Donare le ferie ad un collega: un atto di solidarietà

Il caso di Mathys Germain, il bimbo francese morto a causa di un tumore al fegato nel 2012, insegna quanto può essere importante un gesto di solidarietà, al di là di una legge, prima di una legge. Christophe, il papà di Mathys si era visto donare dai colleghi giorni di vacanze per assistere il piccolo, un atto meraviglioso che solo successivamente si è trasformato in legge: la legge 2014/459 (cosiddetta legge Mathys) grazie alla quale i colleghi di lavoro possono donare le proprie ferie per aiutare chi ha bisogno di tempo per curare figli minorenni gravemente malati.

Con l’articolo 24 del Dlgs 151/2015 la cessione delle ferie è stata introdotta e regolamentata anche in Italia; la norma prevede che i lavoratori possano cedere, a titolo gratuito, le proprie ferie maturate ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, per consentire l’assistenza ai figli minori che necessitano di cure costanti per le particolari condizioni di salute.

La norma non contrasta con il principio di irrinunciabilità delle ferie stesse e con quanto disposto dal decreto sull’orario di lavoro che prevede il diritto, per il dipendente, ad un periodo annuale di ferie retribuite di almeno 4 settimane, per reintegrare le energie psicofisiche e parteciparealla vitafamiliare e sociale. In parole semplici, è possibile cedere soltanto le cosiddette “ferie monetizzabili”, ossia quelle ulteriori rispetto al minimo annuale irrinunciabile di 4 settimane, oppure i riposi previsti dai contratti collettivi in aggiunta ai normali riposigiornalieri e settimanali.

La cessione delle ferie è dunque gratuita ed ha una finalità solidale, perché volta a consentire l’assistenza di uno o più figli minori del lavoratore (non di altri suoi familiari) bisognosi di cure continuative (è dunque implicito che lo stato di malattia o la disabilità del minore debbano essere certificate), nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto dilavoro. Ad oggi, purtroppo, sono ancora pochi i contratti collettivi che hanno regolamentato leferie solidali In assenza del contratto collettivo nazionale, diverse realtà hanno regolamentato le ferie solidali del proprio personale con accordi collettivi di secondo livello o con singoli accordi.

Nel nostro settore alcuni istituti hanno dato applicazione a questo decreto, attraverso l’introduzionedellaBanca del tempo.

Nella fattispecie Intesa San Paolo ed Unicredit declinano questo istituto con una serie di iniziative, tra le quali ora ci interessa porre l’accento sulla costruzione di un “contenitore” di permessi retribuiti a disposizione dei colleghi che, per gravi ed accertate situazioni personali e/o familiari, hanno bisogno di permessi aggiuntivi. Questo contenitore viene alimentato sia dall’azienda che dai colleghi che volontariamente vi aderiscono. Nel Gruppo Ubi sta iniziando solo adesso l’elaborazione di una una proposta su quest’argomento.

Oggi il temine solidarietà sembra stia scomparendo dal nostro vocabolario; la realtà ci dimostra però che esistono molte persone disposte a donare il proprio tempo e le proprie energie a favore di chi ne habisogno. Queste buone prassi si stanno diffondendo anche nel nostro settore, non solo nell’ambito delle ferie solidali.

 

Fonte: “Banconote” mensile del coordinamento donne Fisac Brescia




Bcc, la riforma deve fermarsi. Governo pronto al decreto

Il governo punta a congelare la riforma delle banche di credito cooperativo (Bcc). Il ministro dell’Economia Giovanni Tria dovrebbe annunciare, forse già in settimana, una moratoria per l’applicazione della riforma renziana che, per quegli strani giri di potere delle riforme dettate d’urgenza, oggi non ha più padri. Chi l’ha voluta, la Banca d’Italia, frena; chi l’ha approvata, il Pd a trazione renziana, tace ma nei territori tifa per lo stop. L’obiettivo del governo è però più pragmatico: sottrarre i nuovi gruppi alla vigilanza della Bce. Andiamo con ordine.

A febbraio 2016 il governo Renzi ordina per decreto alle oltre 360 Bcc di aderire a una capogruppo visto che, denuncia Bankitalia, il credito cooperativo è afflitto da degenerazioni clientelari. Renzi acconsente, ma ritaglia una controversa deroga per chi non vuole confluire nel cappello unico (di cui approfitterà la Bcc di Cambiano cara a lui e Luca Lotti) e una pure per le Casse Raiffeisen in Trentino Alto Adige consentendo loro di farsi un gruppo provinciale (la cosa è piaciuta alla Südtiroler Volkspartei ed è tornata utile per candidare Boschi a Bolzano).

Il testo viene scritto a Via Nazionale pensando che tutte le Bcc si sarebbero fuse dentro Iccrea Holding, braccio operativo della Federcasse, storico feudo romano-democristiano che per anni ha tessuto indisturbata le degenerazioni che ora Bankitalia scopre. A sorpresa la Cassa Centrale Banca di Trento, punto di riferimento delle Raiffeisenkasse, si è candidata a fare un secondo gruppo, alternativo al colosso nazionale. Le Bcc più sane, temendo di finire stritolate nella spartizione romana, hanno scelto la secessione trentina. Oggi cira 160 Bcc sono con Iccrea; 90 con Ccb. Problema: viste le dimensioni, i due gruppi finiranno sotto la vigilanza della Banca centrale europea.

La cosa è a questo punto: ad aprile le due capogruppo hanno presentato la candidatura a Bankitalia e Bce, che hanno 120 giorni per decidere. In teoria c’è tempo fino a settembre, ma la vigilanza di Francoforte sembra voler accelerare. Il premier Giuseppe Conte si è detto favorevole a una revisione e la Lega ha presentato una mozione per chiedere la moratoria. A sorpresa, nei giorni scorsi il dg di Bankitalia, Salvatore Rossi, ha ammesso che il passaggio dei nuovi gruppi alla vigilanza di Francoforte sarebbe un problema: “È possibile che stia emergendo, in virtù dell’applicazione dei requisiti patrimoniali pensati per le banche ‘significant’, la circostanza che i costi della riforma così congegnata possano superare i benefici”. Ha corretto il tiro qualche giorno dopo: “Continuiamo a ritenere la riforma opportuna”.

La questione della vigilanza è in realtà più complessa dei requisiti patrimoniali. C’è il rischio che alle singole Bcc dei due gruppi (le bolzanine sono in teoria escluse) vengano applicate le rigide regole del Comprehensive Assessment, il meccanismo con cui la Bce verifica lo stato di salute delle grandi banche. Tra questi ci sono i sistemi di valutazione della clientela (rating) pensati per le grandi industrie, ma le Bcc finanziano prevalentemente artigiani, ditte individuali e micro-imprese: molte di loro, specie al Sud, sarebbero costrette ad abbandonare la clientela.

Per evitarlo il governo è di fronte a un bivio: tornare indietro o negoziare una deroga sistemica con la Bce (oggi riservata a singole banche). La prima strada è quella proposta da Lega e 5Stelle, che spingono per gli Ips (institutional protection schemes), sistemi di mutua protezione e garanzia tra banche associate usate dagli istituti locali tedeschi (Sparkassen e Volksbanken), che infatti sono fuori dalla vigilanza Bce. L’ipotesi Ips non è nuova ma per anni ha diviso il mondo delle Bcc. Oggi quelle più sane temono di dover pagare per quelle malandate (circa il 10% del totale, secondo Mediobanca). Per dare l’idea, il fondo di garanzia temporaneo previsto dalla riforma è stato bloccato dopo che era intervenuto per aiutare alcune banche da cui provengono i vertici di Iccrea Holding.

In questo caos succedono cose strane: chi era contrario alla riforma ora la difende e viceversa. Le Bcc bolzanine, le più tutelate, premono per lo stop visto che – risulta al Fatto – la Bce ha fatto intendere di considerare il gruppo provinciale ugualmente “significant”; Federcasse e Ccb si schierano invece per la prosecuzione.

Venerdì scorso l’associazione “Articolo 2” di San Casciano ha comprato un pagina sul Corriere per chiedere al governo di fermare la riforma. Tra i suoi fondatori – rivela il Gazzettino del Chianti – ci sono pure gli ex vertici di Chianti Banca vicini alla Federcasse toscana guidata da Matteo Spanò, amico d’infanzia di Matteo Renzi, che adesso non spende una parola per difendere la sua riforma.

 

Articolo di Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano del 24/6/2018