diversamente come attestano anche le parole dell’allora amministratore delegato di Poste Italiane quando il 10 aprile 2013 presentò l’iniziativa assieme al ministro Profumo: “Con questa Carta dello Studente con la funzione della Postepay ci rivolgiamo agli studenti per consegnare loro uno strumento sicuro e innovativo da usare per depositare i risparmi, le borse di studio scolastiche, le paghette ricevute dai genitori”. Significativa anche la chiosa del ministro Profumo: “È poi di particolare significato che una parte dei proventi ricavati da Poste attraverso l’utilizzo delle funzioni di pagamento della carta contribuiranno all’istituzione del Fondo per il Diritto allo Studio, che sosterrà la realizzazione e la promozione dei progetti nazionali per l’accesso allo studio”.

Insomma, si tratta di un vero e proprio accordo finanziario tra Ministero e Poste che passa sopra la testa di tutti e che elude anche la legge sulla privacy, dato che le famiglie non sono nemmeno chiamate a prestare il loro consenso al trattamento dei dati dei propri figli per finalità commerciali da parte del ministero (quale è a tutti gli effetti l’emissione di una carta-prodotto finanziario), in quanto – come risponde il Miur – i dati acquisiti con l’iscrizione online al sistema scolastico vengono trasmessi in automatico dall’Anagrafe nazionale studenti a Poste Italiane.

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it